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Rod Sacred, alfieri del metal made in Sardinia
La storica Heavy metal band di Villasor è rappresentante di un genere “Duro a morire”
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Tutto nasce alla fine degli Anni Settanta da un’idea di Franco Onnis che all’età di 16 anni inizia a suonare in qualche festicciola con diverse formazioni sino a quando nel 1982 in piena rivoluzione Heavy Metal, fonda i Rod Sacred. Gli echi della NWOBHM ( acronimo di New Wave of British Heavy Metal, movimento musicale nato in Gran Bretagna sul finire degli anni settanta ) e le suggestioni inglesi si fanno sentire nella formazione che rimarrà influenzata dal flavour d’Albione e dalla tendenza musicale che dominerà la scena e i gusti degli appassionati per tutti gli Anni Ottanta anche oltreoceano. I suoi eroi di gioventù si chiamano Saxon, Scorpions, Iron Maiden, Def Leppard e Van Halen. Nel frattempo la band inizia a farsi conoscere in tutta la Sardegna. La loro fama aumenta a dismisura nei circuiti specializzati e il loro nome arriva ad essere conosciuto anche a livello intenazionale nel mondo dell’hard’n’heavy. A fine Anni Ottanta arriva un importante contratto discografico e nel 1990 viene rilasciato il loro primo disco che riceve ottime recensioni dai magazine europei specializzati, ma la sfortuna è dietro l’angolo perché muore in un incidente stradale Paolo Bonilli, il loro chitarrista.
Oggi sono ancora “on the road” in tutta Europa sempre in bilico tra spiegamenti di chitarre distorte e abbondanti dosi di melodia, pronti per un nuovo disco che vedrà la luce entro il 2019. Abbiamo incontrato Franco Onnis leader, bassista della band e imprenditore di 54 anni che ripercorre quasi quattro decenni di storia e che conserva un posto nel cuore degli appassionati di un genere musicale che non passa mai di moda.
Siamo qui per raccontarvelo.
Ciao Franco, quando nascono i Rod Sacred? Ci vuoi raccontare un po’ la genesi e il contesto?
Ciao Andrea e grazie per avermi accolto sulle pagine di City&City. U. n caro saluto a tutti i Vostri sempre più numerosi lettori.
Era il 1979 quando da strimpellatore solitario ho iniziato a pensare fosse più divertente cercare di coinvolgere qualche compagno delle superiori e qualche amico a provare ad eseguire qualche brano poco convenzionale alle mode del periodo…..Un giorno un mio compagno (che ora è un giornalista affermato) arriva in classe con una cassetta, mi mette le cuffie del walkman in testa e rimango folgorato…era Van Halen 1!!! Io sono cresciuto con il Prog degli anni 70 quello grandioso… ma quella cassetta mi stava cambiando le prospettive, ho iniziato a cercare qualcuno che volesse suonare quel nuovo modo di intendere la musica. Ho iniziato come chitarrista ma ci ho messo poco a capire che la mia dimensione ideale era il basso, intanto riuscivo a comprare i primi dischi metal di importazione… Saxon, Iron Maiden, Judas Priest, Scorpions… e nell’82 metto su il mio primo vero combo che suonava brani di questa Nuova ondata di band poi passata alla storia come NWOBHM. Erano nati i Rod Sacred. Intanto sono cresciuti i capelli e un amico mi ha portato un chiodo dall’Olanda. Contestualmente, aumentavano le borchie e più cresceva ( ahimè!!) la diffidenza della gente nei nostri confronti.
Suonare Heavy metal negli Anni Ottanta in Italia (e in Sardegna!) era una vera e propria missione, oserei dire penalizzante per tutta una serie di motivi…
È stato sicuramente un periodo strano perché la gente era curiosa, quindi veniva ai nostri spettacoli. Era tutto nuovo, per noi e per chi ci stava attorno. Abbiamo iniziato a girare la Sardegna a proporre sopratutto cover di Saxon, Scorpions, Iron Maiden e Def Leppard e a farci conoscere come una ottima Live Band. È stato un periodo meraviglioso: volevamo essere trasgressivi e innovativi, abbiamo iniziato a curare i live show con impianti sempre più grandi, laser ed esplosioni che ho sempre curato di persona in quanto studiavo chimica sia alle superiori che poi all’università. Non avevamo certo i soldi per comprare il materiale pronto e questa cura dello show ci ha portato sicuramente notorietà, siamo stati i primi in Sardegna! La Sardegna è stata penalizzante solo quando abbiamo dovuto fare il salto..cercare una casa discografica, fare concerti in Italia… i contatti erano solo via lettera o telefono fisso… Provate ad immaginare!
