Serie C – I nodi vengono al pettine, Torres: gli errori che smentiscono i pronostici da primo posto
L’intervista – Tore Pinna, sotto la maglia batte un cuore rossoblù
Originario di Sorso, con la maglia della Torres ha stabilito un record di 347 presenze che rimarrà impresso nella storia del club. Ha tatuato sul petto il numero 1903, l’anno di fondazione della società sassarese e rimane un punto di riferimento per giocatori e tifosi. Oggi allena i portieri del sodalizio torresino e racconta @City&City del passato, di un presente da incorniciare, un futuro tutto da scrivere e di un suo… rimpianto
Ciao Tore, stagione da incorniciare. È rimasta qualche recriminazione?
No, nessuna, perché ce l’abbiamo messa tutta; purtroppo la fortuna non è stata dalla nostra parte, l’abbiamo visto tutti. Ai playoff abbiamo preso un tiro e un gol; è stata una partita particolare come raramente ci è capitato in questa stagione, diciamo così. A Sassari meritavamo noi e al Benevento non abbiamo concesso praticamente nulla. Al Vanni Sanna potevano giocare fino a notte fonda…
Un tiro e un gol e sono passati loro. La dura legge del calcio.
La Torres, assolutamente, non meritava di uscire in questo modo. Però, sembrerà una frase fatta, ‘questo è il calcio’. I playoff, l’ho sempre detto, sono una lotteria, e così è stato.
Che cosa si devono aspettare i tifosi invece dalla nuova stagione?
Questa è una bella domanda. La proprietà vuole cercare di migliorarsi. Proveremo a disputare un altro grande campionato anche se ogni stagione ha la sua storia. Il sogno proibito, inutile negarlo, si chiama serie B, questa magica parola che nell’ambiente è risuonata spesso durante tutto l’anno.
Con le giuste mosse e un po’ di fortuna che non guasta mai…
È un sogno che bisogna coltivare a piccoli passi. Già da questa stagione eravamo determinati a raggiungerla, purtroppo non è arrivata ma Sassari merita quella parola magica.
Siete arrivati stanchi ai playoff?
No, anzi siamo arrivati in una grande condizione fisica, stavamo bene. Ci è mancato quel pizzico di buona sorte e qualche rigore in più che ci potevano dare ma non ci è stato concesso.
Il tuo Dna è indubbiamente torresino ma sei rimasto nel cuore di altre piazze come Pescara. Vuoi parlarci di quella avventura?
Pescara è una grande piazza. Quando sono arrivato la società era appena fallita. È stata una scommessa. Tra l’altro venivo da sponda Salerno, l’anno con Arturo di Napoli; tra salernitani e pescaresi – ( eufemismo, ndr) – c’è una forte rivalità. Non c’era un clima favorevole. Ma i pescaresi mi hanno dato fiducia e gli ho ripagati con un grandissimo campionato, tanto è vero che sono stato eletto miglior giocatore bianco azzurro, quell’anno.
Sei andato per la tua strada come tuo solito?
Esattamente. Ho parlato con loro “datemi una possibilità per dimostrare chi sono, non è giusto che venga giudicato per aver giocato con la Salernitana”. Pescara è una piazza difficile, una piazza tosta perché se non dai il cuore la gente ti mangia vivo. Come a Sassari.
E due campionati in serie B da protagonista.
Hanno sempre avuto grandi nomi, grandi portieri, io arrivavo ed ero il classico signor nessuno. Ho dovuto dimostrare tanto. Ma se vado a Salerno come a Pescara o Grosseto mi trattano come uno di loro; sono andato via da Sassari e ho vinto 3 campionati di fila e una Super coppa di Lega. Ho fatto 10 domeniche in serie B senza subire gol, 743 minuti imbattibilità all’Adriatico. L’unico dispiacere, veramente, di cui mi rimane il rammarico è di non essere andato in serie B a casa mia.
Su Youtube ancora tutti guardiamo il tuo gol alla Vis Pesaro. Ma è stato voluto? La verità.
No, assolutamente. Stavo cercando il nostro attaccante partito in profondità, era l’ultimo minuto di recupero e ho avuto grande fortuna. L’ho calciata con potenza, perché non c’era vento. Il pallone dopo, lo ricordo ancora, era un tango etrusco che quando calciavi bene raggiungeva velocità elevate.
Quando la palla stava rimbalzando avrai detto ‘forse sta andando in porta’.
