Jazz Club Network 2024, sesto appuntamento con il jazz d’autore
L’intervista – Marco Sanna, pilastro della Torres e condottiero dei giovani
Marco Sanna il mastino di Monte Lepre, sassarese doc, una carriera ad alto livello in serie A col Cagliari partendo dal Tempio, attualmente guida la Primavera 3 della Torres, un’esperienza con i giovani per lui tutta nuova
Dal 2023 sei alla guida tecnica della squadra Primavera 3 della Torres, un incarico importante e impegnativo.
Sì. È qualcosa che non avevo mai fatto, non avevo mai allenato una squadra di soli giovani, ho sempre allenato tra i dilettanti, dove ci sono tanti giovani, ma mai una squadra Primavera. Lo scorso anno i ragazzi mi hanno dato grosse soddisfazioni, nonostante la rosa fosse la più giovane del campionato. Praticamente gli allievi sono passati alla squadra Primavera, quindi abbiamo iniziato veramente da zero. Devo essere sincero, mi hanno sorpreso oltre ogni aspettativa, perché alla fine siamo arrivati secondi, alle spalle del Verona. Abbiamo giocato anche i play-off, siamo usciti subito, ma hanno tenuto conto della posizione in classifica del campionato e siamo stati così ripescati in Primavera 3.
Nuovo giro, nuova corsa.
Siamo partiti con una sconfitta contro una squadra, a parer mio, molto forte e una società ben attrezzata col settore giovanile (la Triestina U19, ndr), che nel campionato scorso militava già in Primavera 3; hanno fatto i play-off, perdendo la finale, per andare in Primavera 2. Quindi una società strutturata in un certo modo. Hanno cambiato anche loro abbastanza, però comunque, ripeto, da quello che ho visto è una società attrezzata per tentare il salto di categoria. Abbiamo incontrato una squadra molto forte.
A proposito di squadre attrezzate, da uomo di calcio quale sei, una domanda sulla prima squadra te la devo proprio fare. Il nuovo corso della Torres targato Abinsula ha cambiato le prospettive, ha portato ambizioni nuove. Pensi che la piazza sia pronta per questa benedetta Serie B? Anche perché Sassari la meriterebbe.
L’azienda Abinsula da quando ha acquistato la Torres Calcio, fa le cose seriamente; la strada giusta è questa migliorando anno dopo anno. Senza dubbio Sassari meriterebbe il salto di categoria. Quando giocavo, avevamo già ‘rischiato’ di andare in Serie B. Quest’anno, come lo scorso campionato, la Torres prima squadra ha un’ottima rosa, più l’esperienza maturata la scorsa stagione, un valore aggiunto; quindi, può puntare come minimo i play-off. E poi si vedrà…
Facciamo un salto nel passato, ai tuoi esordi. Hai iniziato la tua carriera nel Tempio a 17 anni.
16 anni! (mi corregge prontamente mister Sanna!). Sono arrivato in Gallura dopo aver fatto il settore giovanile nella Fulgor Sassari. Il Tempio mi ha acquistato nel lontano 1986. Sono stato premiato miglior centrocampista al Torneo Muzzetto. Ho fatto subito un campionato di interregionale, centrando subito la promozione in C2.
Campionto 1986-87, se non sbaglio. In volata sul Porto Torres.
Primo anno di Interregionale vinciamo il campionato e 5 anni di C2 sempre a Tempio. Dei buoni campionati che mi hanno fatto notare dal Cagliari.
Il tuo primo maestro a buoni livelli è stato nientepodimeno che Vanni Sanna.
Il mitico Vanni Sanna. Un maestro di vita un po’ per tutti, non solo per me, mi ha insegnato come si gioca a calcio. Aveva un carisma molto particolare che faceva rendere al massimo tutto l’ambiente.
Ho letto che viaggiavate insieme qualche volta da Sassari a Tempio.
Più di qualche volta. Io viaggiavo quasi sempre con il mio caro amico Walter Caria. Che adesso non c’è più. Quando ho compiuto 18 anni ho comprato subito la macchina, facevo anche il militare. Ma tante volte ho viaggiato col mister.
Sei anni a Tempio. E poi il grande salto nel Cagliari di Mazzone e Matteoli. Come è nato il tuo trasferimento nel capoluogo?