Negli Anni Ottanta eravate probabilmente la rock/metal band sarda più nota a livello nazionale. Ho letto sempre recensioni lusinghiere nei vostri confronti…
Ho lavorato duramente sotto questo aspetto, dal vivo eravamo una ottima band e ci siamo sempre sbattuti molto per farci conoscere in giro e poi iniziare a comporre i primi brani, registrare i primi demo, lo abbiamo sempre fatto cercando di dare il massimo per quello che eravamo! Spesso ci meravigliavamo noi stessi leggendo Live Report molto lusinghieri nei nostri confronti e soprattutto l’accoglienza dei primi demo è stata fondamentale nel farci capire che potevamo sperare di perseguire il nostro sogno, anche se vivendo altrove avremmo sicuramente raccolto di più.
Nelle riviste specializzate dell’epoca i dj delle rock/metal radio, quando si parlava di band emergenti, citavano sempre il vostro monicker. Avete mai pensato di aver lasciato qualcosa di intentato, un rimpianto particolare, una coincidenza sbagliata…
Ho sempre cercato di capire dove ho sbagliato, parlo al singolare perché ero e sono quello che prende quasi tutte le decisioni importanti e me ne sono sempre assunto la piena responsabilità. Nel momento di maggiore popolarità dei Rod Sacred saremmo dovuti emigrare all’estero e ci abbiamo anche molto timidamente provato ma non abbiamo avuto la determinazione necessaria e poi un episodio che sicuramente avrebbe potuto cambiare le nostre sorti è stato il tentennamento nella firma di un contratto da parte di una grossa Label, la SPV Tedesca che voleva mandarci a distanza di qualche giorno in tour con gli Helloween nell’ottobre del ’91. Eravamo nell’ufficio dell’allora Art & Director della SPV ad Hannover, noi di rientro da un tour in Germania ed eravamo spaesati… Abbiamo cercato di prendere qualche giorno di tempo per capire cosa stava succedendo ed il treno è passato lasciandoci a terra!
Nel 1990, dopo due demo, pubblicate il vostro primo full-length. Suppongo sia stata una grande soddisfazione… Vuoi farci partecipi di quei momenti?
I due demo hanno prodotto una buona quantità di recensioni molto positive tali da suscitare l’interesse della Musical Box Promotion con cui abbiamo firmato un contratto di promozione della band. La Musical Box ha lavorato molto bene con noi, facendo avere i nostri demo a centinaia di Radio e Fanzine in tutta Europa, tutte le recensioni scritte su carta intestata delle Radio e delle Fanzine nonché i primi Magazine specializzati sono ancora tutti in mio possesso. L’intenso lavoro della Band e della Musical Box ha fatto si che la Milanese Metal Master sicuramente l’etichetta Italiana più blasonata del settore ci fece firmare un contratto per la pubblicazione del nostro primo LP che registrammo a Firenze nei Much More Studios. L’emozione era a mille e pensavamo di aver messo un tassello importante per la nostra carriera, invece era solo l’inizio. Comunque ci ha portato per la prima volta a registrare un disco full immersion. Per quindici giorni non abbiamo fatto altro che vivere in uno studio di produzione, è stato esaltante e piacevole e anche stressante. Ma per un musicista è il massimo.
