Serie D – Latte Dolce tra gruppo e difesa: coperta corta, ma le soluzioni non mancano
Writers o imbrattamuri?
Sui muri di Sassari gli sfregi si alternano alle estrose creazioni artistiche
Stamattina ho alzato gli occhi.
Il cielo era di un azzurro accecante, inframmezzato da piccole nuvole.
Era come se un bimbo dispettoso si fosse divertito a spargere per casa il cotone trovato nella stanza da bagno. Erano strane nuvole. Somigliavano ai disegni cicciotelli dei graffiti. I benpensanti li detestano.
Sono l’incubo degli amministratori condominiali, e le giunte comunali elaborano ordinanze e strategie idonee per debellarli con una caparbietà superiore a quella adottata per l’eliminazione dei topi. Sono chiamati in tanti modi dal lessico popolare. Writers. Graffitari. Imbrattamuri. Louis Aragon – nel suo “Traite’ du style” – affermava che la funzione del genio sia quella di fornire idee ai cretini con cinquanta anni di anticipo, essendo gli artisti raramente compresi in vita.
I loro sguardi liberi da demagogia e piaggeria scrutano i muri delle città – e la nostra Sassari non fa eccezione – come tele bianche.
Guardate le nostre mura della periferia industriale non lontano dai grandi centri commerciali, oppure i vagoni abbandonati delle ferrovie complementari lungo i binari morti verso Sorso ed Alghero. I giovani writers raccontano la loro inquietudine interiore con spruzzi di colore, e nessuno li vede in azione. Si muovono come foglie nella notte, per gridare la loro esistenza. Si comincia a scrivere sulla panchina della piazza o sulla parete di uno storico palazzo del centro, intorno ai tredici anni. Si finisce prima dei venti, quando non è più tempo di scarabocchi e di Tag, che è un vero proprio copyright alla libera espressione.
Ma esistono degli straordinari e visionari maestri del segno. Kieth Jaring e Jean Michel Basquiat sono nati così.
Oggi le maggiori gallerie di New York e del mondo si contendono rari disegni di questi maestri contemporanei a cifre astronomiche.
Haring ha inventato gli inconfondibili omini stilizzati. Basquiat era l’alter ego di Andy Warhol, il vate della Pop Art.
Verlaine e Rimbaud, Baudelaire ed Oscar Wilde, Toulose-Lautre e van Gogh e persino il nostro Michelangelo Merisi detto il Caravaggio erano considerati individui strani e poco raccomandabili.
Ma i Wall Writers sono una bizzarra e non per questo meno legittima e riconoscibile forma di arte figurativa.
Non è facile accedere a questo mondo. Per entrare nel Crew – la squadra o equipaggio impegnato alla composizione di forme creative libere sulle varie superfici – bisogna spaccare l’attenzione con una prova tangibile di originale mestiere. Altrimenti il tracciato sarà giudicato sprezzantemente un toy. Un giocattolo indegno di passare alla categoria superiore. Avete visto certe squallide facciate di grigi e sbrecciati palazzi della nostre periferia senz’anima e lontana dalla Fontana del Rosello?
Meglio un muro visitato da un incomprensibile e colorato graffito, piuttosto che l’anonima tristezza di intonaci che raccontano l’abbandono.
E’ invece da combattere rabbiosamente l’uso deleterio di deturpare le facciate delle case antiche del centro storico – come quelle intorno al Duomo di San Nicola o le magioni ottocentesche del Viale Caprera con stupide scritte di carattere politico, sportivo e personale: (Forza Torres! – Ti amo Salvatore – Hasta la victoria! – Cloro al clero – No TAV ed altre simili lepidezze, per esempio). I protagonisti di questi oltraggi al decoro urbano del nostro capoluogo sono giovani da perseguire in sede civile e penale. Alzo ancora gli occhi verso il cielo. Oggi vedo le nuvole strane. Oggi mi sembrano i paffuti disegni dei graffiti.
Mi piace credere che qualche writer trapassato si diletti ancora in una nuova sfida, ed esprima la sua arte anche lassù.
Una nuova nuvola tondeggiante o spigolosa è il nuovo segno di libertà.