Mi hanno chiamato prima tre squadre che militavano in C1. Una era il Mantova di Giagnoni; ero già contento così, ci mancherebbe altro, di poter fare un salto di categoria. Ma a un certo punto l’allora presidente Ganau, una persona straordinaria, mi disse improvvisamente “Marco domani mattina dobbiamo andare a Cagliari” ‘In che senso?’- risposi. “Domani mattina andiamo a Cagliari a firmare”. Io naturalmente non ci ho creduto subito, pensavo fosse uno scherzo. Ho saputo dopo che venivano a vedermi gli osservatori del Cagliari. È stato proprio un fulmine a ciel sereno. E siamo andati a Cagliari a firmare il contratto. In una stanza dove c’erano il presidente Cellino e Gigi Riva.
Per un calciatore sardo giocare in serie A col Cagliari cosa significa?
Per un sardo e anche per un non sardo. Andare dalla C2 alla Serie A è stato un salto notevole. Certo, avevo fatto un ottimo campionato ma mi sembrava sempre una cosa alquanto particolare. Mai avrei immaginato…
Ti ha cambiato la vita quel trasferimento? Era il Cagliari di Mazzone, Matteoli, Francescoli, Moriero, Ielpo…
È normale, ti cambia la vita e sono stato benissimo. Ho ancora degli amici, delle persone con cui mi sento tuttora. Però subito ti rendi conto quello è un altro mondo. Con Moriero, Oliveira e Pancaro siamo arrivati assieme. E poi avevamo dei fenomeni veri. Uno era Matteoli, l’altro era Francescoli. Matteoli era arrivato dall’Inter l’anno prima. E poi Pusceddu, Festa, Filicano, Villa, Napoli. Mentre il panamense Delì Valdez, l’anno dopo. Grande collettivo.
È quella squadra che fece il 6° posto con la mitologica qualificazione UEFA.
È stato un processo graduale. L’anno prima siamo salvati bene, arrivammo tredicesimi, ma la stagione successiva, col 6° posto abbiamo centrato il piazzamento UEFA. Devo essere sincero, quei primi due anni sono stati formativi. Sono stato fortunato, forse non meritavo di giocare in Serie A ma con quei giocatori sono riuscito ad ambientarmi quasi subito. O ti adatti subito o a quei livelli cambi mestiere.
Hai trovato subito Mazzone. Mica uno qualsiasi.
Era veramente un ‘animale da campo’; lui, nel senso buono, aveva due personalità. Una quella del rettangolo di gioco e una fuori. La prima, quella del rettangolo di gioco, tra partite e allenamenti, ve la lascio immaginare. Quella che conoscete voi, quella fuori dal campo, quella delle tante interviste, era totalmente un’altra persona, più misurata. In campo ne aveva per tutti quanti indistintamente. Indistintamente!
Cosa ti ha detto in Coppa Italia, il tuo esordio col Milan quando ha segnato Papin? Se si può riferire…
Sì, la prima partita. Figurati se non me lo ricordo, mi ero appena sposato. Me ne ha detto di tutti i colori perché il francese mi ha fatto gol!
…Ma glielo potevi dire: «Mister era Papin»
Un mese fa giocavo in altre categorie, ero in una nuova dimensione, ma non potevo tirarmi indietro. Mi son detto ‘se arrivi lì vuol dire che sei in grado’.
Hai esordito, contro il Milan di Capello e di Gullit, Van Basten, Savicevic.
Aspetta, Gullit era in tribuna. Allora potevano giocare tre stranieri. Avevano giocato Van Basten, Papin e Rijkaard. Sul gol, a essere sincero, non è stata una mia disattenzione. Papin ha fatto gol semplicemente perché era più bravo di me, sicuro. Ha messo la testa tre centimetri avanti alla mia e ha segnato a Ielpo. Era un calcio d’angolo, ha messo la testa davanti. ma, credimi, lo stavo marcando, eccome. Capisci? Con campioni di quel calibro non puoi mai distrarti. Il gol c’è anche su YouTube.
È stato comunque un bel banco di prova. Fresco del Pallone d’Oro, non era un attaccante qualsiasi.
Me la ricordo quella formazione di campioni. Tra l’altro c’era anche un certo Gigi Lentini, l’anno prima dell’incidente, con cui ho giocato qualche anno dopo insieme nel Torino. Arrivava dagli anni stratosferici. Aveva fatto una decina di gol anche quell’anno. Giocatore di grandi potenzialità. Quel Milan era uno dei più forti della storia. Era un’impresa affrontarli. Ci chiedevamo come cavolo potevamo schierarci.
Anche quel Cagliari nel suo piccolo. Arrivò l’Europa e poi, l’anno dopo, la famosa e indelebile nella memoria cavalcata UEFA.