Oggi è molto più semplice pubblicare un disco. Trent’anni fa non era poi così scontato in Italia sopratutto nel vostro genere…
Sicuramente con la tecnologia di oggi fare un disco è diventato relativamente più semplice, negli anni 80/90 autoprodursi era pressoché impossibile. Ci si poteva giusto permettere una sala di registrazione più o meno modesta a seconda del budget che una band riusciva a racimolare, ma poi la stampa del vinile e la distribuzione era un vera impresa titanica senza il supporto di una casa discografica che chiaramente solo in pochi riuscivano ad avere. Oggi con qualche centinaia di Euro si registra e si stampa e magari si mette in distribuzione in contovendita, quindi un disco alla portata di tutti senza alcuna selezione. Vince la democrazia e perdiamo tutti perché il mondo è inflazionato di bands e di dischi autoprodotti, i social, sono intasati, le case discografiche sono intasate, i giornali sono intasati di prodotti discografici, morale il mercato è crollato. Non si comprano più dischi e senza la vendita le case discografiche sono sempre più in crisi e senza soldi. Non si investe sui giovani perché vanno sempre sul sicuro, il mercato non è capace di rinnovarsi e di conseguenza tutta questa tecnologia non so se abbia portato tutti questi benefici. È un cane che si morde la coda.
C’è stato un momento preciso dove hai pensato che potevate fare il grande salto? Mi pare ci fosse la possibilità di ricollocarvi in Inghilterra…
Sì, l’ho pensato di sicuro quando nel 91/92 eravamo corteggiati anche da diverse Major Label. Suonavamo tantissimo e gente come il direttore del Metal Hammer Tedesco scrisse su carta intestata una recensione di “Rod Sacred” . Non esitò a definirci come la miglior band emergente in Europa nel 91; conservo queste cose gelosamente in originale. Ma anche l’Inghilterra ci ha strizzato l’occhio e stavo quasi per raggiungere degli accordi importanti: bisognava fare i bagagli e stabilirsi a Londra e non riuscii nell’intento di convincere l’intera band a fare il grande salto.
Avete suonato anche fuori dai patri confini. Ci vuoi raccontare qualche aneddoto particolare della vita on the road? Mario Riso dei RAF, in una recente intervista, spiegava che andare all’estero negli Anni Ottanta non è come oggi: «Ai tempi era come entrare in un’altra dimensione, l’estero era un altro mondo».
Una prima cosa che i componenti di una band devono imparare quando si inizia un tour è che tutto quello che succede nel Tour muore nel Tour! Significa tutto e niente ma bisogna capire che on the road si estremizzano i rapporti tra i componenti, costretti a vivere insieme 24 ore al giorno, a volte con interessi diversi, spesso con visioni della vita diverse, quasi sempre con abitudini diverse; innanzitutto è fondamentale la tolleranza. Altrimenti al terzo giorno si passa ai… Coltelli! Per l’estero devo dire che dipende da quale nazione parliamo. Ultimamente la globalizzazione ha inciso molto anche su questo aspetto.
Fammi degli esempi.
Nel Nord Europa si comprano più dischi e si va più ai concerti anche quelli underground. Chi ha suonato all’estero negli anni 80/90 ha provato emozioni uniche proprio perché non si era a contatto delle eterogenee realtà del posto; oggi è tutto più semplice, sembra quasi una comica, ma arrivare a Berlino nel ’91 come abbiamo fatto noi, non era semplice. Immagina di girare con la cartina dell’Europa stesa sul cruscotto e dopo una giornata intera di viaggio entrare a Potsdam ancora in parte distrutta dalla guerra e non riuscire ad uscirne tanto che un ragazzino ci accompagnò per alcuni km in bici davanti all’auto sino alla porta di Brandeburgo. E poi perdersi per ore a Berlino prima di riuscire a trovare l’albergo alle 3 del mattino e trovarlo chiuso perché allora le reception rimanevano chiuse la notte e dover dormire in auto aspettando le 7 del mattino per poter entrare!
È rimasto negli annali un memorabile concerto a Milano organizzato da Pino Scotto di cui ancora oggi si parla.
Il locale si chiamava il Sorpasso! L’organizzatore del nostro concerto era appunto… Pino Scotto e i presupposti non erano dei migliori. Locale stupendo, buon impianto audio, ma noi non eravamo molto conosciuti e sul tabellone eravamo solo menzionati con il nome di “ROAD MASSACRED”. Ma alle 22.00 il locale era strapieno e noi facemmo un concerto stupendo. Con tutti i ragazzi di Milano a cantare “Crazy For You” insieme a noi. Il locale si era riempito per pura fortuna e noi ne abbiamo approfittato.