Ho visto che il difensore si è abbassato, il portiere gli è andato incontro. Mi si è fermato il cuore per qualche secondo guardando la palla che rotolava in rete; ho detto: “ho fatto gol”. Incredibile, se ci ripenso.
Anche per questo sei rimasto nella storia della Torres.
Eh questa è una cosa che credo rimarrà negli annali della società rossoblu, nei ricordi dei tifosi e credo anche del calcio di serie C.
Ci hai sempre messo sempre il cuore, e si sente da come parli ma quanto conta nel calcio questa componente?
Molte volte conta poco e niente, altre ancora il tuo cuore, viene calpestato e buttato via come se niente fosse. (senza tanti giri di parole, ndr)
Ci sono proprietà e direttori sportivi che guardano ai propri interessi. Il calcio è un mondo difficile. Ma il mio dispiacere è vedere un gioco cambiato radicalmente. I giocatori vanno e vengono e raramente rimangono più di due-tre anni in una squadra. La verità, mi danno un po’ fastidio quelli che baciano la maglia e alla prima proposta cambiano aria. Non c’è più l’atmosfera di una volta, questo posso dirlo; oppure il calcio delle bandiere dei Riva, Totti, Del Piero, di Buffon, Maldini, i primi che mi vengono in mente. Ti chiedo: Quante bandiere ci sono oggi in Italia? Forse nessuna.
Non ci ricordiamo più i nomi di quelli che vanno in campo.
Io sono nell’ambiente, pensa, non mi ricordo i nomi dei giocatori di serie A. È un calcio che non ti rimane dentro da tanti anni a questa parte. Guarda la nostra Nazionale, piena di nomi che, se me li chiedono, ho difficoltà a inquadrarli; a volte penso: “ma chi è questo”. Si è perso innanzitutto in qualità. Prevalgono eccessivamente gli schemi, i possessi. Oggi si vede un nuovo Roberto Baggio? Non c’è quel trequartista che ti fa la differenza, che ti fa correre, che ti fa vincere una partita. Gli allenatori sembrano molto, come dire, ‘schematici’. Poca fantasia, ma il ‘segreto’ è che i fuoriclasse devono giocare come si sentono.
Non c’è più un ricambio perché giocano troppi stranieri? Per il tuo ruolo avevamo i Zenga, Tacconi venivano fuori i Pagliuca, i Toldo i Peruzzi e i Buffon. C’era abbondanza.
Mi fa piacere che hai toccato questo tasto. Anche a livello di portieri, abbiamo perso tanto. Non vedo più una scuola. Prima si curava molto di più il settore giovanile, sempre con grande rispetto per gli stranieri. Adesso un portiere, se non è alto 1,88/1.90 non lo prendono in considerazione. Ormai a 22, 23 anni mi parlano di Arabia. Ma che calcio vai a fare in Arabia Saudita, con tutto il rispetto.
Avevi rifiutato un contratto col Cagliari.
Non è stata una scelta non difficile… di più! Quando a un ragazzo di 26 anni gli capita l’occasione di andare in serie A, cosa fai, non ci vai?
Pochi avrebbero declinato l’offerta.
Un triennale a Cagliari e Cellino venne a Sorso. Mi ha cercato e mi ha preso a male parole davanti a tutti. Il presidente stravedeva per me, lui mi voleva a tutti i costi in quel Cagliari. Il portiere Chimenti invece lo trovai in un Pescara-Torino, era in albergo e mi ha detto “perché non sei venuto a Cagliari? C’ero io che mi sono rotto anche la spalla, avresti giocato titolare”.
La Torres sta dimostrando di essere un’isola felice.
E sai perché? Perché la Torres finalmente ce l’hanno i sassaresi.
Torres si legge Abinsula. Che cosa ha portato la nuova proprietà?
Sicuramente molto entusiasmo. Hanno creato dei nuovi programmi, volevano riportare subito la serie C a Sassari. E quindi si è creata quell’alchimia giusta. Quando sono arrivati, è normale, c’era un po’ di diffidenza. Sai non li conosci, persone che stanno in mezzo ai computer che iniziano a occuparsi di calcio. Rimani un po’ così. Invece ci siamo ricreduti subito e ho capito che c’era la volontà di fare un qualcosa di importante per la Torres e la città di Sassari.
Hai capito subito che c’era passione?
Il presidente, Pier Luigi Pinna, è di Sassari. Mi ha raccontato la storia della sua azienda e come era nata; 4 ragazzi che lavoravano uno per la Ferrari, altri per altre importanti compagnie, li ha riuniti e fatti rientrare in Sardegna, per creare qualcosa di veramente speciale. E il loro sogno, quello di rilevare la società, ha preso vita.
