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Uomini maltrattanti: cambiamo il punto di vista
Quando si parla di violenza sulle donne l’attenzione è necessariamente rivolta alle vittime. Ma chi si occupa di riabilitare il colpevole? Ce ne ha parlato la dott.ssa Nicoletta Malesa del Centro di Ascolto Nord Sardegna
Contrariamente a quanto si possa pensare, in molte occasioni sono gli stessi uomini a contattare i centri specializzati per iniziare un processo di recupero, dopo aver commesso atti violenti. Il CAM, Centro di Ascolto per uomini maltrattanti, è uno di questi.
Presente nel nord Sardegna dal 2014 nelle province di Sassari, Nuoro, Olbia e Oristano, ha come missione accogliere l’autore di violenza domestica in uno spazio non giudicante, che condanna il comportamento ma senza stigmatizzare la persona. Viene favorito il percorso di cambiamento orientato al rispetto della compagna e al potenziamento delle competenze genitoriali, attraverso l’assunzione di responsabilità dei propri comportamenti e la non giustificazione degli stessi. In quasi quattro anni di attività, da luglio 2014 a settembre 2020, il CAM ha ottenuto oltre 170 contatti per la maggior parte inclusi nella fascia tra i 41 e i 60 anni d’età.
Al centro pervengono richieste di vario genere: uomini che spontaneamente dichiarano di agire violenza contro le proprie partner; uomini in stato di disagio psicologico e/o economico che chiedono supporto; donne vittime di violenza che chiedono informazioni per la presa in carico del proprio partner violento; donne vittime di violenza che chiedono di essere aiutate perché non conoscono altri centri di supporto nel territorio.
L’obiettivo è quello di intervenire direttamente su chi opera violenza al fine di prevenire e arginare episodi che spesso degenerano in veri e propri reati penali. Seguendo le linee guida europee “Work with Perpetrators of Domestic Violence in Europe – WWP” (parte del programma Daphne II), il CAM si avvale della collaborazione di uno staff multidisciplinare costituito da Counselor, psicologi, psicoterapeuti e criminologi che, oltre alle proprie competenze, hanno acquisito una specifica formazione per operare con uomini che agiscono violenza nelle relazioni affettive.
Abbiamo avuto il piacere di approfondire il lavoro di questa ONLUS insieme alla presidentessa e coordinatrice, Nicoletta Malesa.
Il CAM opera dal 2014, quanto è cambiato l’approccio con l’autodenuncia maschile?
Purtroppo, non si può parlare di autodenuncia in maniera totalizzante. L’autodenuncia implicherebbe una consapevolezza dell’uomo nei confronti dei propri comportamenti e del proprio agito, implicherebbe la comprensione della propria responsabilità e l’accettazione delle conseguenze. Ancora tanti degli uomini che accedono al servizio minimizzano, allontanano, da sé stessi e dalla relazione, la responsabilità dell’atto violento mettendo in atto meccanismi come la negazione. Si sentono vittime a loro volta. Per questo, oggi come nel 2014, il percorso al CAM mira a destrutturare il costrutto della violenza che si compone di aspetti socioculturali radicati negli anni. Non si può e non si deve parlare di medicalizzazione dell’uomo autore di violenza perché, ancora una volta, si de-responsabilizzerebbe, spostando l’attenzione dalle vere cause e radici del comportamento abusante, verso la patologia. Ritengo particolarmente significativa la frase di un uomo che ha già svolto buona parte del percorso: «Sto apprendendo cose finora a me sconosciute».
Quanto è difficile far comprendere l’importanza di trattare subito il colpevole di atti lesivi?
Con questa domanda si tocca il vivo della nostra battaglia. È di fondamentale importanza sensibilizzare Enti, Istituzioni, Forze di Polizia, Tribunali, la politica in primis, sulla necessità di intervenire prima che accadano i terribili fatti di cronaca che puntualmente ci sconvolgono e sconvolgono le vite di chi, direttamente o indirettamente, ne rimane coinvolto. Un femminicidio non è un raptus, non è un destino, ma soprattutto non è “inevitabile”. Un femminicidio è la punta dell’iceberg di una serie di segnali che in alcuni casi potevano essere intercettati, ma sono stati sottovalutati, ignorati, a volte persino sminuiti. Il lavoro dei CAM viene definito quale servizio di “tutela secondaria delle donne e dei minori” perché agire preventivamente sul cambiamento dell’uomo autore di violenza significa operare in termini di prevenzione per cercare di garantire lasicurezza delle mogli, delle fidanzate, delle compagne o delle ex e – non ultima – quella dei figli. Far comprendere l’importanza di agire in prevenzione è stato complesso: abbiamo organizzato incontri di formazione, convegni e dibattiti. Molti passi sono stati fatti ma ancora non è abbastanza. In troppi sono convinti che l’aumento della pena sia direttamente proporzionale alla diminuzione del reato. Non è così. Allo scenario penale occorre affiancare la valutazione di percorsi specifici per gli autori di reato di violenza domestica, continuando a percorrere la strada aperta dalle modifiche introdotte dal Codice Rosso.
