Serie D – Latte Dolce tra gruppo e difesa: coperta corta, ma le soluzioni non mancano
VECCHIO CHE AFFASCINA
di Fabio Loi
GAIRO, IL SUGGESTIVO PAESE FANTASMA DOVE IL TEMPO SI È FERMATO
Se la Sardegna fosse un essere vivente l’Ogliastra sarebbe il suo fegato. Con le sue forme agrodolci, i suoi monti che si gettano coraggiosi e spavaldi sul mare annientandola dall’alto, l’Ogliastra è una donna guerriera e sensuale, un’amazzone che cavalca l’orizzonte orientale dell’Isola.
Quasi nascosto, in questo spicchio di terra così particolare, si trova Gairo Vecchio, uno dei tanti paesi fantasma della Sardegna. La strada per arrivarci è semplice, da subito i panorami dorati e morbidi si dissolvono e appaiano rocciosi e argentei i monti e le vallate protette dai grandi alberi ad alto fusto, in posizione di difesa. La strada sembra sia stata ritagliata da mani nervose e un po’ sadiche.
Il panorama è mozzafiato, anche da vicino. Ogni casa ha un camino, una nicchia, un arco e una finestra verso il mondo. È una guerra di pavimenti crollati, tegole implose e ferri arrugginiti arricciolati verso il basso come lacrime lunghe. Sembra che la conflagrazione sia arrivata in un istante e che una bomba abbia spazzato via gli uomini; le spine dei rovi sono le uniche armi di questa belligeranza ostile, l’elicriso selvatico e gli alberi del fico paiono prepotenti e unici autocrati di questo paese, comandano loro. L’anarchica democrazia della natura ha attuato il suo piano di riappropriarsi del territorio sottrattogli tempo fa.
Non c’è casa senza un fiore dentro e su di esso una farfalla. Ogni casa ha perduto il tetto, ha cioè rinunciato alla sua vera funzione, non protegge più, al massimo ora delimita. Ogni casa è un cortile dissoluto e caotico, viscide sotto si muovono le lucertole che offese girano la faccia dall’altra parte. Appare un signore in questo paese fantasma, dritto come gli abeti tutti intorno, <<sapete io sono nato qui! Capito?>>. Ha voglia di parlare, dice <<ho fatto la terza elementare, qui eravamo tutti ignoranti, capito?>>.
Il signore è austero, lineare, ligneo, <<in questo paese è partita la stirpe che diede la vita a Mameli, il compositore dell’inno d’Italia, mi sono spiegato?>>, scandisce come in un encomio militaresco, <<quanto è vero che sono C. Carmine di anni ottanta, a Febbraio>>.
Così si scopre che è stato un militare ligio e scrupoloso, con la divisa sempre luccicante e perfetta, ora invece indossa una camicia a righe bianche ben infilata in un pantalone nero corvino nuovo di zecca. La cinghia di pelle nera lo tiene in piedi come una statua sul suo piedistallo, ha un paio di occhiali moderni appesi al collo e documenti nel taschino sul petto. Signor Carmine è un perfezionista, sorride con una dentatura da pubblicità ma compostamente, senza esagerare, e conclude ogni frase con uno stringato <<capito?>> perché teme di non essere compreso. Dice anche che <<ho fatto l’operaio a Torino per tanti anni, ora sono in pensione, ho le pecore, l’orto, faccio il formaggio>>. È proprio Sardo il signor Carmine, è un frutto agrodolce di questo albero eterno e mistico che è la Sardegna. Si può anche cadere e rotolare lontano, fare un giro lungo, ma poi si rincasa sempre da Lei, anche dopo tanti anni.