La Sardegna ha sempre avuto una grande tradizione in ambito rock/metal. Penso a Voi, gli Skull e ai Twilight Zone di Ozieri; ancora gli Hot Pets di Sassari e naturalmente l’eterno Joe Perrino. Hai rapporti con i componenti di queste band?
Con Marco Fenudi degli Skull ci siamo incontrati qualche anno fa al mare ed è stato emozionante, abbiamo condiviso molti palchi con loro negli anni ’80; eravamo amici-rivali e facevamo parte anche della stessa scuderia la Musical Box Promotion e ogni tanto ancora ci scambiamo qualche messaggio. Degli Hot Pets ricordo soprattutto Angelo Pingerna con cui abbiamo fatto una trasferta insieme nel 2015 per un concerto a Verona, lui con i Grog e io con i Rod Sacred. Con i Twilight Zone non abbiamo più avuto rapporti dagli anni 80, con Joe Perrino invece abbiamo suonato tanto. I Rolling Gangsters, bella band con cui abbiamo fatto anche un Tour in Europa. Per me Joe è un fratello oltre che un grande artista, anche lui meriterebbe ben altra fortuna.
Avete mai pensato a un concerto tutti insieme per ricordare i vecchi tempi ?
Non ci abbiamo mai pensato, forse perché siamo tutti presi dalle nostre cose. Però se qualcuno prende l’iniziativa di organizzare io sposo la causa in pieno!Dico solo che sarebbe grandioso.
Com’è la situazione musicale in Sardegna oggi rispetto agli anni Ottanta e ai Novanta?
La verità? Il disastro totale. Non c’è proprio una scena musicale, sono rimasti pochi locali e pochi festival e si suonano quasi esclusivamente cover. Non so come andrà a finire ma la situazione sta veramente prendendo una brutta piega, io non sono contrario alle cover band, è chiaro che i locali prediligono le bands che portano più gente, ma viene a mancare tutta la cultura del promuovere musica d’autore. Ma la Sardegna non è l’unico posto dove succede questo, se parliamo di bands underground è un fattore comune a tutta Europa.
È cambiato il modo di intendere e “vivere” la musica? Oggi pare ci sia meno senso di appartenenza. Prima si aspettava (e ascoltava) un disco per mesi.
Adesso tutto va e viene velocemente…
Per me ascoltare musica significa farlo “live” oppure seduto sul divano con l’impianto davanti, la copertina del disco e i testi davanti agli occhi assaporandomi i suoni dello stereo. Mi chiedo: come può essere uguale un download digitale o lo streaming magari sul telefonino? Oltretutto tutti scaricano tutto e non sentono nulla, non c’è il gusto della ricerca, lo scoprire, il chiedere un consiglio prima di comprare un disco! È esattamente quello che è successo nella fotografia digitale, tutti ormai abbiamo migliaia di foto dappertutto che si perderanno quando si guasta un pc o un telefono, anche perché la maggior parte di persone non sono così precisine da salvarsi tutto; vogliamo mettere i vecchi album da sfogliare nei giorni di festa con gli amici o con i propri figli? Per carità, sono per il progresso ma senza che diventi un mondo “usa e getta”.
Nel 2013 c’è stata la reunion. C’è stato successivamente qualche avvicendamento. Ci vuoi raccontare del ritorno in pianta stabile del cantante Tonio Deriu e di Marty Vargiu che invece si è ritirato dalle scene ?
Quando ho pensato seriamente alla reunion dei Rod ho sempre pensato alla line-up più longeva e di maggior successo e cioè Franco Onnis, Antonio Deriu, Marty Vargiu e Joe Del Rio e ci siamo anche visti per una prova. Ma Antonio non era convinto del tutto anche perché aveva molti impegni. Allora ho pensato a Alessandro Marras che conoscevo e giudicavo un gran bel cantante ed in più Jimmy Carboni (chitarrista dei Rolling Gangsters) alla chitarra per avere quelle sonorità che abbiamo sempre avuto nei nostri pezzi ma che poi abbiamo sempre eseguito con una sola chitarra.
