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Una vita ostinata: intervista a Sandro Veronesi
ph. Gianmichele Manca
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Uno scrittore possiede mille talenti, tangenti e paralleli all’arte di imbastire le parole. Sandro Veronesi, romanziere bestseller, ma anche architetto, musicologo rock, otaku- i fan dei manga- per contagio, ‘eroe’ per necessità, profeta dei futuri, ne è un esempio raro. Classe 1959, toscano, premio Strega nel 2006 con ‘Caos calmo’, è stato a Sassari, invitato dal festival letterario Entula, per presentare, alla Camera di commercio, la sua ultima opera: ‘Il colibrì’.
Cinque anni per scrivere il suo libro. Il tempo della realtà, o della vita quotidiana, ha trovato posto nel suo progetto?
Io conto che il tempo storico entri dentro la narrazione perché non posso pensare di mantenere l’idea pura di cinque anni fa come se il mondo, intanto, non fosse andato avanti. Cose alte, basse, anche pop, o eventi di grande impatto politico io li accolgo volentieri. C’è sempre spazio per quello che arriva col tempo, è l’unica variabile che puoi decidere se accogliere o no.
In Italia non si legge. Un’emergenza nazionale: cosa ne pensa uno che vive di parole come lei?
Sono sbalordito. Ci sono così poche persone che amano leggere e non capisco perché. Costa poco, non ha bisogno di connessione o aggiornamenti… Per me resta un mistero. Siamo in una società libera, possiamo scegliere cosa leggere, non siamo mica indottrinati. Capirei in un regime ma qui no!
Marco Carrera, il protagonista de ‘Il colibrì’, viene definito un ‘eroe’. Nella sua produzione letteraria ritorna spesso questa figura. Può darcene una definizione?
È un eroe chi si sente un eroe. L’eroismo è un cliché dell’immaginario come il suo contraltare: il vittimismo. Chi è una vittima? Chi si sente tale. Non importa se lo è davvero. Il mio protagonista si becca le rimostranze della donna di cui è innamorato che lo rimprovera di comportarsi da eroe:”Sì, l’ho sempre fatto”, le risponde. “E tu lo sapevi benissimo”.
Per Pirandello ‘la vita o la si vive o la si scrive’. Nel suo caso?
Per me vita e letteratura coincidono. Per esempio in ‘Profezia’ (un testo breve del 2011 n.d.r) ho scritto dei miei genitori, morti entrambi a distanza ravvicinata. Questo ha fatto di me un orfano. È stata la fine del mio mondo di figlio: un’apocalisse. Dopo molti tentativi ne è venuta fuori un’opera letteraria con cui ho saldato il debito con la vita vissuta.
Nei mesi scorsi si è scagliato contro la politica dei porti chiusi del precedente governo. Tante le critiche così come gli appoggi.
Pensavo di fare un gesto isolato. Invece mi sono tirato dietro molte persone che non aspettavano altro che qualcuno facesse il primo passo. Molte donne, quasi più degli uomini. Il mio bersaglio erano gli intellettuali. Dovevano fare di più, e l’hanno fatto.
Ne ‘Il colibrì’, attraverso la nipote di Marco, si parla di manga. Si ritiene un esperto?
Adotto sempre i punti di vista dei miei personaggi. I manga sono la grande passione della figlia di Marco che battezza la propria creatura con ‘Maraijin’, un nome tratto dall’opera del mangaka per eccellenza Osamu Tezuka. Ho approfondito l’argomento perché è una grande occasione, quando si scrive, di immedesimarsi con gli occhi che non hai mai avuto.
Parliamo di musica. Nel libro gioca un ruolo fondamentale.
Quando scrivo penso a Frank Zappa. Al suo modello di composizione musicale che richiede almeno quattro idee per realizzare un’opera. Idee da mescolare e bombardare una con l’altra.
La musica è anche una compagna di viaggio?
Certo. Mi sono formato negli anni ’70, come i personaggi del romanzo. A quel tempo la grande novità era l’accesso diretto alla musica dei giovanissimi. Andavi appresso a gente come David Bowie, i Led Zeppelin, Bob Dylan…
Un passaggio generazionale decisivo. Andava in scena il conflitto coi genitori che, nel migliore dei casi, amavano la musica classica, e i loro figli che si saziavano di capolavori del rock. In quegli anni se ne sfornava uno a settimana.
Si sente minacciato dagli ebook? Teme che Amazon possa eliminare l’editoria come l’abbiamo conosciuta finora?
Nessuno può distruggermi se non lo voglio. Amazon non è fatto per spazzare via gli scrittori e la letteratura. Quanto agli ebook… Li prenderò sul serio quando permetteranno due cose. La prima è di poterci fare sopra una dedica personalizzata; la seconda di lasciarli in eredità ai figli- io ne ho cinque- perché ora non si può. Finché non saranno possibili queste due cose io non li considero libri come quelli di carta.