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I giornali dopo la chiusura della SIR e le prime esperienze televisive/3
Terza parte della storia di Gibi Puggioni: le vicende personali, i racconti e gli aneddoti da Sassari Sera a Videolina a L’Unione Sarda, di chi con scarpe comode e schiena dritta continua a fare il giornalista
di Gibi Puggioni
Ai primi degli anni Ottanta nell’informazione quotidiana isolana si verificarono due eventi: la rifondazione della Nuova Sardegna (1980) dopo tredici anni di proprietà Sir e la nascita del quotidiano L’Isola (1981). Il giornale sassarese entrò a far parte del gruppo Espresso-Repubblica il cui editore, Carlo Caracciolo, procedette rapidamente al rinnovamento del quotidiano.
La prima scelta da fare era quella del direttore. Al gruppo L’Espresso riuscì il colpaccio: portar via al Corriere della Sera Luigi Bianchi, capo della redazione di Roma, ancora oggi ritenuto il miglior direttore nella storia del quotidiano sassarese. Quindi, seguendo le indicazioni dell’editore, La Nuova viene trasformata in un tabloid modello La Repubblica, quindi un formato più piccolo rispetto al precedente. Viene cambiata la grafica e finalmente in redazione fanno la loro comparsa i pc.
C’era molto da rifare e uno spazio di mercato da riconquistare con l’offerta di un’informazione corretta e credibile. Caracciolo e i suoi uomini hanno lavorato bene recuperando in breve anche una parte delle copie perdute. Intanto in Via Spano, a due passi dalla Prefettura e da Piazza d’Italia, c’era chi lavorava per fondare un altro quotidiano, un giornale che, nei sogni della proprietà, doveva fare concorrenza alla Nuova.
E’ L’Isola che esce in edicola il 1° marzo del 1981. Lo dirige Roberto Stefanelli, ex capo cronista della Nuova. Qualcuno definì L’Isola “un giornale fatto a dispetto”. Il suo editore, l’ingegner Fefe Bozzo, origini genovesi, una potenza nel settore dell’edilizia, aveva tentato, fallendo, di inserirsi nell’acquisto della seconda maggior quota della Nuova Sardegna, giornale che l’Eni aveva affidato a Carlo Caracciolo, proprietario del 48 per cento delle azioni.
Perché “a dispetto”? Negli ambienti della borghesia sassarese e di una parte della classe politica la scelta della proprietà della Nuova era apparsa come un tentativo di sottrarre ai sardi il giornale della loro “specificità culturale”. I Bozzo, che avevano creato la Rtf (Radiotelefinsar, gruppo di media formato da una radio e una buona emittente televisiva), erano gli unici operatori disposti ad affiancarsi a Caracciolo ma non vennero considerati affidabili politicamente e operativamente. Di qui la determinazione rabbiosa di fondare un loro giornale.
L’idea iniziale era quella di fare un prodotto senza troppe pretese: cinquemila copie, formato tabloid, orientato in campo nazionale verso la corrente fanfaniana, vicino a Segni localmente, gestito all’insegna della massima economicità.
Chi da Roma controllava la linea politica, favorì i contatti con alcuni giornalisti che lavoravano al Tempo e che vennero “prestati” all’Isola per il suo lancio. Della redazione faceva parte anche un gruppo di giovani provenienti dall’esperienza radiofonica e televisiva, giornalisti disoccupati, alcuni professionisti, come Riccardo Sanna, ex Nuova, e gli editori di due periodici locali, Enrico Porqueddu e Pino Careddu.
L’avvio della neonata L’Isola fu un autentico sboom. Dopo tre giorni dall’uscita il direttore Roberto Stefanelli era già dimissionario. La proprietà lo sostituì con Antonio Delitala, giornalista di solida esperienza, con grandi capacità di scrittura ma di non eccelsa affidabilità per altri versi, anche lui proveniente da La Nuova Sardegna. Come vedremo più avanti, il nuovo giornale avrà vita breve.
Nel 1978 ho lasciato Sassari Sera. L’insegnamento non mi consentiva più di aiutare Pino come nei primi anni e lui ne era preoccupato. La situazione era diventata complicata per me. Certo, avevo capito che la mia strada sarebbe stata il giornalismo (già nel 1973 ero stato iscritto all’Albo dei giornalisti pubblicisti), ma non a Sassari Sera, per i motivi che Pino mi aveva spiegato fin dal primo incontro. Insomma, dovevo pensare al mio futuro. Ho continuato ad insegnare ancora qualche mese poi ho trovato posto nella sanità come addetto stampa. Con Pino i rapporti sono rimasti più che amichevoli e la mia collaborazione con il suo giornale l’ho mantenuta ancora a lungo usando come firma uno pseudonimo.