Il tutto sembrava funzionare…
Sì, e abbiamo diversi concerti incredibili come a Bolotana insieme agli Arch Enemy, Acciaio Italiano insieme a Fil Di Ferro e Insidia e altre bands; poi qualcosa non ha funzionato e Alessandro ha preferito mollare. In quel momento Antonio era pronto per il rientro ed abbiamo iniziato a provare e comporre i brani del nuovo album. Marty era sempre più convinto di non avere la voglia necessaria ad un impegno serio e gravoso ed ha salutato la compagnia ma anche Joe era sempre impegnato con i suoi progetti ed è stato automatico l’ingresso di Andrea Atzeni che già ci dava una mano in sala per finire le pre produzioni del nuovo disco. Jimmy Carboni inoltre è stato il continuo di Marty con un sound vecchia scuola ma con più tecnica che oggi serve per una band moderna. Pian piano la line up si è stabilizzata ed abbiamo affrontato un 2017 grandioso fatto di concerti e promozioni radio e Tv; successivamente un tour europeo e uno italiano con altre due figure in sede live alla chitarra. Parlo di Peppo Eriu e Luca Mameli per i concerti più impegnativi, quindi con tre chitarre.
Se si parla della vostra line up, non posso non chiederti del compianto Paolo Bonilli. il vostro chitarrista scomparso nel 1989. Ho letto che per te era come un fratello. Con delicatezza ti chiedo di ricordare quei tempi e di fare un ritratto di Paolo.
Paolo, un fratello mai dimenticato. Penso spesso a lui, era un chitarrista fortissimo e con Marty si completavano a vicenda. Passavamo ore al telefono nonostante ci vedessimo quasi tutti i giorni, viveva per la sua chitarra; ho ancora in sala il suo Marshall con sopra l’adesivo di gatto Silvestro che dice ATTENZIONE È DI PAOLO! Morire a 23 anni significa non aver neanche assaporato la vita. Nel nostro primo disco si possono sentire riffs e assoli di sua composizione anche se registrati in studio da Marty. La canzone Dreaming parla di lui e di quegli ultimi 6 giorni di speranza in ospedale. Da quando Antonio non era più nella band non l’avevamo più eseguita ma ora è di nuovo in scaletta. Quando la suono per me è come parlare con lui.
Nel 2016 è stato pubblicato “Submission”. Vecchi brani ma anche del nuovo materiale con la stessa copertina del vostro debutto del 1989. Ci vuoi raccontare come è nata l’operazione?
Ti dico subito che io non ero molto d’accordo. Pensavo più ad una cover di tendenza di quelle strafighe fatte da qualche artista visionario come si usano adesso, magari con una alterazione del nostro Lord of Dark che usiamo sempre nei nostri loghi; ma Markus Lorenz il boss della Pure Steel Records è un appassionato di disegni fatti a mano ed ha insistito tanto per rimettere la cover del nostro primo disco con solo in più la scritta SUBMISSION sul trono. Alla fine ho pensato “ci mette i soldi e saprà cosa sta facendo”.
Si dice sempre che il “Rock è morto”. I Rod Sacred nel 2018 sono ancora qui e preparano un nuovo tour. Ci vuoi parlare di questa nuova avventura?
Bella domanda! Io a volte vorrei poter dire basta, sarebbe più semplice per la mia vita e anche per la mia famiglia, ma tutti giorni la prima cosa che penso quando mi sveglio è la musica. Come è l’ultimo pensiero prima di addormentarmi. Fatta questa premessa, ho sempre pensato che i Rod Sacred avessero ancora qualcosa da dire e lo stiamo dimostrando cercando di rientrare in un giro che sembrava finito per noi e alzando ancora il tiro per entrare nel giro dei grandi. A febbraio abbiamo suonato a Foggia per fare un concerto con Doogie White (Malmsteen, Rainbow, M. Shenker). Poi faremo parte del tour di altri personaggi molto famosi del panorama mondiale ma che per contratto non possiamo ancora svelare. Nel 2018 dovrebbe essere anche completato il nuovo disco che spero esca per la fine dell’anno o primi mesi del 2019!! La carne al fuoco è tantissima e vorrei finire con una citazione che non tramonta mai “ Rock Will Never Die”.