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Matteo Desole: sotto il frac da tenore i Led Zeppelin
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Mille vite per 7 note. Matteo Desole, tenore sassarese con ugola d’esportazione, è il Fregoli dello spartito: rockettaro, piano-man, pop-nerd, melomane moderato e compositore part-time. Come spieghi, ad appena 30 anni, questa estensione di ruoli sonori?
Per me la musica è sempre arte. Voglio conciliare classica e pop per avere un bagaglio più ampio. E quando non ci penso io arriva la vita con le sue “dritte”.
Molte, e decisive, nel tuo caso.
Ero iscritto al corso di pianoforte al conservatorio di Sassari e intanto suonavo in una band, sfacchinando con gli strumenti ad ogni concerto. Risultato? La tendinite. Non m’era rimasto che il piano b: usare la voce. Così frequento la classe di canto, sempre al “Canepa”, ma ne vengo cacciato, per alcune incomprensioni, a 22 anni.
Potevi mollare e invece finisci a Modena, tra gli allievi di Rajna Kabavainska, la “Callas” bulgara.
Un bel salto. Da primo nella mia città all’ultimo degli ultimi. Dopo il provino con la ‘Signora’- così la chiamano – il verdetto: “Il tuo canto è tutto sbagliato”. Ho dovuto ricominciare da zero.
Nel frattempo incontri, stavolta in spirito, un altro maestro.
Al secondo anno in Emilia mi ingaggiarono per un lavoro della Fondazione Pavarotti. Visitai la casa di Big Luciano: le famose sciarpe, i costumi, pure i dvd del tenente Colombo; tutto come l’aveva lasciato. Tra quelle memorie mi vidi passare davanti il treno del futuro e lo presi al volo.
Destinazione tenore professionista. Con tappe di lusso, come la Scala di Milano, il tempio della lirica.
Davanti al temuto loggione, coi suoi “buu” talvolta prevenuti e i paragoni spietati coi “divi” degli anni ’50 e ’60 come Del Monaco e Corelli. Confronti inutili: il livello tecnico dei cantanti, oggi, è molto cresciuto, anche nella recitazione. Siamo molto più cinematografici e credibili.
Un miglioramento subito sfruttato dai registi.
Alcuni chiedono cose impossibili: coiti simulati, acrobazie… Ognuno però rappresenta un mondo a sé. Quello zen, ad esempio, di Bob Wilson con cui ho lavorato per il “Macbeth” di Verdi, o il cosmo selvaggio dello scozzese McVicar nei “Masnadieri”, dove ero ricoperto di sangue e fango.
In mezzo Sofia Coppola. Una “Traviata” mondana griffata Valentino per l’Opera di Roma e per te un ruolo iconico: Alfredo.
È un po’ il mio alter-ego. L’ho interpretato spesso e con sfumature diverse: lunatico, irascibile, composto, sofferente, sempre innamorato. Piace così tanto perché, a piccole o grande dosi, Alfredo è in ognuno di noi.
Dal dolore simulato in scena a quello reale: a marzo il Covid fa calare il sipario sui teatri e su vite a te vicine.
Sono scomparsi il mio agente e dei colleghi… Altri cantanti ne sono usciti coi polmoni bruciati, vivi ma morti professionalmente. Ora, dopo mesi, torno a lavorare e la paura non manca… Ma corro il rischio perché voglio essere ottimista.
A ottobre ancora lirica: sarai Pinkerton nella Madama Butterfly al festival di Glyndebourne. Dove è finita la tua anima pop?
Viaggia sempre con me. Nello zaino ho la playstation e i fumetti dei supereroi. E non smetto di scrivere musica, soprattutto elettronica, in attesa di comporre un altro musical, dopo “Ena”, realizzato con la compagnia “7invaligia”. Sono un tenore, certo, ma sotto il frac indosso la maglietta dei Led Zeppelin!