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Morti, sangue, fiumi di cocaina.
È un cocktail disturbante e ispirato alla realtà “Roma criminale” (Newton Compton edizioni), romanzo scritto da Giuseppe Scarpa, 43enne sassarese, da tempo migrato nella Città Eterna per incarnare la sua vocazione: quella del giornalista. Giudiziarista per Repubblica e Il Messaggero, collaboratore per diverse testate tra cui “Wired Italia”, è autore televisivo e di inchieste, tra le altre, sulla criminalità organizzata, il neofascismo e la malasanità. A Sassari, in Camera di Commercio, ha presentato martedì 22 aprile il suo libro davanti al pubblico, e in un incontro moderato dal giornalista Salvatore Taras, in un’anteprima del festival Liquida, la rassegna di letteratura giornalistica che si tiene ogni anno a Codrongianos.
Come fa un giornalista sassarese ad affermarsi a Roma, e in così breve tempo, in un campo complesso come quello della giudiziaria?
È stato molto difficile perché la concorrenza era serrata. Alla fine però, forse con l’aiuto di un po’ di testardaggine sarda, sono riuscito a crearmi il mio spazio nella cronaca giudiziaria romana, che è molto competitiva.
Come è invece avvenuto il passaggio da giornalista a romanziere?
Non è stato così complicato per il semplice fatto che la cronaca romana offre degli spunti che vanno ben oltre la fantasia. Mi sono occupato per anni della criminalità organizzata e alla fine ho deciso di utilizzare tutto quello che avevo imparato per trasformarlo in un romanzo. Il mio obiettivo è quello di fare una sorta di nuovo “Romanzo Criminale” (l’opera di Giancarlo De Cataldo, divenuta anche serie tv ndr). Ma mentre quello raccontava le gesta della Banda della Magliana, il mio narra la nuova epopea criminale romana di questi ultimi anni.
Un’epopea che nel libro ha le forme del “Boia” e dei suoi seguaci pronti a conquistare l’Urbe attraverso la vendita di droga scavalcando le gerarchie mafiose costituite. Cosa hai capito di questa scena romana che, tra omicidi e la presenza di ‘ndrangheta e camorra, ha tenuto banco sulle cronache nazionali?
È vero il detto che Roma non vuole Re nel mondo del crimine. Chiunque cerchi di diventare il Re del lato oscuro della città inevitabilmente muore. È successo anche negli ultimi anni con il boss Michele Senese detto ‘O pazzo e i suoi due principi Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, e Giuseppe Molisso, detto Peppe. Come noto Diabolik viene ucciso nel 2019. Una vicenda che è stata di ispirazione ma i personaggi che racconto sono di pura fantasia.
Nel libro sono impressionanti le quantità di cocaina che girano e i dettagli su come vengono puniti i traditori.
Roma consuma due tonnellate di cocaina al mese e fa guadagnare, a chi la vende, centinaia di milioni di euro l’anno che nel giro di poco diventano miliardi. Quanto alle torture descritte sono purtroppo vere. Nel mondo della malavita, chi tradisce muore.
In Roma Criminale il giornalista Federico Ascia intervista il “Boia” sfruttandone la vanità. È lei Ascia?
No, non sono io. Ma mi è capitato di intervistare dei boss come Maurizio Abbatino, lo storico esponente della Banda della Magliana, e anche “Accattone” (al secolo Antonio Mancini, anche lui esponente della Banda ndr).
Hai mai subito minacce?
Sì, anche aggressioni, da parte di clan criminali romani. Diciamo però che chi fa questo lavoro a Roma lo mette in conto.