Serie D – Latte Dolce tra gruppo e difesa: coperta corta, ma le soluzioni non mancano
La Sardegna da scoprire e riscoprire. Il viaggio dei grandi scrittori: da Gabriele D’Annunzio a Carlo Levi
Quando Gabriele D’Annunzio sbarcò nel porto di Terranova (l’attuale Olbia) era il maggio del 1882, aveva solo 19 anni ed era già conosciuto nel mondo letterario per la raccolta poetica “Primo Vere”
Stravagante e geniale fin dall’adolescenza, si era inventato un metodo, che oggi definiremmo di marketing, per vendere più copie della sua prima opera giovanile: inscenare la sua tragica e cavalleresca morte per una caduta da cavallo. Salvo poi smentire tutto e incassare i frutti della sua perfetta campagna pubblicitaria.
Viaggiava per conto della rivista “Capitan Fracassa”, un giornale letterario e satirico romano dato alle stampe dal 1880 al 1890. Suoi compagni di viaggio erano i colleghi Cesare Pascarella e Edoardo Scarfoglio che, qualche anno più tardi, sposerà la scrittrice e giornalista Matilde Serao.
Molti scrittori si erano cimentati, nel corso dell’ ‘800, in esplorazioni avventurose della Sardegna, centro del Mediterraneo visto ancora come una terra mitologica e sconosciuta. Oggetto di accurate descrizioni antropologiche, archeologiche e paesaggistiche. Ancor prima di D’Annunzio La Marmora, Valery, Delessert, Balzac.
Scorrazzarono in lungo e in largo disegnando e catalogando specie animali e vegetali, cartine geografiche e paesaggi incontaminati dove i nuraghi giacevano ancora sotto un sole millenario come un ammasso di pietre nascosto da cespugli intricati.
Edouard Delessert aveva un preciso intento: descrivere la Sardegna dal punto di vista fotografico. Dalla sua esperienza di viaggio, nel 1854, nasceranno un libro di appunti, “Six semaines dans l’ile de Sardaigne” e un reportage di 40 foto impresse secondo negativi calotipici. Le fotografie di Delessert rappresentano la più antica testimonianza fotografica della Sardegna.
Perché proprio questa isola? Durante tutto il XIX° secolo si tentò di proseguire il filone dei diari di viaggio nati nel secolo precedente. Alle mete classiche come le principali città d’arte italiane si aggiunsero le mete esotiche e misteriose che spaziavano dal nord Africa al Medio Oriente (Egitto, Palestina).
La Sardegna era vista come una terra ancora sconosciuta e selvaggia, naturale crocevia di rotte dal sapore avventuroso. Il porto di Cagliari era un prolungamento dell’Africa nel quale si potevano catturare profumi berberi.
Honoré de Balzac, spinto da grossi debiti contratti a causa della sua vita dissoluta, arrivò in Sardegna nel 1838 sicuro di poter costruire una fortuna economica basandosi sui giacimenti minerari della Nurra. Ma il suo viaggio fu costellato da imprevisti e delusioni.
Alla ricerca di concessioni per i giacimenti, visitò l’Argentiera e Domusnovas. Durante le sue peripezie si indebitò ulteriormente e fu costretto a imbarcarsi segretamente a Cagliari per raggiungere Marsiglia fingendosi un vecchio mendicante. Nelle epistole alla contessa polacca Eveline Hanska, sua amante, descriverà tutta la sua delusione per una terra povera e per i suoi abitanti cenciosi.
D’Annunzio, invece, era elettrizzato da quell’angolo indomito di Mediterraneo e, conoscendo la sua indole avventurosa, sapeva che avrebbe tratto il meglio da ogni luogo immortalato nelle sue note di viaggio.
Da Terranova si spostò ad Alghero e a Nuoro. Il suo arrivo a Oliena fu per lui una rivelazione. L’incontro con il vino di quel paesino della Barbagia, che veniva chiamato semplicemente “binu de Uliana”, rimarrà a lungo nella sua memoria e verrà esaltato a più riprese nel corso della sua straordinaria vita tra le pareti del Vittoriale.
Un vino che descriverà in un articolo del 1910 sul “Corriere della Sera”: “A te consacro, vino insulare, il mio corpo e il mio spirito ultimamente….Possa io fino all’ultimo respiro rallegrarmi dell’odor tuo, e del tuo colore avere il mio naso sempre vermiglio. E, come il mio spirito abbandoni il mio corpo, in copia di te sia lavata la mia spoglia, e di pampini avvolta, e colcata in terra a piè di una vite grave di grappoli; ché miglior sede non v’ha per attendere il Giorno del Giudizio”.
