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Su callu ‘e cabrittu è il segreto della resistenza al Covid 19 dei centenari sardi?
“La maggior parte di loro è carente nell’enzima G6PD”, secondo la ricercatrice del CNR Stefania Ruju sarebbe questo il vero segreto dei Matusalemme dell’Isola. Il documentario del regista Pietro Mereu, “Il club dei centenari d’Ogliastra”, parrebbe dimostrarlo
Di Paolo Salvatore Orrù
E se il segreto della longevità dei centenari sardi fosse merito del tanto bistrattato formaggio marcio o de su callu de crabittu? Ci sarebbe piaciuto, ma non è così. Quel che però è certo è che nessuno di loro è stato attaccato e vinto dal coronavirus, nonostante la ‘transumanza’ di molti italiani che per sfuggire alla “peste” hanno scelto di sostare più a lungo nell’Isola degli Shardana. C’è stato solo un caso, quello di uno “tziu” di 91 anni, ancora un giovanotto rispetto ai sardi che hanno ereditato il Dna di Matusalemme. “Se sono in buona salute a quell’età dimostra che hanno meccanismi organici, metabolici, psicologici ancora funzionanti. Per esempio, quasi sempre hanno una pressione massima del sangue bassa naturalmente e non hanno mai avuto nella vita problemi gastrointestinali”, ha detto a cronachediscienza.it Elio Musco, geriatra e neuropsichiatra fiorentino.
Per gli scienziati, i centenari sardi, siccome non si può pensare che abbiano una immunizzazione acquisita essendo Covid-19 un virus recente, hanno probabilmente maturato, per sopravvivere alla malaria, nel corso dei millenni uno scudo genetico diverso da quello degli altri italiani. “Ipotesi questa che dovrebbe mettere subito in moto la scienza anche ai fini di una riapertura delle attività lavorative, economiche: sapere di avere persone che naturalmente non si ammalano significa partire già con un potenziale di ripresa più elevato”, ha scritto cronachediscienza.it. La rivista scientifica, ha spiegato questo fenomeno dicendo che in fin dei conti “persone simili esistevano anche all’epoca dell’incurabile peste nera di manzoniana memoria: i ‘monatti’ lavoravano perché immuni, non si ammalavano e il perché nel 1630 era impensabile scoprirlo”.
I sardi non sono invulnerabili, anzi, per una serie di fattori in passato hanno sofferto, più che nel resto del Paese, di malaria e ancora oggi soffrono di favismo mediterraneo, artrite reumatoide e sclerosi multipla. La resistenza al Covid-19 è solo un caso o c’è qualcosa di più? “Un caso? Forse no – ha spiegato sempre a cronachediscienza.it Stefania Ruju, ricercatrice in biomedicina del CNR -, vale la pena indagare e presto”. Il favismo è una forma di grave anemia diffusa in Italia soprattutto nel Sud e nelle isole, causata dall’ingestione di fave (Vicia faba) e di alcuni farmaci. La malattia è in relazione con la mancanza ereditaria di un enzima del metabolismo del glucosio. La carenza di questo enzima può scatenare vere e proprie “crisi emolitiche” ovvero massicce distruzioni di globuli rossi con conseguente anemia.
Che cosa fare allora per sapere se esiste un’immunità naturale o comunque un’infezione senza sintomi (e questo è importante per sapere se un asintomatico può infettare altri)? “Vedere la risposta del sistema immunitario con la tipizzazione linfocitaria (cioè vedere quali cellule di difesa si attivano e di quale tipo, informazioni fondamentali per dare risposte alle ipotesi). Quindi, test sierologici, tipizzazione delle immunoglobuline IgG e IgM per distinguere se è un contagiato iniziale e se è un asintomatico. Al San Martino di Genova, per esempio, lo stanno facendo. Associato alla misurazione delle IgM il tampone faringeo”, sostiene la Ruju.
Perché la ricercatrice sottolinea faringeo? “Perché si stanno facendo tamponi diversi a livello nazionale, alcuni nasali altri faringei. Ma il virus replicante a livello nasale potrebbe non essere trovato e quindi dare un risultato negativo, nella faringe invece c’è sempre. Oggi sappiamo con certezza che il virus replicante non c’è nel sangue e nelle urine, mentre nelle feci si può trovare Rna del virus ma non il virus replicante. Nel naso, Rna ma rare tracce del virus replicante, quindi il tampone può risultare negativo. Solo il tampone faringeo è attendibile”.
“La maggior parte dei centenari sardi è carente nell’enzima G6PD, potrebbe essere questo il loro segreto”. Del favismo esiste una variante mediterranea (la più alta percentuale in Sardegna) e una variante africana. E chissà se non è questa la risposta anche agli immigrati di colore che non si ammalano gravemente e all’Africa che preoccupa molto l’OMS ma che finora non sembra subire nei numeri l’effetto pandemico. Stefania Ruju ha concluso dicendo che in Sardegna si ha la possibilità “di misurare la reazione esagerata al virus, l’alterazione nel rapporto tra i vari linfociti, di individuare chi può tornare a contagiare, quale immunità persiste dopo un mese, due mesi… eccetera. Così programmare una riapertura delle attività regolamentata, in sicurezza”. Una proposta da sottoporre al governo e da far partire il primo possibile.
Per conoscere il territorio dove si concentra una delle popolazioni più longeve al mondo, si consiglia di vedere un documentario realizzato dal regista Pietro Mereu. “Il club dei centenari d’Ogliastra”, questo il titolo del lavoro, ha vinto il Premio del pubblico 2018 del 25/mo Sguardi Altrove Film Festival. Prodotto da Ilex Productions, il film segue molti ultracentenari che raccontano episodi della loro vita: da come si alimentano – dal latte di capra, alla pasta e pane fatti in casa, alla carne al sangue e al vino genuino – a come hanno affrontato le intemperie, i pericoli, la solitudine, tutte persone determinate, religiose e socialmente uniti.