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Il lavoro da difendere: l’Asinara diventa l’isola dei cassintegrati/9
C’è una pagina di storia operaia e di lotta sindacale che va raccontata. Il 24 febbraio del 2010, fallito l’ultimo tentativo di vendere l’industria chimica, quindici operai della Vinyls s’imbarcano per l’Asinara. L’obiettivo è occupare la diramazione del carcere di Cala d’Oliva, un quadrato in cima ad una ripida salita dove erano ubicate una decina di celle e alcuni servizi, come la barberia. Qui comincerà la loro protesta per il lavoro. Durerà quindici mesi, fino all’8 giugno del 2011
All’Asinara in quest’arco di tempo sono arrivati giornalisti di tutte le testate, cartacee e televisive. I talk show si collegavano quotidianamente in diretta con gli operai. Raccontavano le loro storie. La paura di perdere il lavoro manifestata dai giovani, l’angoscia dei più anziani di non riuscire ad arrivare alla pensione.
La loro vertenza ha conquistato le prime pagine dei giornali e l’apertura dei Tg. Due giovani sardi emigrati all’estero, Michele Azzu e Marco Nurra, scelgono l’web per far arrivare all’esterno il messaggio dei lavoratori. Alla pagina “L’isola dei cassintegrati” si iscrivono in pochi giorni 35 mila persone. Azzu e Nurra creano anche un blog, www.isoladeicassintegrati.com, che raccoglierà tante storie, pensieri, testimonianze. L’Asinara diventa l’esempio di come si possano difendere i propri diritti al lavoro con una protesta educata. Proprio a questo aspetto della vertenza Nurra e Azzu hanno dedicato un libro, “Asinara Revolution”, della Bompiani editore. Nello stesso periodo è uscito anche il volume “L’isola dei cassintegrati” scritto da un lavoratore della Vinyls, Tino Tellini, tra gli occupanti della diramazione di Cala d’Oliva.
Il caso Vinyls aveva riportato l’Asinara all’attenzione del mondo. Tanti anni erano trascorsi da quando, sciolte le catene del carcere, lo Stato l’aveva trasformata in un parco naturale. Sull’isola sono stato diverse volte per seguire la protesta dei lavoratori, così come i miei colleghi Fausto Spano e Franco Ferrandu. Ogni volta ho percepito la forza che emanavano quelle persone pur vivendo un dramma che avrebbe potuto sconvolgere la loro vita. Mai ho avvertito segnali di resa. Erano certi che qualcosa o qualcuno gli avrebbe restituito il lavoro e un futuro. Uno di loro, mentre passeggiavamo nel cortile della diramazione centrale, a Cala d’Oliva, mi aveva confidato che nella solitudine delle notti trascorse nelle celle dove dormivano, lontani dalle loro famiglie, aveva temuto che la disperazione avesse il sopravvento sulla speranza. Era un segnale chiaro seppure non manifestato apertamente. Il passare dei giorni, la girandola di trattative per salvare la Vinyls erano ormai un’altalena esasperante di speranze e delusioni.
La protesta dei lavoratori Vinyls si svolgeva anche a Porto Torres dove un altro gruppo aveva occupato la torre aragonese a due passi dal porto. Altri erano saliti a quota 100 metri dal suolo per occupare la torcia che ai tempi dell’attività industriale scaricava i fumi degli impianti. Resteranno su, in condizioni ambientali proibitive, per quattro mesi. Solo il 6 dicembre del 2010 decisero di scendere stremati. Il ministro Romani li aveva rassicurati. “State tranquilli, le cose si stanno risolvendo, con Gita è quasi fatto, ho tutte le garanzie per chiudere l’operazione. Tornate a casa” disse con l’atteggiamento del buon padre di famiglia. In realtà bluffava sulla pelle dei lavoratori.
Il 24 aprile del 2014 la maggioranza degli operai e tecnici di Vinyls, 88 in tutto, ricevette la lettera di licenziamento. Rimasero al loro posto solo gli addetti alla sorveglianza e alla manutenzione degli
impianti. All’Asinara intanto i loro colleghi cassintegrati preparavano borse e zaini per tornare a casa. Questi lavoratori sono stati gli unici ad aver fatto il loro dovere in questa vertenza. Si sono battuti oltre ogni limite umano per difendere il posto di lavoro, la loro dignità, il futuro delle loro famiglie. Si sono guadagnati il rispetto di tutti. Meritavano di avere a che fare con persone oneste ma in Italia purtroppo non è facile trovarne.