La morte di
Graziano Mesina si è rivelata, come era prevedibile, un evento mediatico che ha evidenziato e messo a nudo i molteplici risvolti delle tante vite dell’ex latitante di
Orgosolo, il più famoso esponente del banditismo sardo del dopoguerra; i social per loro natura non sono ‘rimasti a guardare’ e hanno immediatamente ‘celebrato’ la sua morte avvenuta ieri a
Milano dopo la sua scarcerazione conseguente alle gravi condizioni di salute in cui riversava da tempo. Neppure a dirlo si sono scatenate subito le due fazioni tra chi lo santifica, alimentando il mito del bandito gentiluomo, e chi invece lo ritiene solo un criminale che doveva pagare il conto con la
Giustizia.
Tra le tante dichiarazioni hanno spiccato quella di Gavino Ledda l’autore del celebre libro Padre e Padrone («Era un uomo meschino» – ha sentenziato senza mezzi termini lo studioso) e di Leonardo Marras, presidente della Fondazione Maria Carta al quotidiano La Nuova Sardegna dove Marras definiva Mesina e Maria Carta «due guerrieri», innescando decine di commenti polemici. Immediata la reazione del manager in un commento su facebook: «Leggo con dispiacere e amarezza le mie dichiarazioni su Maria Carta e Mesina. Alla telefonata della giornalista che mi chiedeva un confronto storico tra Maria Carta e Mesina ho risposto che Maria Carta è stata una grande guerriera… Mesina un bandito che ha fatto parlare della Sardegna in maniera molto negativa. Per informazione di chi mi ha dato del meschino chiedendo chi fossi – ha chiosato Marras – sono da 20 anni presidente della Fondazione Maria Carta. Mi spiace che le mie parole siano state travisate…»