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Grazia Deledda, una scrittrice eternamente bambina
di Giambernardo Piroddi
Come Collodi e Salgari, Deledda conquistò il pubblico anche con le sue fiabe
Il 2016 è stato, fino a prova contraria, un anno di Grazia.
A ottant’anni dalla morte della più celebre e amata scrittrice sarda, Grazia Deledda, e 90 dalla vittoria del premio Nobel per la letteratura, la Sardegna ha festeggiato la figura della narratrice nuorese che non smette di attirare l’attenzione di critici e studiosi in convegni, nuove pubblicazioni, letture nelle scuole, nelle università, negli istituti di studio. Un interesse crescente e fecondo di novità, che crediamo abbia messo ancora una volta in luce le qualità di una scrittrice che ha saputo affascinare l’Europa con la freschezza della sua rappresentazione dell’isola, oltreché con la sua fantasia, l’immaginazione, l’incorrotta fanciullezza (o pitzinnìa) compositiva in cui risiede l’eversività della sua scrittura, anche dal punto di vista antropologico.
Questo perché la narrativa deleddiana pone le sue basi in una rappresentazione dell’isola, nell’accezione tutta novecentesca, di luogo del mito, punto di incontro e di scontro dell’immaginario individuale e di quello collettivo. Una spontaneità che scaturisce da un rapporto di ‘simpateticità’ con la natura sarda e la sua bellezza, caratterizza l’intero tragitto creativo della autrice e trova l’apice più appropriato nel continuo ricorso alle fantastiche similitudini di cui si nutre la sua scrittura. Grazia, attraverso il ponte-congiunzione ‘come’ («Mi pare d’essere una cosa stessa con la roccia, e che l’anima mia sia grande e luminosa come il cielo chiuso dalle montagne della Barbagia fatale») mette in comunicazione realtà e immaginario, invenzione e cronaca, seguendo il filo rosso di un’immaginazione quasi infantile, che non conosce censure e da cui origina altrettanta forza espressionistica delle parole. Ma questa operazione l’autrice seppe lucidamente attuarla non solo sui libri ma anche sui giornali, stavolta declinata attraverso la forma breve degli elzeviri sulle colonne del «Corriere della Sera», o nelle storie fumettate del «Corriere dei piccoli».
Insieme ad autori quali Collodi, De Amicis e Salgari, Deledda ha il merito di aver dato forma e sostanza all’immaginario dei lettori piccoli e grandi dell’Italia unita. Anche attraverso le pagine delle miriadi di giornali a cui collaborò è cresciuta e si è formata una coscienza collettiva degli italiani, in un’epoca in cui il ‘discorso patriottico’ diveniva finalmente discorso pubblico, anche attraverso i manuali scolastici. Ma prima ancora che da questi la formazione di una coscienza e di un immaginario dell’Italia unita poteva essere degnamente perseguita dalle fiabe di Collodi o della stessa Deledda, laddove l’urgenza di ‘formare le coscienze’, appunto, è soddisfatta dal linguaggio, verbale e figurativo, della favola. Un linguaggio emotivo per antonomasia o – prendendo a prestito due termini cardine della teorizzazione giornalistica – dotato di spiccata emotainment e di conseguenza garanzia di sicuro edutainment:emotività di una lingua che parla ai sentimenti (il Cuore deamicisiano per l’appunto), educandoli; linguaggio diretto ai bambini, portatore di valori morali essenziali ancorati ad un innato buon senso che non prescinde dall’esperienza, ma che può e deve salvare l’individuo da quelle peggiori.
Parole semplici, naturalmente figurative, che raccontano cose che sovente neppure le parole della cronaca, essenziali e prive di orpelli per natura, riescono a raccontare con pari efficacia. Dell’editoria italiana post-unitaria fu protagonista indiscusso Angelo Fortunato Formíggini: nome non molto noto perché legato in special modo al raccordo tra letteratura adulta e letteratura per l’infanzia. Ma fu proprio lui a tratteggiare, in un editoriale, un profilo di Grazia Deledda sintetico quanto eloquente: «È la sola fra tutte le scrittrici nostre che mi ha fatto sempre l’impressione di una buona mamma ed è la sola cui io, cinquantenne, oserei esprimere questo concetto filiale senza tema di darle dispiacere. Sono contento che il Premio Nobel sia stato assegnato proprio a lei». Una buona mamma, dunque. Lo sanno bene anche tutti gli scrittori sardi venuti dopo di lei. Romanzi a puntate, racconti e rubriche elevarono il valore della rivista a cui collaborarono i più grandi illustratori dell’epoca: Antonio Rubino, Attilio Mussino, Sergio Tofano, Carlo Bisi ed alcune firme illustri della letteratura: Dino Buzzati, Guido Gozzano, Grazia Deledda, Elsa Morante, Olga Visentini, Giana Anguissola.
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