Qual è il ricordo più bello di quella Coppa?
Non riesco neanche a descriverti quei momenti. Ho affrontato tante partite, squadroni ma quella Coppa è stata un’avventura indescrivibile, un qualcosa dal sapore particolare. Affrontavi squadre fuori casa e in casa, con lo stadio sempre stracolmo e quella atmosfera che solo le coppe sanno regalarti. Giocare in Europa, rappresentare la tua terra, con la squadra della tua regione, col calore di tante persone che ti incitano, rimarrà qualcosa di indescrivibile.
Una per tutte l’epica trasferta in Belgio col blasonato Malines.
In Belgio siamo andati in un club di sardi, ti lascio immaginare. Indimenticabile il famoso gol di Oliveira, l’aveva fatto al grande portiere Preud’homme che, pensa, era un suo amico. Quella partita lì è stata surreale, in un clima molto particolare col campo ghiacciato, solo da una parte. Matteoli, aveva giocato con le scarpe da calcetto e ha fatto gol. Abbiamo giocato praticamente in casa.
Ai quarti di finale il derby con la Juventus. Tutti vi davano spacciati.
Ti dico che questa partita è stata molto, molto particolare. Abbiamo dato tutto quello che avevamo dentro, reagimmo allo svantaggio e qualche volta i miracoli riescono. A Torino, però, sono successe un bel po’ di cose. Il rigore dubbio dato a Ravanelli. Oggi col VAR, forse non lo avrebbero mai dato. Baggio ha colpito il palo. Il gol annullato a Delì Valdez, sembrato validissimo, il pareggio di Firicano da calcio di punizione di Matteoli e il meritato vantaggio con Oliveira che chiuse la qualificazione. Siamo riusciti a spuntarla, con grande merito. Abbiamo giocato alla pari, abbiamo sfruttato al meglio le occasioni che si sono create. Però noi avevamo una squadra forte, di carattere, devo essere sincero.
E poi non posso non chiederti della marcatura su Roberto Baggio. Mi ricordo che prima della partita i giornali nazionali avevano scritto «Lo marcherà un certo Marco Sanna». Forse quei titoli sono stati una motivazione in più con un altro pallone d’Oro da marcare.
So solo che, soprattutto quando abbiamo giocato in casa, non riuscivo, come dire, neanche a toccare per terra, avevo una carica emozionale talmente forte, difficile da spiegare ancora oggi.
Stavi marcando il giocatore più forte del mondo in quel momento, considerato il numero uno. Una partita nella partita.
Sì, mi adattavo molto bene a giocare in certe condizioni. Prima, se ti ricordi, c’erano i cosiddetti numeri dieci. E io proprio quell’anno lì li ho marcati tutti. Tutti. Molti si ricordano di Baggio, perché comunque li abbiamo eliminati dalla Coppa. Su di lui mi sono appiccicato. Era quello dovevo fare, perché se l’avessi lasciato un pochino ci avrebbe castigato. Oltre Baggio, in campionato mi toccarono Mancini, Zola, Hassler. Mi è mancato solo Savicevic, quell’anno lì.
Comunque, con la Juve superaste il turno, fu un trionfo anche a Torino con tanti sardi a supportarvi e con il gol liberatorio di Oliveira. Poi arrivò la famigerata semifinale con l’Inter, prima in casa e poi a San Siro. Una doppia sfida che nessun di noi in Sardegna ha mai dimenticato.
Anche a Torino abbiamo trovato una grossa comunità di sardi. Avevamo fatto una cosa straordinaria a Cagliari e poi invece al ritorno la qualificazione si è compromessa quando è stato concesso quel rigore, causato proprio da me; se vai a rivederlo su YouTube l’ho sfiorata con un pelo della mano, non c’è stata neppure deviazione. L’arbitro era forse a 30 metri ma ha visto il tocco di mano. Lì è stata compromessa la partita anche se alla fine hanno meritato di vincere.
Finì 3-0 e il sogno svanì.
L’Inter aveva un’ottima squadra. Non ci dimentichiamo che aveva i vari Bergkamp, Ruben Sosa, Yonk, Berti, Zenga e Bergomi. Era una grande squadra.
All’andata c’eravamo illusi tutti. Segnarono Criniti e Pancaro.
Noi non ci siamo illusi. Forse l’ambiente e lo capisco, tutto ciò che faceva da contorno alla squadra. A Milano, c’erano non so quante persone lì nell’albergo che gridavano. Troppa gente. A posteriori ti dico che probabilmente quel ritiro lì non è stato uno dei migliori. Dopo il rigore sono stati più bravi. Non scherziamo, erano forti.
