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Shakspeare parla in sardo: il “Macbettu” di Alessandro Serra
di Eva Ferrari
l9 marzo 2018, presso il Teatro del Carmine di Tempio Pausania, è andato in scena Macbettu di Alessandro Serra, tappa di una tournée debuttata il 22 marzo 2017 al Teatro Massimo di Cagliari e ancora attiva.
L’opera è un adattamento della tragedia Macbeth di William Shakespeare (scritta tra il 1605 e il 1608) rivisitata in chiave sarda. Si tratta, infatti, di una messinscena recitata interamente in lingua e ambientata nella Barbagia di un tempo, ricca di riti pagani e retta dal principio ancestrale della balentìa. L’idea di lavorare ad un’opera, definita da pubblico e critica tanto visionaria, quanto acustica, affonda le sue radici nell’ormai lontano febbraio 2006. In quest’occasione, durante un reportage fotografico fra i carnevali della Sardegna, il regista Alessandro Serra ha messo a fuoco le somiglianze tra la terra d’origine dei suoi avi e la Scozia raccontata da William Shakespeare.
I suoni cupi prodotti da campanacci e antichi oggetti, le corna di animali, le pelli, i materiali come il legno o il sughero, hanno reso così possibile la metamorfosi della tragedia shakespeariana. Una metamorfosi anomala, poichè poco incline ad annientare Macbeth, ma desiderosa di fortificarlo attraverso la potenza di una lingua ruvida come quella sarda e il carattere fiero dei pastori isolani di un tempo. I carnevali di Mamoiada, Bosa e Ottana, per mezzo della rievocazione di antiche usanze e costumi, hanno reso possibile riscoprire dietro i volti anneriti di due bambini i futuri Banquo e Macbettu o, ancora, nelle attitadoras le streghe della tragedia.
Una festa pagana è divenuta così terreno fertile in cui far attecchire l’ispirazione artistica, tanto da inoculare nello spettacolo ogni frammento di quell’esperienza fotografica sciogliendo i legami congeniti e le analogie. A tal proposito è importante notare che, così come nei carnevali sardi tutti i peronaggi femminili vengono impersonati da uomini -unici protagonisti ammessi-, anche nella messinscena di Serra i ruoli femminili sono stati interpretati unicamente da maschi. Nonostante l’omissione del gentil sesso, tuttavia, la storia non sembra subire alcun danno, nè potrebbe essere tacciata di maschilismo.
Nel Macbettu pare non esistere una differenza di genere. Ciò che conta è la potenza della lingua, del sentimento. Così Alessandro Serra ha chiesto ai suoi attori di parlare senza impedimenti, di sgorgare come acqua pura. Ha cercato – e trovato- un suono vivo e aspro che è riuscito a rendere vibrante e attuale un classico della Storia del Teatro proprio attraverso la primordiale ferinità. Spesso, infatti, le traduzioni drammaturgiche invecchiano, ciò che conta è non rendere obsolete le opere impantanandole in una lingua che spegne la loro grandezza. E proprio verso il recupero del bello si sono mossi l’occhio vigile e la mano sapiente di Alessandro Serra.
Il testo presenta delle notevoli differenze, nonchè una lunghezza estremamente ridotta rispetto alla tragedia shakespeariana.
La lingua impiegata, come chiarito in precedenza, è il sardo barbaricino -con l’eccezione del dialetto sassarese del portiere nella scena dieci-, scelta autoriale che impone un ulteriore cambiamento: il luogo d’ambientazione è la Sardegna e non più la Scozia, benchè si continui a parlare di titoli nobiliari legati a quest’ultima terra. Questa scelta comporta una scrittura stringata, fatta di frasi estremamente chiare -ma al contempo poetiche- che lasciano spazio ad improvvise imprecazioni tipiche della cultura isolana.
Confrontarsi con William Shakespeare, bisogna dirlo, non è sempre cosa buona e giusta. Il rischio è doppio: o si scimmiotta in maniera indegna un capolavoro del teatro inglese, o si stravolgono testo e psicologia dei personaggi. In entrambi i casi il desiderio è soltanto uno: ottenere il placet di pubblico e critica. Come sempre.
Ma cosa succede se, una volta tanto, ci si avvicina a Shakespeare per rubargli una storia? Cosa succede se si scrive, si dirige e si recita per sè e non per gli altri? Succede che s’incontra il Teatro. Quello vero, quello che nasce dall’esigenza di capirsi e di capire gli altri, quello che attinge dalla tradizione e dalla sperimentazione nel tentativo disperato di continuare a scrivere la storia. Ed ecco, allora, che la lingua scelta non conta, che il significato va cercato nei mille dettagli e rimandi. Così Alessandro Serra ruba con intelligenza da Jerzy Grotowski in quello che è il training con gli attori durante le prove, ruba ad Eugenio Barba la voglia di esprimersi nella propria lingua con un interlocutore che spesso non potrà capirla, ruba a Samuel Beckett la scelta di una scenografia senza tempo e luogo. Ruba persino l’ultima cena dalle Sacre Scritture. E fa bene.
Serra, instancabile artigiano del teatro, riesce così a rendere nuovo e -per questo- personale il Macbeth shakespeariano. La scelta di mantenere l’uso del teatro inglese seicentesco di avere in scena soltanto attori maschi anche nei ruoli femminili gli permette, inoltre, di presentare al pubblico tempiese l’attore Fulvio Accogli nei panni di Lady Macbeth. Una decisione forte e rischiosa, considerata la scena di nudo femminile al Teatro del Carmine, alla quale l’attore ha risposto con grande determinazione e coraggio. La sua straordinaria altezza, poi, ha reso ancora più evidente la terribile psicologia del personaggio innalzando quasi un muro tra sè e gli altri personaggi, molto più bassi di lui. Così Lady Macbeth, come una marionettista, ha mosso dall’alto i fili della sua marionetta, fino a morirne attorcigliata.
L’opera ha ottenuto il placet della critica riuscendo ad aggiudicarsi il prestigiosissimo Premio Ubu 2017 (riconoscimento più importante di teatro in Italia, nda) per il Miglior Spettacolo e il Premio ANCT 2017 (Associazione Nazionale dei Critici di Teatro). La tournée proseguirà fino al 2020 con un calendario fitto di impegni e paesi da visitare. Svizzera, Francia, Polonia, Finlandia, Brasile e Colombia sono stati e -in parte- saranno i luoghi in cui Macbettu ha abbattuto o abbatterà a breve la barriera linguistica, portando un po’di Sardegna oltreoceano.