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Diffamazione, Il social non perdona
di Salvatore Cappai
Avvocato esperto in Responsabilità Civile
Attenzione! Per la Cassazione è diffamazione aggravatata
Ogni mattina, in Italia, un frequentatore dei social network si sveglia e sa che si imbatterà in animate discussioni su post di ogni genere e argomento. Durante la giornata leggerà di diatribe politiche – nelle quali la politica, per vero, quasi sempre scompare e si perde nello sfondo -, troverà scambi di opinioni su spettacoli televisivi, dibattiti sull’incontro calcistico della squadra del cuore e divergenze relative a gusti sessuali o credo religiosi.
Leggerà, in gran parte di questi post, pesanti insulti e dichiarazioni denigratorie.
Proprio su queste ultime intendo portare l’attenzione di chi legge, sperando di fornire un’informazione utile ad evitare serie conseguenze troppo spesso ignorate o sottovalutate.
Parliamo infatti di reati, di reati seri.
In più occasioni la Corte di Cassazione ha avuto modo di esprimersi in merito alle offese all’altrui reputazione poste in essere sulle bacheche dei cosiddetti social network – in particolare sul più noto tra essi: Facebook -, ribadendo costantemente come le stesse vadano a configurare un’ipotesi di diffamazione aggravata.
Secondo il nostro Codice Penale infatti commette diffamazione semplice, al di fuori dei casi di ingiuria (reato recentemente depenalizzato, che si differenzia dalla diffamazione per la partecipazione attiva e la presenza dell’offeso alla discussione), chiunque “comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione”. Per il reato in questa sua forma semplice è prevista la pena della reclusione fino a un anno o della multa fino a milletrentadue euro.
Già così ci sarebbe ben poco da scherzare. Ma gli insulti sui social sono puniti ancor più pesantemente – con la ben più grave pena della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro – perché, come detto, la diffamazione è aggravata dal fatto che l’offesa sia recata con un mezzo che ne amplifica enormemente la diffusione.
I social infatti permettono al messaggio offensivo di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone, che del resto si avvalgono del social network proprio allo scopo di instaurare relazioni interpersonali allargate ad un gruppo di frequentatori non determinato.
La forza lesiva dell’offesa si espande senza controllo e può produrre danni enormi. Siamo purtroppo testimoni quotidiani di suicidi o altre tragedie provocate dallo stato di frustrazione e vergogna in cui cadono le vittime di queste condotte.
L’unico consiglio che posso dare è quello di muoversi sui social e sui mezzi di comunicazione digitali in genere con cautela e circospezione forse anche maggiori rispetto a quelli adottati nella parallela vita reale. Anche perché oramai il virtuale è reale!
Ciascuno di noi, frequentando il web, affianca alla propria identità personale una corrispondente identità virtuale; quest’ultima, non meno importante della prima, per fortuna gode di crescenti strumenti di protezione e tra questi rientrano senza dubbio i rimedi approntati dal diritto penale.
I casi di denunce e querele sono in crescente aumento, quindi massima attenzione.
Ricordiamo sempre che i social non sono il far west, non sono una zona franca immune da regole e sanzioni conseguenti alla loro violazione; i casi di denunce e querele sono in crescente aumento, quindi massima attenzione.