Sei rimasto a Cagliari sei anni sino al 1998. Perché è finita il Cagliari? Non si è mai capito bene.
Questa cosa l’ho già raccontata altre volte. Avevo un accordo di due anni con il Cagliari. Mi avevano chiamato per firmare. Avevo trovato subito l’accordo senza nessun tipo di problema. Ma il Presidente non mi firmava la procura. La procura è una percentuale che va al tuo procuratore. Per sei anni l’avevo sempre pagata io, e avevo trovato l’accordo che questa volta avrebbe dovuto pagarla la società. Ma senza il documento della procura firmato neppure io potevo firmare il rinnovo. Lì forse si è incrinato qualcosa. Io da professionista come sono sempre sono stato, ho dato tutto fino all’ultimo giorno dell’ultimo allenamento. Pensa che l’ultima partita col Cagliari sono entrato dalla panchina con un’infiltrazione. Ero infortunato al tallone. Credo di essermi comportato benissimo. Ma il presidente appena saputo che non avevo firmato, a fine stagione mi ha chiamato chiedendomi il motivo. L’ha interpretata come una mancanza di fiducia. Io gli ho detto che non era un questione personale ma che non mi fidavo di nessuno in generale.
Hai avuto un bel coraggio con Cellino.
Sì, il coraggio non mi è mai mancato. Però la verità è questa. Non penso di aver cancellato sei anni da professionista, a Cagliari, come li ho fatti, solo per una frase, un episodio. Il presidente non mi ha più chiamato ma lo ha fatto il mio procuratore. ‘C’è il Torino che ti vuole’. Era il Torino di Mondonico, ci sono andato. A Cagliari sono stato e trattato benissimo. Al Torino invece ho ritrovato Lentini da compagno di squadra, sempre fortissimo. Era veramente un ‘animale’ nel senso buono. Fisicamente era stratosferico. Era un bel Torino. Quello di Bucci, Minotti e Ficcadenti, Ferrante in avanti. Poi Scienza, Scarchilli, Crippa. Pellissier. Era un’ottima rosa e infatti abbiamo vinto il campionato. Promossi in Serie A.
E poi venne la Sampdoria con mister Ventura.
Sì. Quello forse è l’errore più grave che ho fatto per il semplice fatto che a Torino ho quasi sempre giocato. E sarei ritornato in Serie A. Avrei avuto l’esperienza maturata col Cagliari con lo stesso Ventura che mi aveva sempre fatto giocare; ho fatto tutto il precampionato col Torino, amichevoli sempre da titolare, poi Mondonico ha fatto altre scelte e dal primo settembre sono andato a Genova agli ordini di Ventura, il mister mi voleva, mi chiamava ogni giorno. Ho sempre pensato che quando uno lavora seriamente non deve avere paura di niente.
Dopo tre anni il ritorno a casa, alla Torres. Profeta in patria?
Più che altro una responsabilità perché a casa tua non puoi sbagliare nulla. Sono di Sassari, vivo a Sassari, oggi faccio anche l’ allenatore della Primavera della Torres, quindi figuriamoci. Il presidente Rinaldo Carta mi aveva riportato a Sassari, e per questo gli sono sempre stato grato.
E giocasti la famosa partita con Napoli.
L’ultimo anno da professionista. Era una Torres che meritava sicuramente qualcosa in più. Ho avuto ottimi allenatori a Sassari, da Mereu a Cuccureddu solo per nominare i Sardi.
Quella del 2005-2006 è stata la Torres più forte del dopo Zola?
Questo non lo so. Ho vissuto da spettatore quella di Zola, li ho anche affrontati in Coppa Italia. Sono due ere diverse. Quella di Zola aveva degli ottimi ottimi giocatori. Dossena, Tolu, Zola, Piga, Ennas, Del Favero. L’ultimo anno a Sassari da calciatore abbiamo fatto molto bene, purtroppo poi quando arrivi ai play-off subentrano molti altri fattori come innanzitutto la condizione fisica. I play-off sono un altro campionato. E la condizione climatica. Climatica vuol dire che nei play-off arriva il caldo e si rischia di arrivare cotti e qualcosa molti hanno pagato non tutti per varie ragioni siamo arrivati in condizioni ottimali.
E col Grosseto è finito il sogno.
Il Grosseto allenato da Max Allegri. Abbiamo sbagliato il famoso rigore. Il Grosseto alla fine ha meritato e siamo stati eliminati.