In media sono più uomini o più donne a chiamarvi?
Diciamo che possiamo fare un distinguo tra i primi tre anni di attività e gli ultimi tre. Durante i primi abbiamo avuto un 50% di richieste che arrivavano dagli uomini e un 50% che arrivavano da partner, ex partner, figlie, madri, che ci contattavano per i loro compagni, ex-compagni, padri e figli. In seguito all’importante lavoro di rete e di sensibilizzazione e la stipula di protocolli operativi – pur rimanendo alta la percentuale di uomini che chiedono aiuto spontaneamente – sono aumentati, conseguentemente al costante lavoro di diffusionee di divulgazione delle attività del servizio, le richieste di presa in carico e di valutazione dell’uomo da parte dei servizi e da parte dei professionisti (avvocati, assistenti sociali, etc.). Possiamo dire che il lavoro di rete fatto letteralmente “porta a porta”, ha avuto una ricaduta positiva in termini di aumento del numero degli uomini inviati da parte dei professionisti destinatari del lavoro di sensibilizzazione.
Il Lockdown ha influito nei numeri di richieste?
Faccio una premessa: per intervenire efficacemente in quel nuovo e allarmante contesto, come operatori del CAM Nord Sardegna siamo stati supportati dalla formazione attivata dalla WWP European Network for the Work with Perpetrators of Domestic Violence, dal titolo “Il lavoro degli autori durante COVID-19: aspetti critici e nuove sfide“, condotta dalla direttrice esecutiva WWP-EN, la dott.ssa Alessandra Pauncz, che ha fornito una panoramica dello sviluppo delle linee guida WWP-EN per garantire un lavoro responsabile per gli autori durante COVID-19 con esperti di violenza domestica da tutta Europa e dagli Stati Uniti. Per mantenere la continuità del lavoro con gli uomini e contribuire a garantire la sicurezza di donne e minori, abbiamo prontamente attivato un account Skype dedicato che ha consentito la ripresa degli incontri individuali e di gruppo. Durante il lockdown abbiamo rilevato le conseguenze della condizione di convivenza forzata, che hanno richiesto un monitoraggio maggiormente costante. Sono stati gli stessi uomini a richiederlo per timore di innescare situazioni di conflitto. Subito dopo il lockdown, abbiamo registrato un aumento del 5% delle richieste degli utenti e un incremento sia per quanto riguarda il numero concordato di incontri skype, che del numero delle telefonate. È stato necessario rivedere la cadenza degli incontri sulla base dell’aumento delle richieste da parte degli uomini in percorso.
L’associazione si trova in difficoltà, può darci i dettagli e spiegare come poterla sostenere?
La nostra è una battaglia che facciamo non solo per noi ma per tutti i Centri di recupero per autori di violenza, presenti e futuri, che nasceranno sul territorio sardo. Stiamo chiedendo, attraverso una petizione con raccolta firme, di rivedere la modalità di assegnazione dei fondi previsti per i CU. Al momento, i fondi vengono assegnati a bando con avviso pubblico andando a selezionare un solo progetto vincitore ed escludendo, di fatto, tutte le altre realtà che devono continuare a lavorare nella precarietà. Le risorse invece, così come accade per i Centri Antiviolenza, dovrebbero essere assegnate per contributo diretto sulla base della relazione attività. Niente di più di un’equa distribuzione che stabilizzi i Centri già operanti nel territorio sardo e quelli che andranno a crearsi, così come previsto dall’art.9 della Legge Regionale 48/2018 (Legge di Stabilità 2019). Voglio ricordare che il nostro servizio – attivo su praticamente tutta la Sardegna – è gratuito e viene portato avanti principalmente con le nostre risorse economiche personali. Nella nostra pagina Facebook – Centro di Ascolto Uomini Maltrattanti Nord Sardegna – si possono trovare tutti i riferimenti per firmare la petizione online sulla piattaforma dedicata. Siamo in seria difficoltà: il nostro servizio rischia la chiusura e una cinquantina di uomini in percorso rimarrebbero senza il monitoraggio e il contenimento che cerchiamo di garantire. La Sardegna perderebbe il primo centro specialistico per la presa in carico degli autori di violenza nell’Isola. Ma la prima preoccupazione è sempre per loro, donne e minori i quali chiedono solo di smettere di avere paura, e per i quali noi lavoriamo affinché ciò possa accadere. La violenza non scompare con la bacchetta magica ad opera dei CAM, la violenza richiede uno sforzo di lavoro di rete che non escluda nessuno: richiede capillarità, costanza, continuità, e non ultima, collaborazione. Dove c’è accentramento, c’è fragilità. Dove c’è condivisione, c’è forza.