Serie C – I nodi vengono al pettine, Torres: gli errori che smentiscono i pronostici da primo posto
La ‘rivalità’ tra Sassari e Sorso nascerebbe da una fontana
Alimentata da innumerevoli racconti e leggende che ne hanno rafforzato e tramandato vicissitudini colorite ma anche buffe e tragicomiche tra due città molto diverse, ma con molti tratti in comune
Questioni di campanile.
Rivendicazioni territoriali, giurisdizionali, culturali, economiche, religiose e sportive. Queste sono le tematiche che contraddistinguono il fenomeno socio-culturale del campanilismo. Perché di questo si tratta: di una serie di manifestazioni a scopo rivendicatorio.
Le diatribe tra Sassari e Sorso risalgono al periodo Medioevale, quando i cittadini di Sorso pare si prodigassero nell’aiutare i sassaresi nella coltivazione dei campi di cavolo. Fu così che Sassari, in un gesto di riconoscenza decise di dedicare una via al paese di Sorso: via Sorso, proprio nelle vicinanze, della Fontana del Rosello. Le questioni di vicinato sono figlie della storia ma anche di racconti popolari che vengono tramandati e che spesso degenerano nelle favole come quella che darebbe la responsabilità ai sorsensi del tentativo di variazione di domicilio della fontana dei sassaresi per essere trasportata in Romangia. In tempi più recenti ha tenuto banco anche la questione dell’arenile di Platamona/Marina di Sorso e la famigerata Rotonda di Platamona, una sorta di Checkpoint Charlie di berliniana memoria, in salsa nostrana.
Parlando di fontane, Sorso è comunque un’autorità a sé stante. La più conosciuta del centro abitato è nota come la Billellera, il monumento più caratteristico di Sorso, anticamente detta Salinéllu, esistente già a metà Cinquecento, forse in forme diverse da quelle seicentesche. Come attesta il resoconto della visita pastorale dell’arcivescovo turritano Alepus del 1555, un tempo era alimentata da quattro fonti; rinomata e famosa da secoli è stata fatta costruire nel Seicento dal barone Deliperi a imitazione, appunto, di quella del Rosello di Sassari, come un ‘risarcimento’ per non essere riusciti a espropriarla con delle robuste corde.
“Tira chi ti tira, chi Ruseddu si n’isthira”
“Tira chi ti tostha, chi Ruseddu si n’accostha!”
La fontana di Sassari fu dovuta all’estro di ignoti lapicidi genovesi, che arrivarono in città negli anni 1605-6. “Di classica compostezza è veramente di forme originali, degne di venire mutuate” (V. Mossa, Temi d’arte e d’ambiente in Sardegna, Sàssari, Delfino, 1987, pag. 115).
E invece ruota tutto intorno all’acqua della sua fonte, quella che pare avesse il “potere magico” di rendere particolarmente euforici coloro che la bevevano. Varie leggende, tramandate oralmente dagli anziani, che spesso si discostano una dall’altra, parlano di un campo di papaveri dove l’acqua scorreva prima di confluire nella fontana.
Ma qui entrano in gioco altri dettagli curiosi. Accanto alla Billellara cresceva una pianta di Atropa Belladonna, con fiore vero e con seme protetto da un frutto ma con potenziali effetti letali, così particolare al punto da rilasciare essenze particolarmente indesiderate.
Il mistero della Belladonna, una pianta tanto affascinante quanto pericolosa con un nome che risuona quasi come un incantesimo. Si trova anche nei nostri giardini insinuandosi nella vegetazione col suo aspetto un po’ sinistro e le sue proprietà velenose sono giudicate pericolose per l’organismo.
La Belladonna, conosciuta anche come “erba dei matti” contiene una serie di sostanze tossiche che agiscono direttamente sul sistema nervoso centrale dell’uomo. Quando ingerita o assorbita attraverso la pelle, la belladonna può scatenare effetti devastanti che vanno dall‘allucinazione alla paralisi muscolare, passando per convulsioni e arrivando addirittura alla morte.