All’epoca in città era nata la prima televisione via cavo, Tele Obiettivo Sardegna. Aveva sede in un capannone di Predda Niedda ed era gestita con grande volontà (e pochi soldi) da Benito Castangia, fotografo, appassionato di cinematografia e buon conoscitore del mezzo televisivo. Aveva avviato il Tg ma gli mancava un conduttore, un giornalista con esperienza. Mi cercò e mi chiese se avessi voglia di dargli una mano “anche se soldi non ce ne sono”. L’avevo capito, in Sardegna la prima cosa che ti senti dire è “c’è da lavorare ma gratis”. Figuratevi che soddisfazione.
Però mi intrigava l’opportunità di collaborare con una Tv e condurre il Tg. In redazione c’erano altri giornalisti: Cesare Castangia, fratello di Benito, collaboratore de L’Unione Sarda e direttore della testata, Angelo Fancello, oggi all’ufficio stampa della Regione, Bruno Pallavisini, giovane militante della sinistra, l’anima di Radio Sassari Centrale. Per qualche tempo bazzicò in studio anche Vindice Lecis, giovane della Fgci con molta passione per il giornalismo. Mi stava sempre attorno, voleva sapere, era curioso. Capivo che avrebbe fatto il giornalista. Ne intuivo le qualità.
Avevo visto bene. Di lì a poco venne assunto da La Nuova Sardegna. La sua carriera fu rapida. Salì i gradini della carriera fino ad assumere l’incarico di capo cronista. Svolgeva con scrupolo il suo ruolo di osservatore e commentatore delle cose della città. Bravo e tosto, ma le sue battaglie giornalistiche risentivano della sua formazione politica. Insomma, come diceva Pino, “scrive con la falce e il martello”.
Cito un episodio che a quei tempi suscitò forti polemiche. Un gruppo di imprenditori aveva presentato in Comune un progetto per la realizzazione di un silos da adibire a parcheggio di auto nel Fosso della Noce, proprio sotto la sede della direzione generale del Banco di Sardegna, in viale Umberto. Scoppiò il finimondo. La Nuova Sardegna dichiarò guerra al pool di imprenditori. Ogni giorno pubblicava pagine e pagine contro il progetto, giudicato devastante per l’ambiente. “Un’iniziativa speculativa che – era la tesi di Lecis – il sindaco avrebbe dovuto fermare immediatamente” altrimenti, lasciava intuire nei suoi editoriali, il giornale gliel’avrebbe fatta pagare.
Un giorno ricevetti una sua telefonata: “Ciao Gibi, ho bisogno dell’aiuto di un giornalista autorevole come te per sostenere la battaglia che il giornale ha aperto contro il progetto del Fosso della Noce. Non ho visto nulla di tuo sull’argomento e questo mi ha sorpreso conoscendo la tua attenzione e sensibilità. O sbaglio?” mi chiese. “Caro Vindice – risposi – non faccio battaglie politiche in nome e per conto di nessuno. Credo che quel progetto sia serio e utile e la città ne abbia bisogno”. Il silenzio che ne seguì mi fece capire che Lecis non l’aveva presa bene. Aveva perso quello che riteneva un suo possibile alleato. Non ci siamo più parlati. Ma le sue battute velenose nei miei confronti mi sono state puntualmente riferite da alcuni suoi colleghi. Ho resistito alla tentazione di affrontarlo e poi l’ho cancellato dalla mia mente.
A Teleobiettivo Sardegna sono rimasto per tutto il 1979 poi è arrivata la chiamata di Radio Tele Finsar, della famiglia Bozzo. Per la verità la telefonata esplorativa la ricevetti da Gianni Olandi, corrispondente della Nuova da Alghero, dipendente del Banco di Sardegna e collaboratore della stessa Rtf. I Bozzo avevano appena licenziato il direttore, Antonio Delitala, e non sapevano come muoversi. Avevano necessità di individuare un giornalista che fosse in grado di gestire una radio e soprattutto la televisione. Era una bella realtà nata in un territorio in cui ancora il segnale delle Tv cagliaritane, come Videolina e la Voce Sarda, non arrivava. Bisognava lavorare bene e in fretta per radicarsi nel territorio, conquistando importanti quote di mercato. L’ingegner Fefe Bozzo ne aveva affidato la gestione al figlio Luisito sulle cui capacità imprenditoriali credeva molto, purtroppo per lui.
Olandi mi chiese la disponibilità ad incontrare i Bozzo. “Gibi parlaci, è gente seria”. Così feci. Ci incontrammo al 52 di viale Umberto, il palazzo che era stato la residenza della famiglia Segni. Lasciai che prendessero la parola e mi indicassero quali fossero le loro attese. Capii che erano nella merda. Così – dissero – li aveva lasciati Delitala e loro temevano di non riuscire a raddrizzare la barca. “Amici ci hanno fatto il suo nome. Abbiamo avuto ottime referenze. Sarebbe disponibile ad assumere la direzione della Tv?” mi chiese Bozzo senior.