Sarà il Vate, ancora nella sua giovane età, a coniare un nome che quel vino porterà con sé come una corona di virtù: Nepente. Il suo nome deriva dal greco “ne” = non e “penthos” = tristezza. Nessuna tristezza. Una bevanda che cancella i dolori e le angosce. Il tutto esaltato da un colore rosso rubino e una sensazione di gioia e convivialità che non lascerà più il giovane scrittore abruzzese.
A Villacidro fu ospite, con i suoi amici e Ranieri Ugo (noto scrittore e giornalista nato ad Iglesias ma residente a Cagliari), del professor Todde e visitò le cascate di Sa Spendula dove il rio Coxinas avanza rapido effettuando tre balzi.
La pioggia incessante trasmise a quel luogo un aspetto ancora più affascinante e struggente. Lo stupore e l’ammirazione nel vedere le rocce granitiche immerse tra i cespugli di macchia mediterranea e il rumore impetuoso delle acque che si tuffavano nella gola, diedero vita al componimento “La Spendula”. Una visione quasi mistica nella quale compare la figura di un giovane pastore sotto le vesti primitive di un satiro: “Ne la conca verdissima il pastore come fauno di bronzo, su ‘l calcare, guarda immobile, avvolto in una pelle”.
Era il 17 maggio 1882 e D’Annunzio pubblicherà La Spendula con lo pseudonimo di Mario De Fiori.
Giunto a Cagliari visitò le Saline di Molentargius e scrisse la poesia “Sale”. Le distese di sale e le bianche piramidi accumulate sotto la luce abbagliante gli fecero pensare spesso di essere in qualche località del nord Africa. Anche la fisionomia dei Sardi e il loro modo di vestire, le palme, il vento dai profumi speziati e le cupole delle chiese lo portavano verso quella direzione. La Sardegna poteva quasi toccare l’Africa oltre quel braccio di mare.
Nella poesia “Sotto la lolla”, quando descrive i magnetici occhi neri delle donne sarde, il riferimento alle atmosfere misteriose del Sahara è immediato.
Terminato il soggiorno in Sardegna più volte D’annunzio esprimerà la sua nostalgia per i paesaggi, le atmosfere, i canti. Avrebbe voluto scrivere un libro correlato da foto. Non lo scrisse mai. Restano degli articoli, annotazioni, reportage, lettere. Scambiò una fitta corrispondenza con gli amici Ranieri Ugo e Stanis Dessì. A loro raccontò il desiderio di ritornare in quella “terra magica” sentita quasi come una seconda patria.
Ranieri, che il sindaco di Cagliari, Ottone Baccaredda, definì simpaticamente “cagliaritano spirito bizzarro”, fu accanto agli scrittori del “Capitan Fracassa” fin dal loro sbarco a Terranova. Li accompagnò come un Cicerone e, fu in parte merito suo se quel soggiorno restò per sempre scolpito soprattutto nella memoria del giovane Gabriele. Scrittore esperto e curioso, utilizzava spesso lo pseudonimo di Paolo Hardy e, secondo fonti non accertate, si vocifera che sia stato proprio lui a scrivere la poesia “La Spendula” che il poeta avrebbe solo firmato e inviato alla rivista romana.
Dopo la breve ma intensa avventura isolana dei tre scrittori-giornalisti si susseguirono molti altri letterati, scienziati, fotografi in esplorazioni e ricerche che sfociarono tutte in scoperte personali da proporre ad un pubblico avido di storie.
In questo modo Gaston Vuillier arrivò in Sardegna nel 1890, forse per conto de “Le Figarò” o della rivista di viaggi “Le tour du monde”. Nel libro “Le isole dimenticate. Le Baleari, la Corsica e la Sardegna”, pubblicato nel 1893, la descrizione della società sarda, degli usi e costumi fu particolarmente dettagliata e accompagnata dai suoi disegni. Riuscì a individuare, con sguardo lucido e attento, le realtà di un microcosmo fatto di paesaggi incantati, leggende, tradizioni ma anche povertà, malaria, banditismo. E, soprattutto, capì la forte identità di un popolo che, nonostante le continue dominazioni, aveva mantenuto l’originario spirito di appartenenza alla propria terra.