L’attaccante che ti ha messo più in difficoltà in assoluto?
In quegli anni lì c’era… Non ricordo il cognome… dell’Atalanta. Un po’ dinoccolato. È andato alla Fiorentina intorno agli anni Novanta.
Robbiati?
Robbiati, bravo! Lui era forte, molto forte. Mi ha messo veramente in difficoltà a Bergamo contro l’Atalanta. Molto bravo col piede sinistro. Invece poi in altre partite sono riuscito a marcarlo. Ha fatto una carriera sotto le aspettative, un po’ particolare come giocatore, anarchico e forse un po’ discontinuo. Però quando lo beccavi in giornata… Probabilmente quel giorno l’avevo beccato in giornata.
Hai avuto comunque signori allenatori da Vanni Sanna a Mazzone, Giorgi, Tabarez, Ventura e Mondonico. Qual è quello che ti ha trasmesso qualcosa in più di questi?
Sarebbe molto facile dire mister Bruno Giorgi perché mi ha fatto sempre giocare, ma stiamo parlando di una persona di uno spessore umano diverso, devo essere sincero. Ma posso dire onestamente che c’è stato un grande affetto con tutti. Quando sono arrivato in Serie A, Mazzone per me era più avanti degli altri. O perlomeno era al livello degli allenatori delle grandi squadre. Mazzone sapeva tutto. Che tizio avrebbe dovuto giocare quella partita lì; che si girava a destra e tirava col sinistro, chi era bravo di testa, chi veloce, sapeva tutto! Adesso è tutto più facile, Ma prima c’erano solo le famose videocassette; prima era un bel casotto avere tutte le informazioni. Poi ho avuto uno come Giorgi, che era, nel senso buono, un po’ all’antica, però ha comunque fatto benissimo in campionato e in Coppa UEFA. E ho avuto Tabarez. Era preparatissimo, aveva cambiato il modulo tattico perché lui già giocava a zona quando è arrivato a Cagliari ci ha fatto giocare in una maniera ‘nuova’. E poi ti dico Ventura. Siamo andati in Serie A giocando 3-5-2, un modulo che lui già qualche anno prima praticava e che nessuno aveva adottato. Però ‘chi fa’ la squadra, te lo dico, sono i calciatori. Se tu hai un Van Basten centravanti al posto di Marco Sanna, cambia tutto. Non c’è niente da fare. Prendi Ancelotti, vince solo perché ha una grossa squadra? Ancelotti è bravo, preparato e in più ha una squadra stratosferica. Ancelotti, oltre ad essere molto bravo come allenatore, ha delle qualità personali che vanno al di là del calcio.
È più facile stare in campo o vedere la partita dalla panchina, fare l’allenatore, gestire una rosa di 20 persone non credo sia semplice.
No, senza alcun dubbio stare in campo. Non c’è paragone. Quando vai in campo pensi a te stesso, cerchi di fare il meglio possibile per aiutare i compagni. Quando fai l’allenatore devi pensare a un miliardo di cose in più. Preparare le partite, cercare di gestire il gruppo nel migliore dei modi; pensa, adesso sto preparando i calci d’angolo per domani. È un altro mestiere. Quello del calciatore è molto più facile rispetto a quello dell’allenatore. Non è facile fare delle scelte perché magari lasci fuori uno che si è allenato bene, ma si gioca sempre in undici. Ma se fai l’allenatore… Altrimenti fai altro nella vita.
Davvero pensi che Zola fosse più forte di Baggio?
Per me sì. Li ho marcati tante volte tutti e due, quattro, cinque volte a testa. Ti posso garantire che per me Zola era più forte. Questo non vuol dire che Baggio non lo fosse, ci mancherebbe altro. Baggio mi ha messo in grande difficoltà, stiamo parlando di due fenomeni del calcio italiano e non solo. Baggio o Zola come prendi le misure? Ma se tu mi chiedi chi era più forte, in quel periodo, io ti dico Gianfranco. Non lo dico da sardo, attenzione. Baggio ha vinto il Pallone d’oro, ha fatto grandi giocate e grandi gol. Ma cosa vuoi che ti dica? Per me Zola era più forte e non lo dico per sentito dire.
Glielo faremo sapere a Gianfranco, sarà contento.
Lo sa. Lo sa eccome! ( ride)
L’ultima domanda. Il calciatore col quale sei andato più d’accordo in tutta la tua carriera?
È dura. Dico il mio presidente, Stefano Udassi, siamo compari gli voglio bene e ci vado d’accordissimo.