Serie D – Latte Dolce tra gruppo e difesa: coperta corta, ma le soluzioni non mancano
Isola di simboli – La Sardegna magica ed ancestrale di Davide Van de Sfroos
Quella di Davide Van De Sfroos per la Sardegna è una passione antica e quasi ancestrale
fatta di conoscenze e rituali, maestrale ed onde.
L’adesivo dei Quattro Mori – esibito sulla chitarra al Teatro Ariston di Sanremo nel 2001 – incuriosì molti fans del musicista comasco, ed ora diventa il simbolo di un’identità conquistata. “Goga e Magoga” è l’ultimo lavoro discografico dell’istrionico artista, ed è sul mercato da qualche mese con successo. Il nuovo concept racconta le storie frontaliere di quei laghi bellissimi, che accolgono e respingono, ispirano e fanno sospirare, tra ironia e malinconia ed un sabba di ritmi etnici e forsennati.
Lo abbiamo incontrato a Milano, Davide Van de Sfroos. Abbiamo parlato a lungo e molto confidenzialmente del suo Mal di Sardegna, che lo ha aggredito ormai da quattordici lunghi anni. “Mi trovavo per la prima volta nella vostra regione” – racconta Van De Sfroos – “ e contavo di trattenermi una settimana. Dopo un mese ero ancora lì! Certe cose ti entrano dentro e non ti abbandonano mai”.
L’intervista
Come è avvenuto questo imprinting sardo?
“Avevo tredici o quattordici anni. Stavamo a Punta Bados, e vidi per la prima volta la Sardegna desertica e nuragica. Una mattina correvo fra le sterpaglie ed udii un suono arrivare da lontano. Mi resi conto che era un gruppo di anziani che cantavano tutti insieme a tenores, fuori da una chiesetta bianca. Rimasi letteralmente folgorato: una sensazione da pelle d’oca. I sapori ed i misteri della vostra terra da quel momento hanno fatto parte di me. Ho compreso pienamente e le parole di Grazia Deledda, il sapore del sale e del mirto. L’imprinting di cui parli è stata una vibrazione mai provata prima in altro luogo. Mi piaceva cercare fra le cose non dette: streghe ed accabbadore, detti popolari e presenze inquietanti, ed ogni cosa di questa storia incantata. Ho smesso di osservarvi con l’occhio del turista, e mi sono concesso la Sardegna autentica dei sardi. E come nel film “Un uomo chiamato Cavallo”, questo stato d’animo. Non è un’apertura indiscriminata, la vostra. Prima sei studiato e pesato. Ho preferito essere uno spettatore attento, ed ho lentamente sedimentato le cose da capire, anche quelle arcane ed apparentemente incomprensibili. Ho sempre usato il massimo rispetto. Voi lo avete capito e mi avete accettato, aprendomi la porta di questo mondo speciale.”
Che cosa ti ha appassionato maggiormente?
“Sono stato iniziato ai riti del formaggio e del vino, della carne e dei sapori nuovi da conoscere e cucinare. Amo l’invocazione a Maimone ed i riti propiziatori della pioggia, il Carnevale mi affascina. Conosco i tre tipi di streghe sarde; brujas, cogas e majargias. Per tenere il male lontano ho imparato ad usare tretipi di pietre: perdas de fogu, si chiamano così. Mi intrigano la medicina dell’occhio, le dicerie sul malocchio, ed adoro le teorie sui quattro mori del vostro vessillo: una volta con la benda ed una volta senza, guardano a destra, guardano a sinistra. Ognuno mi racconta la sua personale congettura: è fantastico! La Sardegna è quasi un continente… C’erano quattro giudicati, una limba e tanti dialetti. Il logudorese ed il campidanese, il gallurese ed il barbaricino. Mi coinvolge la visione profonda di Fabrizio De Andrè sulla Disamistade. Penso ai luoghi autodistrutti delle faide. Ho sentito molti racconti in merito.”
Tra i tanti concerti sardi, quale è quello del cuore?
“Ricordo bene quelli di Arzana e Lanusei. La gente era fiera di ospitarci, e ci ha osannato davanti al palco. Ricordo bene la cena indimenticabile in un posto denominato “Pompe Funebri Aurora”: canti e balli, suoni e strumenti, Cannonau e porcetto fino a notte tarda. Alle sei del mattino abbiamo trovato anche dei suoni sperimentali ed innovativi.”
Fare conoscere la limba oltremare è arduo? Esistono dei margini autentici?
“La chiave è la contaminazione. Pete Gabriel ed i Tenores di Bitti hanno fatto un grande studio antropologico, per esempio. I Tazenda ed i Cordas e Cannas si muovono nella giusta direzione. Le Balentes si avvicinano giocosamente al jazz ed alla fusion, e rispettano comunque lo stile tradizionale: dopo il successo di “Cixiri, sono buone ambasciatrici. Ma devono essere difesi ad ogni costo anche i suoni arcaici e puri dei Tenores di Oniferi, intendiamoci. E dimenticavo il rap de “Sa Razza”. Come accade in Bretagna, è bello mescolare questa nuova tendenza con le sonorità multi-etniche e le matrici ttradizionali.”
La Sardegna in una canzone di Davide Van De Sfroos. Dimmi il titolo…
“Sceglierei la situazione naturale, che è poi lo specchio della vostra indole. Il titolo è “Isola Sospirante”, e tutto ruota intorno a quattro elementi. Il sughero, che è capacità di assorbire e resistere nel tempo. Il mirto, che evoca la dolcezza ed il profumo delle vostre musiche e delle vostre sensazioni. Il sale, che è il dono di un mare cristallino e presente, incontaminato e protettivo. La pietra, che è dura determinazione nelle scelte e sobria austerità. Ecco, questa è la mia Sardegna.”
Mariella Cortes
© RIPRODUZIONE RISERVATA