Risposi subito: “Parliamo innanzitutto dei vostri interessi personali per evitare spiacevoli incomprensioni. So che l’edilizia è il settore che più vi sta a cuore e conosco alcuni dei vostri amici cui siete vicini politicamente, come Mario Segni. Posso dirvi da subito che su questi due punti sarete consultati prima che venga realizzato qualsiasi servizio. Su tutto il resto no. Non voglio nessuno di voi in redazione a interferire sul mio lavoro. Il contenuto del TG, per intenderci, lo apprenderete come tutti gli altri telespettatori: seguendo la Tv. Per il mio impegno fate voi una proposta”. Furono onesti, io altrettanto. Forse non s’aspettavano un discorso così franco, non ne furono entusiasti ma devo dire che con me furono sempre molto rispettosi.
Il giorno dopo venni presentato alla redazione. Conoscevo Gianni Olandi e un vecchio toscanaccio, Roberto Galletti, che collaborava anche con Sassari Sera. Tra i giovani, vado a memoria, c’erano Rita Fiori, Vannalisa Manca e Francesco Pinna. Tutti e tre, finita l’esperienza alla Rtf, sono stati assunti dalla Nuova Sardegna: Pinna ha concluso la sua carriera quest’anno con la qualifica di capo redattore centrale, Rita Fiori è stata vice redattore capo, Vanna Lisa Manca, moglie di Gianni Garrucciu (Rai), ha ricoperto l’incarico di capo servizio. Anche loro oggi sono in pensione.
Credo di avergli insegnato qualcosa (Francesco, gentilissimo, non ha mai smesso di chiamarmi maestro), almeno le basi da cui muovere per crescere professionalmente. Quella della Rtf è stata un’esperienza gratificante. Avevo studiato un Tg con due contenitori: nella prima parte notizie e servizi filmati, nella seconda uno spazio d’approfondimento con un ospite in studio: politici, uomini di sport, medici, protagonisti della cronaca, giornalisti.
Fu proprio un giornalista la causa del primo e unico scontro tra me e la proprietà. Nel 1981 Luigi Bianchi, responsabile della redazione romana del Corriere della Sera, aveva assunto l’incarico di direttore della Nuova Sardegna. Una nomina importante che, secondo il mio punto di vista professionale, non poteva essere ignorata da un mezzo d’informazione sassarese. Dopo tredici anni La Nuova Sardegna si era disfatta del bavaglio che gli aveva imposto la Sir di Rovelli. Bianchi era il segnale di un nuovo corso. Lo invitai come ospite del Tg. Accettò di buon grado.
Era un grande giornalista e un uomo di profonda cultura. Direi l’uomo giusto per guidare un giornale come La Nuova che doveva recuperare autorevolezza e credibilità. Non sarebbe stato facile riprendere quota. Bianchi era consapevole di questo. Gli era stata affidata una missione complessa. Il corpo redazionale si era impoverito, il calo delle copie vendute era stato sensibile. Bisognava dimostrare ai lettori che la “razza padrona” cui apparteneva Nino Rovelli non poteva più fare danni. Bianchi riteneva che il giornale avesse una missione chiave: essere un punto di riferimento per i lettori, un organo d’informazione aperto al confronto e attento ai problemi della Regione e della città. La nostra fu una cordiale chiacchierata in diretta conclusa con una stretta di mano e l’augurio di buon lavoro.
Bianchi aveva appena lasciato lo studio quando comparvero l’ingegner Bozzo e il suo delfino Luisito. Non erano lì per complimentarsi con me. Anzi, mi contestarono di aver preso un’iniziativa che avrebbe potuto compromettere il futuro del giornale cui stavano lavorando, cioè L’Isola. “Lei non gode più della nostra fiducia” mi disse l’ingegnere con una durezza che non gli conoscevo. “Se ne vada in ferie, avrà nostre notizie”.
Qualche giorno dopo un emissario della proprietà sondò la mia disponibilità a togliere il disturbo: “Se è questo che mi doveva dire – replicai – riferisca ai signori Bozzo che non ho alcuna intenzione di dimettermi mentre lo faranno i miei collaboratori se l’editore deciderà di cacciarmi”. L’emissario trovò conferma delle intenzioni dei miei ragazzi parlando con ciascuno di loro. Così i Bozzo dovettero ingoiare il rospo e confermarmi alla guida del Tg. Ancora per poco. Tutte le iniziative della famiglia Bozzo erano prossime al crac. Di lì a poco fallirono l’impresa edile, il giornale e poi radio e Tv. Per me, devo dire, fu una liberazione. Ero amareggiato per i ragazzi, temevo non trovassero un’alternativa in tempi brevi. Ma La Nuova fortunatamente gli aprì le porte. Io invece chiusi la porta della direzione, lasciai le chiavi in portineria e cominciai a guardarmi intorno.