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Su Filindeu, “I fili di Dio” in onore di San Francesco di Lula
“I fili di Dio”, o per meglio dire “de su filindeu”, una pasta sarda, ritenuta sacra per via della particolare storia che la caratterizza
Ogni anno a Lula (1 250 abitanti in Provincia di Nuoro), da ben cinque secoli, i fedeli si dedicano in un pellegrinaggio di circa trenta chilometri a piedi, dalla Chiesa della Solitudine sino alla parrocchia intitolata a San Francesco d’Assisi. L’edificazione, secondo l’antica leggenda, venne fatta in seguito alla promessa di un uomo, ricercato con l’accusa di omicidio: qualora fosse stato dichiarato innocente, avrebbe fatto sorgere una Chiesa nel posto in cui si stava nascondendo. L’uomo, per volere di San Francesco, venne dichiarato innocente e si preoccupò di mantenere la promessa, realizzando il santuario che verrà situato ai piedi del Montalbo. Qui vi è un’atmosfera di accoglienza, che è data dalle “cumbessias”, ovvero delle piccole case poste attorno alla Chiesa, come luogo di alloggio per i fedeli in difficoltà.
Alla fine del lungo pellegrinaggio, i fedeli vengono invitati a mangiare su filindeu, spesso accompagnato da una minestra, per ricordare l’inaugurazione della chiesa, dove gli abitanti si unirono con clima di festa in un banchetto, che presentava appunto questo tipo di pasta.
La tecnica di preparazione del su filindeu, racchiude un antico metodo intricato che, nonostante la semplicità della pasta, ancora oggi è molto significativo per gli abitanti di Nuoro. Venne portato per la prima volta a tavola dalle donne della famiglia Abraini, le uniche a conoscenza del procedimento della lavorazione di questa pasta, non solo a Nuoro, ma in tutta la Sardegna.
L’impasto è formato esclusivamente da semola di grano duro, acqua, sale per poi essere lavorato a lungo per ammorbidirlo.
È importante sottolineare come solamente le mani che lavorano la pasta possono percepire il momento in cui l’impastatura è ben amalgamata, considerando che non è possibile definire chiaramente quanto abbia bisogno di essere inumidita con acqua salata, se non esclusivamente dalle sensazioni di chi ha accumulato negli anni la dimestichezza nel maneggiarla.
Viene poi ripiegata per otto volte, ottenendo fino a duecento-cinquantasei sottili fili, posati in tre strati sovrapposti sopra su fundu.
Fatto ciò, viene fatta essiccare al sole. Spesso viene frantumata per accompagnare il caldo brodo di pecora.
Si dice che il pellegrino, rifiutando la minestra offerta, avrebbe offeso il Santo, in linea con la diceria popolare secondo la quale una sposa non volendo assaggiare su filindeu durante il suo ritorno a Nuoro, cadde dal cavallo e successivamente in una fossa, infatti poi denominata “il fosso della sposa”.
La preparazione e la storia, così antiche, vennero tramandate oralmente da madre in figlia dando l’idea di un piatto capace di trasmettere un messaggio profondo da una ricetta così semplice e racchiudendo idealmente un clima di ospitalità, accoglimento e devozione tra le generazioni.
Un altro piatto molto comune di questa sagra è su zurrette, ovvero il sangue di pecora (condito con timo selvatico, menta, pane carasau sbriciolato e formaggio), la cui cottura avviene all’interno dello stomaco dell’animale, dopo aver salato e lavato con acqua e aceto la carne.
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