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Like a Rolling Stone?
di Riccardo Frau
I Maneskin aprono il concerto dei Rolling Stones a Las Vegas
Certo, chi l’avrebbe mai detto?
In pochi anni, dalla strada ai talent show televisivi italiani, alla vittoria prima a San Remo e poi all’Eurovision Song Contest 2021, fino ad aprire il concerto dei Rolling Stones a Las Vegas. E, nel frattempo, tanta roba: concerti, videoclip, gossip, glamour, numeri da capogiro su Spotify…
Stiamo parlando dei Maneskin, ovviamente.
Ieri sera, 5 novembre, all’Allegiant Stadium, un sito futuristico e ipertecnologico da 65.000 posti, la band italiana, come annunciato al Tonight Show di Jimmy Fallon qualche settimana fa, si è presentata sul palco con un look “a tema”, che rievocava la bandiera degli Stati Uniti (bluse con stelle argentate su sfondo blu e pantaloni a strisce ondulate bianche e rosse), kitsch quanto basta, ma sicuramente colpendo nel segno.
Intanto, da apprezzare il coraggio, perché i Maneskin hanno iniziato la loro scaletta cantando i primi pezzi in italiano, In nome del Padre e Zitti e Buoni. In mezzo ai due brani, giusto una citazione in inglese del frontman Damiano: “E’ un piacere ed un onore per noi essere qui e avere la possibilità di riscaldarvi prima che arrivi sul palco la più grande band di tutti i tempi. Grazie della possibilità. Daremo il 100%. Divertitevi!”. E poi giù mezz’ora di rock ad alta energia, sfrontati e senza timori reverenziali, fra pezzi propri e citazioni di “classici”, come I wanna be your dog, di Iggy Pop. Lo stadio applaude, eccome (la performance integrale è visibile su YouTube nel reportage di DJ Gerry per Starlight Music).
Per la rock band italiana è l’apoteosi, la consacrazione, l’ingresso nel circuito rock dalla porta principale.
Il fenomeno Maneskin è attuale e divisivo, perché, a quanto si legge sui media e sui social, questo gruppo o lo ami o lo odi. E non mancano massicci schieramenti da una parte e dall’altra. Di loro si è detto – e si dice – di tutto: oltraggiosi, trasgressivi, e, secondo alcuni, montati ma tecnicamente poco dotati. Eppure le critiche non li scalfiscono, anzi sembrano alimentare la forza d’urto di quest’onda.
Nei giorni scorsi, intanto, questi ragazzi hanno incassato il sostegno di una grande firma del panorama musicale italiano, dato che Carlo Massarini, l’indimenticato conduttore del programma televisivo Mr. Fantasy, che tanto ha fatto per l’alfabetizzazione rock del Paese, ha clamorosamente perso le staffe contro alcuni detrattori dei Maneskin sulla propria pagina Facebook, invitandoli a smettere con le critiche e ad “andare a farsi una vita altrove”.
In questa disputa, fra l’altro, se ne nascondeva un’altra, non meno insidiosa, dato che alcuni puristi del rock storcevano il naso contro il nuovo corso rappresentato dai Maneskin. In pratica: “meglio il vecchio rock o il rock moderno?”. Ma, prima ancora che la polemica decollasse, arriva questa mossa che spiazza un po’ tutti: la band più longeva del pianeta, unica superstite del rock al tempo degli Dei, accoglie sotto la sua ala i nuovi idoli dei teenager: i Maneskin ospiti dei Rolling Stones nel tour degli Stati Uniti. Il caso è chiuso. E’ chiaro che dopo questo passaggio, risulta ora difficile scomunicare, in nome della tradizione, qualcosa che ha ricevuto l’investitura di Mick Jagger e Keith Richards, salvo mettere in conto di essere derisi dalla gogna del web (o dagli amici del bar dello sport, per bene che vada).
Ma torniamo ai Maneskin. Oltraggiosi e trasgressivi, quindi?
Certo. E non per caso, dato che si tratta di un’immagine sapientemente costruita: se vuoi proporti come nuovo profeta del rock, infatti, è difficile farlo apparendo con una tisana ed un pigiama di pile. Del resto, cinquant’anni fa le Pietre Rotolanti facevano di molto peggio, proponendosi, in epoca molto diversa (su astuto consiglio dei loro manager), con capelli lunghi, atteggiamento da bulli, sessisti, acerrimi rivali di quei “bravi ragazzi” dei Beatles, ostentando esplicitamente l’uso di sostanze psicotrope: qualche volta scappava la mano, come quando, nel 1967, gli abusi chimici valsero diversi giorni di carcere (quello vero) ai due fondatori, liberati solo dopo una clamorosa campagna di stampa a loro sostegno. Agli esordi, del resto, anche gli Stones furono spesso osteggiati e anche derisi, come capitò allo show televisivo di Dean Martin, che li presentò al pubblico in sala incitando i presenti alla risata sul taglio di capelli della band.
Ora, per intenderci, un atteggiamento come quello degli Stones non sarebbe più proponibile. I tempi sono diversi e, per non cadere sotto gli strali del politicamente corretto, è meglio accennare alla trasgressione, ma senza essere troppo espliciti (incluso l’ammiccamento al consumo di “polveri sottili”, come avvenuto all’Eurovision Song Contest, salvo poi produrre un referto di laboratorio che lo smentiva)
Trasgressivi e glamour, ruvidi e patinati allo stesso tempo. Il trionfo dell’immagine, quindi?
Sì, ma non solo. Perché è innegabile che, accanto alla cura nell’apparire, i Maneskin siano anche una band vera, che suona dal vivo e senza particolari “aiutini” tecnologici, in un panorama costellato da pseudo musicisti che non muovono un passo senza i software che ne correggono gli errori in tempo reale: più che un panorama, un deserto di figure che galleggiano sul vuoto pneumatico di brani costruiti in laboratorio
Ogni tanto, poi, nel repertorio dei giovani rockers italiani spunta una citazione subliminale dei classici, che non fa mai male e suona anzi come una dichiarazione di appartenenza: se, da una parte, Mammamia, il nuovo successo della band, richiama i trionfi degli Abba (a proposito, stanno per uscire con un nuovo disco!), dall’altra il titolo I wanna be your slave arriva dritto dritto da un brano dell’album Tattoo You dei Rolling Stones, del 1981, del quale – guarda un po’ – ricorre ora il quarantennale.
Riassumendo?
Tanta immagine, si: ma è lo stesso mondo attuale che si muove con queste logiche, che nello show business sono poi amplificate alla decima potenza. Se non lo capisci, sei fuori. Quindi non un torto, ma caso mai un punto a favore della band italiana. E poi, un po’ di musica ad alta energia in mezzo a un mare di reggaeton e trap. Sinceramente, era ora.
Ma soprattutto, i numeri: quelli danno ragione ai Maneskin e torto ai loro detrattori. Il successo logora chi non ce l’ha, avrebbe detto un noto politico, se si fosse dato allo spettacolo. Certo, i Maneskin possono piacere o non piacere, essere simpatici oppure no, ma qui si entra nel campo del gusto soggettivo, in cui non si possono dettare regole e la discussione potrebbe continuare all’infinito: del resto, già gli antichi romani avvisavano che sui gusti è inutile disputare.
Se questo successo potrà durare, o se invece saranno una meteora, nessuno può dire, al momento. La giovane band italiana, intanto, incassa l’ammissione all’èlite rock internazionale e si gode giustamente il momento, sperando che duri il più a lungo possibile.
E magari culla il sogno, fra molti anni, di poter cantare, come gli Stones, Time is on my side.