Per una realtà come Sassari è stato un miracolo.
Esatto. Hai detto bene anche, perché mettere d’accordo tutti non è facile. La cosa bella è che sono persone fantastiche, persone umili, persone che vogliono bene alla Torres, persone che stanno investendo molto sul settore giovanile, persone che hanno riportato entusiasmo diversi sassaresi allo stadio. Ma la cosa che contraddistingue questa Torres, a partire dalla proprietà, è il senso di appartenenza. Quella fa la differenza.
Anche perché poi sono stati subito vincenti e decisivi. Lo stadio tirato a lucido con investimenti importanti.
Hanno investito tantissimo. Hanno cambiato lo stadio e basti pensare che da pochi sponsor, ne sono arrivati a decine. Vuol dire che gli imprenditori sassaresi hanno capito la bontà del progetto e si sono riavvicinati al Vanni Sanna. La Torres ai Sassaresi, i colori bisogna sentirseli addosso, la proprietà per prima. Non è pensabile chiamare un presidente da un’altra parte d’Italia. Ma vorrei riconoscere il merito anche a Salvatore Sechi, anche lui un presidente sassarese, uno sanguigno. Mi sono scontrato molte volte ma quando lo chiamai e gli dissi “intervieni perché qua stanno buttando i ragazzi fuori dall’albergo”, non ci ha pensato due volte. Questo non me lo dimenticherò mai. Ci ho litigato molte volte ma gli dirò sempre grazie per questo.
Hai vissuto un periodo delicato per la società.
A me le barzellette a Sassari non me le può raccontare nessuno. Quando i giocatori nel 2016 hanno preso il pullman per andare ad allenarsi a Ossi. O dormire per terra in nave, io e Angelo Cassano, perché la “cuccetta” l’abbiamo data a due ragazzini. Io che stavo smettendo, ho ceduto la cuccetta ai ragazzi. Il mio buono pasto e quello di Angelo Cassano, il magazziniere, lo abbiamo dato sempre a loro. Noi abbiamo preso una bottiglia d’acqua e un pezzo di salsiccia all’autogrill. Di cosa stiamo parlando? Ho vissuto gli anni più bui, più brutti e quelli più gratificanti. Questi dettagli non vengono fuori sui giornali ma scrivili. Le persone devono ricordarsi. Ho fatto un pianto quel giorno. Anche adesso, a pensarci, mi sta venendo da piangere quando ripenso quei momenti. Seduto per terra con Angelo, una persona più grande di me di 6/7 anni, che mi guardava con gli occhi lucidi e mi ha detto “Tore, tu non ti meriti di vedere queste cose”.
Sei stato ripagato, hai visto il nuovo corso crescere.
La cosa bella è stata veder nascere un sogno e conoscere gente per bene, che ha riportato la serie C a Sassari, che sta programmando per regalare qualcosa di più alla città. Quest’anno il Cesena aveva un’altra marcia. Stiamo parlando di una squadra che ha investito circa 10 milioni di euro. Noi stiamo crescendo con gli step giusti in modo tale che arriviamo strutturati, pronti, per fare un ulteriore salto senza fretta. Con la proprietà ci stiamo rafforzando per creare un gruppo ancora più forte dello scorso anno. Abbiamo ritrovato la credibilità sia in Lega, che tra la gente. Sassari è vista sotto un’altra luce, adesso.
Ero a Milano qualche mese fa, incontro degli amici di Bergamo. Sai cosa mi hanno detto? ‘Bravi forza Torres, bel campionato!’
Vuol dire che la strada è quella giusta. Gli addetti ai lavori ma anche chi segue il calcio percepisce che in una piazza come Sassari si è ricreato qualcosa di significativo, di importante, partendo dall’educazione, dal rispetto e un’organizzazione. Si percepisce che c’è un metodo di lavoro, ambizione. C’è tranquillità, c’è serenità c’è una società solida.
Un rimpianto della tua carriera? Sincero.
La serie B, come ho detto prima, a casa mia e di non aver giocato in serie A. Quando difendevo la porta della Salernitana in coppa Italia, contro il Napoli ho fatto una partita da incorniciare. I giocatori azzurri mi hanno fatto i complimenti; è venuto Marino il loro DS e mi ha chiesto “Che intenzioni hai?” Diciamo il destino si è messo di mezzo, ma i miei 2 anni in serie B da protagonista li ho fatti quando veramente c’era un’altra generazione. Quando la serie B era un altro campionato.
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