Emilio Salgari, abile scrittore di libri d’avventura e conosciuto per le ambientazioni esotiche delle sue creazioni, probabilmente non mise mai piede in Sardegna o in Malesia o India. Fu un grande viaggiatore della fantasia, un instancabile e appassionato studioso. Per questo riuscì a modellare su storie e personaggi una visione del tutto personale e autentica. Tra il 1903 e il 1904 diede alle stampe due romanzi ambientati in Sardegna: “Le pantere di Algeri” e “La pesca dei tonni“ (racconto del quale si erano quasi perse le tracce). Nel primo si fa un balzo indietro nel tempo, fino al XVI° secolo. La protagonista è la contessa Ida di Santafiora. Il luogo prescelto è tra Sant’Antioco, San Pietro e Algeri con i suoi feroci pirati. Ci sono tutti gli elementi per un tipico romanzo d’azione: rapimenti, inseguimenti, luoghi insoliti, colpi di scena.
Ne “La pesca dei tonni”, ambientata invece ad Alghero, ciò che colpisce, oltre alla ferocia della mattanza dei tonni, è la descrizione della cittadina di origine catalana dove si trovano bellissime donne con abiti di foggia spagnoleggiante. La Sardegna di Salgari si allontana dalla visione fosca che serpeggiava nei primi anni del ‘900, quando episodi legati al banditismo, ai moti popolari e alle faide avevano contribuito a creare un alone di diffidenza. Lo scrittore veronese è riuscito a trasferire in una terra sconosciuta tutto il suo carisma. Ha visto uno spirito selvaggio degno di essere raccontato, ha liberato per un attimo la Sardegna da vecchi cliché e convinzioni elevandola quasi allo stesso piano della più famosa Mompracen.
D. H. Lawrence, scrittore inglese, sbarcò nei lidi sardi con la moglie Frieda von Richtofen, nel gennaio del 1921. Letterato discusso per i suoi romanzi erotici venduti in tutto il mondo, fu di sicuro un uomo eccentrico dotato di grande spirito di osservazione e ironia. Amante dei viaggi e curioso per natura scelse la Sardegna perché ritenuta ancora semisconosciuta e mai veramente conquistata da nessuna popolazione. I viaggi in treno e in corriera, nella loro logorante lunghezza, apriranno davanti ai loro occhi paesaggi sempre diversi che porteranno a considerare che “la Sardegna è un’altra cosa, più ampia, molto più consueta, nient’affatto irregolare, ma che si perde in lontananza”. Il risultato di quei nove giorni di viaggio fu il libro “Sea and Sardinia” pubblicato sempre nel 1921.
Nel 1932 il settimanale “L’Italia Letteraria” organizzò un viaggio in Sardegna per giornalisti e scrittori. I 25 partecipanti avrebbero dovuto scrivere una sorta di diario. Tra i giurati anche Grazia Deledda. A vincere il premio di cinquemila lire furono, ex aequo, Elio Vittorini e Virgilio Lilli.
Vittorini aveva 24 anni e proveniva da un’altra isola, la Sicilia. Il suo sguardo su quella nuova realtà fu entusiasta e proustiano. Tutto lo riportava alla sua infanzia, anche un albero di eucalipto. Ecco perché il suo resoconto “Viaggio in Sardegna” del 1932 diventerà “Sardegna come un’infanzia” nel 1952.
Osservare la natura, gli ontani, i sugheri “che hanno tronchi che sanguinano”, gli ulivi, la brughiera, lo riporterà ai pomeriggi estivi nei quali leggeva un libro nella solitudine delle sue colline.
Carlo Levi, scrittore e pittore antifascista di origini ebraiche, visiterà l’isola nel 1952 e nel 1962. A colpirlo sarà principalmente la zona interna della Barbagia con i suoi miti, i contrasti, la dura realtà fatta di tempo e persone. Niente è immobile come potrebbe sembrare. La storia è un flusso continuo. “Tutto il miele è finito”, pubblicato nel 1964 si riferisce al canto funebre di una madre che piange il figlio assassinato. Il figlio è quel miele che ormai non c’è più.
Dunque la Sardegna come luogo del Mito e del Tempo. Un Tempo che non può dimenticare un passato quasi eterno che si proietta nella quotidianità, nei gesti, nelle parole. Terra di conquista mai veramente domata, mai del tutto scoperta. Centro e periferia. Storia spesso trascurata.
Così Grazia Deledda disse di sé: “Io non sogno la gloria per un sentimento di vanità e di egoismo, ma perché amo intensamente il mio paese, e sogno di poter un giorno irradiare con un mite raggio le fosche ombrie dei nostri boschi, di poter un giorno narrare, intesa, la vita e le passioni del mio popolo, così diverso dagli altri così vilipeso e dimenticato e perciò più misero nella sua fiera e primitiva ignoranza”.
Una visione che comprende anche la storia di una terra diversa dalle altre che ha ancora molto da svelare.