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QUI TURIN A VOI CAGLIARI
di Giulia Melis
Diario di una studentessa fuori sede
Quasi un quarto di secolo, cagliaritana e sarda, ora a Torino.
Mi presento: mi chiamo Giulia. E questo potrebbe essere il mio identikit. Poche informazioni che con poche parole mi definiscono. Scrivo da qui perché ho deciso di continuare gli studi lontano da casa. E a fine della scorsa estate con uno zaino sulle spalle ho scelto di spostarmi sù al Nord nella città sabauda. A prima vista Torino è elegante, aristocratica e sembra un po’ che se la tiri e che non si scomponga mai: qui non tira vento, al massimo fa corrente. Io però vengo da una città in cui il vento quanto soffia lo fa forte e scombussola un po’ tutto e tutti. Ci sono cose che mai avrei pensato potessi sentirne la mancanza.
Le pizzette sfoglia a colazione son state sostituite da banali cornetti, una seada con una fetta di bunet, un piatto di pasta ai ricci con uno di tajarin. Vivere in una nuova città vuol dire anche abituarsi ad altri modi di dire, qui nessuno ti chiede mai “come stai?” ma soltanto “Com’è?”. E ogni volta alzo gli occhi al cielo per vedere che tempo fa. Ora vado a prendere i caffè in centro e sento le macchine passare vicino. Non più i caffè nei baretti al Poetto in riva al mare. Ora corro, di tanto in tanto, in riva al Po e come un pesce cerco l’acqua come fosse aria e mi accontento di uno specchio che scorre. Ogni tanto salgo a piedi fino al Monte dei Cappuccini per sgranchirmi le gambe e i pensieri. Perché in ogni città serve sempre un posto che sostituisca Viale Europa e il suo panorama sulla spiaggia da una parte e su Cagliari dall’altra. Ora vado in bici e pedalo più di quanto non abbia mai fatto. Eppure persino a Cagliari mi ostinavo nel provarci, perché le salite sono soltanto discese al contrario.
Qui bevo Peroni, Poretti, Moretti e tutte le birre commerciali che costan poco. Mi vizio però di tanto in tanto comprando l’Ichnusa per attenuare la nostalgia. Qui ho amici della mia città, che mi hanno aiutata a sentirmi a casa. Perché è proprio vero, noi sardi facciamo sempre “cricca” e a volte siamo un po’ chiusi almeno i turines. Qui non vedo stormi rosa di fenicotteri che volano sopra la mia testa. Ci sono però gli scoiattoli che squittiscono al Parco del Valentino. I portici per le vie del Centro mi faranno sempre pensare a quelli della mia Via Roma che si affaccia sul porto.
Ma è la fede calcistica che ci ha unite. Il primo contatto con questa città l’ho avuto in una fredda giornata di gennaio del 2009. Una partita allo Stadio Olimpico di Torino, Juventus – Cagliari. Finì 1 -1, prima Bianco, poi Nedved. E quel che ricordo meglio fu l’esultanza di mio papà in mezzo alla tribuna bianconera.
Perché si può andar lontani quanto si vuole, ma crescere con i racconti sul Cagliari del 70, con le prodezze di Riva, Nenè e Albertosi, le partite allo stadio e aver visto con i proprio occhi il colpo di testa di Zola al Sant’Elia è una dolcissima condanna. E come i veri torinese che tifano Toro, una cagliaritana seppur emigrata al Nord avrà sempre nel cuore la sua squadra e la sua città.
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