Serie C – I nodi vengono al pettine, Torres: gli errori che smentiscono i pronostici da primo posto
Antonio Chessa, l’ultimo degli Indiani
Annarita ricorda il fratello Antonio, esuberante leader dei tifosi sassaresi
Non mi aspettavo questo da te, Antonio. Mi avevi promesso che stavolta avresti rispettato questo benedetto e comune appuntamento, nato dall’idea di creare una serata di beneficenza al Parco di via Venezia. Il tuo chiosco stava elaborando un’interessante stagione di gastronomia e blues, incontri culturali ed eventi vari disseminati tra gli alberi e le panchine di un angolo quieto della città. Con i tuoi occhi bizantini e vivi ed il tuo contagioso sorriso mi avevi aggiornato ad un imminente incontro, che non ci sarà più. Ancora non mi rassegno all’idea di non vedere più la tua sagoma corpulenta, che si rannicchia in un motorino piccolissimo: e con un’abilità sorprendente traccia una curva ad ansa, in frenata davanti ai miei piedi. Ci sarebbe stato un altro bicchiere. E poi i miei immancabili scarabocchi sul taccuino per fare memoria delle cose più importanti, e la pacca sulla spalla scortata dal fatidico: “Sempre Forza Torres!”, che ad un cagliaritano ormai trapiantato nel Nord Sardegna non sarebbe apparso uno sberleffo. Ed invece no. Un maledetto aggravarsi del tuo cuore affaticato e generoso ti ha crudelmente strappato al Natale dei tuoi cari, alla fede per i colori rosso e blu della tua amata squadra, al nostro impegno reciproco.
Antonio Chessa era un leader degli Indians. Questo gruppo rumoroso ed esuberante nei suoi comportamenti era la pittoresca ed esagerata torcida della curva di una squadra di calcio, che sotto le cure del presidente Rubattu, le magie di un Gianfranco Zola non ancora consegnato al grande calcio, ed il sapiente magistero di Mario Piga regalava ai propri tifosi dello Stadio Acquedotto le giornate più esaltanti della sua lunga storia di provincia. Erano i tempi delle Trasferte e chiassose manifestazioni della propria presenza, di colossali bevute e qualche deprecabile scontro con le tifoserie avversarie, per un frainteso modo di stringersi intorno alla bandiera. Quando ci eravamo ritrovati dopo tanti anni, mi aveva colpito favorevolmente la sua metamorfosi.
Ora Antonio era un buon gourmet ed un attento padrone di casa di qualche circolo, nel quale la cucina sassarese ed il calcio, le attività sociali e gli incontri culturali si alternavano in un allegro girotondo. Non sei più un ragazzaccio, gli avevo detto. Il mio indimenticabile fratellino era un giovane commissario di polizia alle prime armi, chiamato a contenere con durezza le intemperanze degli ultras. Una sera lo avevo ammansito, difendendo con ironia e pazienza le ragioni della curva, e facendo valere dolcemente i diritti della primogenitura. Così io ed Antonio Chessa – apparentemente così diversi – eravamo diventati amici, ed era nata l’idea di una serata dedicata al sociale. Non riesco a cancellare dalla memoria del mio telefonino il suo numero ed il suo nome, come se quel corpaccione e quel motorino mi inseguissero ancora, dietro l’edicola della lunga via Luna e Sole.
Annarita è la bella e dolce sorella dell’ultimo degli Indiani. Qualche volta litigavano, ma si amavano tanto. A lei ed al suo nobile pudore l’eredità di un ricordo intimo e commosso, senza la retorica agiografica e con tanta umana tenerezza.
L’intervista
Come è nata la passione per la Torres?
E’ nata istintivamente ai tempi delle medie. Era il 1982, e Tonio ha creato gli Indians con nostro cugino John.
Che rapporti avevi con lui?
Ci dividevano quattro anni. Era il fratello maggiore protettivo e troppo geloso, quando sono diventata una ragazzina corteggiata ed alle prese con i primi fidanzatini. Lavoravamo insieme nel circolo, che nostro padre aveva aperto per i tifosi della squadra e della cucina sassarese. Litigavamo sempre, e poi facevamo pace: mi voleva bene davvero!
Quando ha deciso di mettere la testa a posto, dopo le piccole intemperanze dell’adolescenza nella curva della squadra del cuore?
Era un ragazzo esagerato, ma buono. Grandi viaggi e qualche sbornia, qualche sciocco tafferuglio con i tifosi avversari. Ma in fondo aveva già in testa l’idea di un circolo gestito da lui, per ascoltare la sua amata musica blues, parlare della Torres e dell’Inter, e cucinare bene. Da bambino piangeva spesso, per colpa della congenita malformazione alle anche. Poi il calcio aveva spazzato quei brutti ricordi. Era un ragazzo generoso ed attento ai diritti civili, e lavorava nella cooperativa e nel chiosco del Parco di Via Venezia per creare chances ai più deboli. Era politicamente di sinistra, ed aveva un cuore d’oro.
Come vuoi ricordarlo, Annarita?
Con il suo sorriso bellissimo e gli slanci immediati, Con il suo amore per la gente e la famiglia dietro l’aria spiccia e burbera. Avrebbe realizzato tante cose, se questo maledetto destino non ce lo avesse rubato.
© RIPRODUZIONE RISERVATA