Alcune fonti parlano invece dell’Ellèboro (Helleborus) ‘la pianta delle streghe’. Usata fin dall’antichità come terapia contro i disturbi della mente, il suo dosaggio era tutt’altro che semplice, essendo la pianta tossica in tutte le sue parti, tanto per l’uomo quanto per gli animali. L’ellèboro contiene l’elleborina, dalle forti proprietà narcotiche e cardiotoniche. È inoltre noto per essere stato usato dalle streghe in epoca medievale: in unguenti, elisir e sabba… ritenendo che esso potesse anche rendere invisibili le persone.
Altre testimonianze parlano invece di avventori che dopo aver riempito il contenitore sotto la bocca della fontana, venivano inebriati dal dolciume di alcune bacche che si trovavano nei pressi della fonte che davano effetti allucinogeni da lasciare po’ storditi, simili ai postumi lasciati dal consumo di bevande alcoliche.
Ma la derivazione del nome è più probabile che venga dalla pianta dell’Edera (l’Hedera helix, pure questa tossica) che cresce copiosa nella zona. Infatti nel dialetto locale edera si pronuncia ellera ‘acqua dell’edera’, eba di l’ellalarae e infine billellera.
Alla fontana è legato, fra i tanti, uno degli usi della Sorso di una volta. Fino agli anni quaranta del secolo scorso, quando nelle case non era ancora in uso l’acqua corrente, le ragazze dei ceti meno abbienti (quelli più ricchi avevano pozzi e cisterne in casa, o in campagna, nel qual caso trasportavano l’acqua dentro grandi brocche di terracotta con i barròcci, cioè i carretti trainati dal cavallo) si recavano alla fontana per attingervi l’acqua potabile necessaria agli usi domestici, portando in equilibrio sulla testa – avendo come unico ausilio un panno arrotolato ad anello (lu tiddiri) – un secchio di legno cilindrico rastremato verso l’alto (lu caddinu) e un mestolo (l’ùppu, una ciotola di sughero nella quale era infilato un lungo e sottile manico di legno). Al ritorno, in cima alla gradonata, trovavano ad attenderle i loro pretendenti che, dopo averle fermate, chiedevano loro: “A mi dai a bì? (Mi dai da bere?)”. Era questo il modo con cui il giovane, galantemente, chiedeva alla ragazza se accettasse la sua corte. Se ella si fermava e gli porgeva il mestolo colmo d’acqua, significava che era consenziente e che i genitori del giovane potevano chiederne la mano ai suoi; viceversa, se non lo era, proseguiva per la sua strada senza fermarsi. In entrambi i casi tutto avveniva senza che la ragazza proferisse una sola parola.
La storia e le leggenda popolare spesso mescolano elementi reali e di fantasia, ma pare che l’etimologia della parola sia di provenienza logudorese o gallurese. Nei pressi della fontana si può trovare ancora oggi la pianta dell’edera e avvalorerebbe pertanto questa ipotesi, alimentando il mito che chiunque bevesse quell’acqua ne subirebbe conseguenze indesiderate.
In realtà i sorsensi vanno fieri della loro pazzia, ma intesa come eccesso di intelligenza che li rende eclettici e diversi dagli altri proprio per il loro estro.
E così da una fontana si alzò il sipario su questa strampalata e secolare ‘contesa’ tra Sorsensi e Sassaresi. Una ‘competizione’ fatta non solo di orgoglio locale ma anche di tante leggende bizzarre e divertenti.
Vale per tutti il detto dei sorsensi che amano replicare a chi li accusa di essere “particolari” con l’affermazione che “lu più maccu di Sossu pò fà lu sindiggu di Sassari”, cioè che ‘il più matto di Sorso può tranquillamente fare il sindaco a Sassari.’
Leggi le altre notizie su www.cityandcity.it
Visita il nostro canale YouTube
Si ringraziano Gian Paolo Ortu, Giuseppe Peru e Ivana Fiorentino per la collaborazione.