Serie C – Alessandro Masala ai raggi X, tra infortunio e scuola
Musica | The Dark side of the Moon, 50 anni e non sentirli
Come i Pink Floyd riuscirono a tramutare una storia di morte, follia e disillusione in uno dei dischi più venduti e celebrati di tutti i tempi
Un viaggio che dura da mezzo secolo.
50 anni fa, il primo marzo del 1973 veniva pubblicato l’iconico e ottavo album in studio dei Pink Floyd “The Dark Side of the Moon” e niente sarebbe stato più come prima per la band, il rock e il pubblico che ne decretò il successo planetario. Certificato 15 volte di platino negli Stati Uniti fu il disco che proiettò la band dalla nicchia dell’avanguardia psichedelica alla fama mondiale. Ironia della sorte il disco non raggiunge mai il n. 1 delle classifiche del Regno Unito e rimase solo una settimana al vertice di quella americana ma stazionandovi in compenso la bellezza di 591 settimane consecutive nella top 200 dei dischi di Billboard e vendendo in tutto il mondo la l’astronomica cifra di 50 milioni di copie ( terzo di sempre dopo Thriller di Michael Jackson e Back in Black degli AC/DC). La genesi del disco iniziò due anni prima, nel 1971 a Londra dove la band lavorò a una suite intitolata Eclipse. Le ‘avvisaglie’ c’erano già tutte e in quel lasso di tempo smontarono e ricostruirono i brani fino a distillarne l’essenza definitiva suonando i pezzi già nei concerti che anticiparono la pubblicazione del platter. «Tutto iniziò in una piccola sala prove di Londra», disse David Gilmour e Nick Mason precisò che partirono «da un’idea che il disco avrebbe parlato dello stress e delle difficoltà nelle nostre vite». «Ma fu anche l’ultima volta che la band collaborò collettivamente di buon grado» – disse Roger Waters – e rincarò la dose proferendo che «I dieci anni successivi nella band furono come quando ti aggrappi al matrimonio perché non hai il coraggio di divorziare».
Ma è la musica che parla più delle dichiarazioni dei musicisti: Il disco è infatti entrato in maniera indelebile nell’immaginario collettivo e nella cultura pop degli anni Settanta decretando la band come una protagonista incontrastata del decennio, elevandola alla popolarità dei Beatles e dei Led Zeppelin; poco importa se Waters prese con decisione il dominio del gruppo contribuendo a forgiare in maniera decisiva il marchio di fabbrica riconoscibile oggi in tutto il mondo e portando il disco allo status di vera e propria opera d’arte. È lui la mente che ha partorito il concetto nascosto dietro IL titolo. Ma Gilmour, Mason e Wright non stati da meno in questo processo, intendiamoci. Vale sempre il vecchio adagio «nessuno ce la fa da solo».
I testi recitano un ruolo determinante nell’economia del platter: incentrati su temi filosofici evidenziano la dimensione esistenziale dell’essere umano, soggetto alle sue limitazioni e ad una serie di vincoli inevitabili che sfuggono al controllo razionale dell’uomo; ne costituiscono perciò il “lato buio”, la metafora della “parte nascosta” e sono traducibili nell’avidità (“Money”, già dal titolo, preannunzia la tematica centrale e Il morboso attaccamento al danaro da parte della società contemporanea genera nefandezze d’ogni tipo), l’invecchiamento, la morte e l’infermità mentale – quest’ultimo tema palesemente prese come ispirazione il deterioramento mentale di Barrett – sono una evidente dicotomia rispetto alla musica brillante, positiva e avvolgente.
È questo il paradigma musicale dei circa 43 minuti dell’album che trasmette all’ascoltatore una forte e decisiva componente emotiva dovuta anche agli arrangiamenti – per l’epoca – insoliti e spiazzanti per il grande pubblico. E poi non c’è una vera e propria hit single: vige la visione di insieme come se l’album fosse un’unica suite, un lungo viaggio nel ‘lato oscuro’ e nell’abisso della mente. Proviamo ad immaginare On the Run o Time. Tutto si fonde in un’operazione inedita: la psichedelia mai rinnegata e qui solo più rarefatta; l’art rock, ma anche il jazz, la fusion e perfino suggestioni blues. È questo – a conti fatti – il non progressive della band supportato dalla mostruosa tecnica dei quattro fab four. Aveva ragione Roger Waters: «Cosa possiamo altro fare dopo»?
Edizione originale del 1973
- Lato A
- Speak to Me – 1:30 (musica: Nick Mason)
- Breathe – 2:43 (Roger Waters, David Gilmour, Richard Wright)
- On the Run – 3:30 (musica: David Gilmour, Roger Waters)
- Time + Breathe (Reprise) – 6:53 (Nick Mason, Roger Waters, Richard Wright, David Gilmour)
- The Great Gig in the Sky – 4:15 (musica: Richard Wright, Clare Torry)
- Lato B
- Money – 6:30 (Roger Waters)
- Us and Them – 7:49 (Roger Waters, Richard Wright)
- Any Colour You Like – 3:24 (musica: David Gilmour, Nick Mason, Richard Wright)
- Brain Damage – 3:50 (Roger Waters)
- Eclipse – 1:45 (Roger Waters)