Sassari – ATP, il biglietto per viaggiare sui bus diventa elettronico
Vi racconto mio padre Andrea Parodi
Luca Parodi ricorda Andrea: «Era un artista fuori dalla norma, sia per doti vocali che umane»
Cosa succede ad essere il figlio di un mito consegnato alla storia troppo presto? Lo chiediamo a Luca Parodi, manager dei Tazenda e figlio del compianto Andrea, che di suo padre mantiene viva la memoria con una fondazione in suo nome.
In che modo la fondazione Andrea Parodi, tiene vivo il ricordo dell’artista?
La fondazione da 12 anni porta avanti principalmente 2 progetti: il premio Andrea Parodi, dedicato alla world music – che vede in gara brani che contengano una lingua, un dialetto o degli strumenti tradizionali – e il Museo Andrea Parodi, attualmente a Porto Torres, ma che quest’anno, attraverso un piccolo camion, abbiamo reso itinerante.
Com’è stato il rapporto padre-figlio?
È stato molto alla pari, aveva solo 20 anni quando sono nato. Non è mai stato un padre autoritario e questo mi è un po’ mancato, ma mi ritengo fortunato: è riuscito a insegnarmi cose importanti senza forzature, in modo trasversale. È stato più complice che controparte; di questo si è presa carico mia madre.
In adolescenza mi è mancato molto; poi, presa la patente ho iniziato a collaborare con lui, sono entrato nella sua vita prepotentemente. A quell’età di solito ci si divide…Per noi è stato il contrario: abbiamo iniziato a lavorare insieme.
Come vedevi tuo padre come artista? C’è un aspetto di lui meno conosciuto dal suo pubblico?
Era un artista fuori dalla norma, sia per doti vocali che umane. Spesso gli artisti hanno una vena egoista marcata; aveva un grande ego lui, ma continuava ad essere una persona molto disponibile. Non era di quelli che fuori dal palco ti crolla un mito. Con lui, quando conoscevi l’uomo eri doppiamente affascinato dall’artista. Era un entusiasta della vita e non se la tirava per niente, anche se questo spesso nuoceva a me come figlio: andavamo a prendere un gelato e si finiva a fare foto e firmare autografi. Come artista poi non era solo un cantante: ha scritto racconti, ideato grafiche e disegnato loghi. Le idee dei videoclip dei Tazenda sono sue ed è stato regista di documentari: Sartiglia, Carnevale in Sardegna, Candelieri…
È stato ideatore di eventi: oggi parliamo di cortes apertas, ma le Lune di Osidda, che sono arrivate ancor prima, avevano quel concept: piccolo borgo, cortili aperti, serate a tema e musica. Tutte intuizioni molto importanti e fantasia che sapeva applicare in più campi. Era un artista persino in cucina! Quello che non tutti conoscono era il suo approccio alla vita: con arte.
Un ricordo particolare di Andrea come padre e come artista.
Quella volta che, di rientro da una miniera occupata nel Sulcis, dove era stato con me al seguito ad offrire spontanea solidarietà e sostegno ai minatori; mi fece un discorso che non dimenticherò mai. Quei lavoratori lottavano per 1.200.000 mila lire al mese con cui mantenere una famiglia intera ed io chiedevo insistentemente un motorino che ne costava 3… Avevo 14 anni e lo desideravo tanto quel motorino; i buoni voti a scuola che mi erano stati richiesti in cambio erano arrivati, ma mia madre non era d’accordo; i miei genitori erano separati e lei temeva i motorini. Mio padre la risolse in un modo che capii solo più tardi: – I voti ci sono, ma tua madre non è d’accordo, se però te lo compri con le tue forze…- e mi propose di contattare un suo amico albergatore. Feci la stagione come cameriere a Santa Teresa e fu una delle estati più divertenti della mia vita. Non che l’avessi presa bene, intendiamoci: i bocciati in giro con i motorini ed io a lavorare. Ma con gli anni quell’esperienza si è rivelata importante: ho capito prima degli altri il valore del danaro. Mio padre da un lato mi tagliava i viveri, ma dall’altro mi forniva occasioni, stava a me scegliere. E così continuai a lavorare anche d’inverno.
Andrea Parodi col figlio Luca negli anni Novanta
Vuoi parlarci del suo rapporto con i luoghi della Sardegna?
Mio padre era nato al mare, adorava la pesca: Porto Torres, il golfo dell’Asinara, Santa Teresa di Gallura e Capotesta, dove aveva amici con i quali organizzava grandi battute di pesca. Una parte più introspettiva e meditativa del suo carattere lo spingeva verso l’interno dove ha trovato le sue radici, la sua musica. Ad Ottana, Orgosolo, Oliena per esempio, aveva amici che io frequento ancora. A Mamoiada i Tazenda hanno dedicato un brano, Ottana è stata protagonista di video e ad Osidda è diventato cittadino onorario e si è sposato. Era uomo di mare, ma il centro Sardegna gli era particolarmente caro ed è lì che trovava rifugio nei momenti difficili.
Andrea e i Tazenda: oltre al legame lavorativo qual era il rapporto con Gino e Gigi?
Sono stati innanzitutto grandi amici, mio padre ha condiviso più tempo con loro che con noi di famiglia. Nei primi anni 90, facevano 100/120 concerti all’anno condividendo palco, spostamenti e alberghi. Se poi consideriamo il tempo passato in studio di registrazione, in sala prove, trasmissioni televisive, vivevano più tra loro che con chiunque altro
Poi hanno preso strade diverse…
È stata una scelta di mio padre, che nel ‘97 ha voluto seguire il filone della world music. I Tazenda invece hanno proseguito sul filone del pop, due filosofie distanti in quel momento.
Tutt’oggi se dovessi chiedere a Gino Marielli o Gigi Camedda che cosa pensano di certi lavori, mi risponderebbero che non è la loro musica, anche se ultimamente, pur rimanendo forti nei loro suoni distorti, si sono cimentati nello spettacolo acustico.
Anche dopo aver intrapreso percorsi professionali diversi però Andrea, Gino e Gigi sono rimasti comunque grandi amici, non hanno mai diviso completamente le loro strade tant’è vero che si sono rincontrati sul palco prima che papà se ne andasse.