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Francesco Piu, lunga vita al Blues
Il cantante e chitarrista sardo, fresco dell’uscita dell’album Crossing, ci racconta il suo ultimo anno in musica
Ciao Francesco, ci si rivede… sulle pagine di City&City.
Raccontaci un po’ cosa è successo nell’ultimo anno.
Ciao! Nell’ultimo anno mi sono immerso nella produzione del mio ultimo disco “Crossing“, una rivisitazione di alcuni brani di Robert Johnson con contaminazioni mediterranee, africane e, naturalmente, sarde. Per quanto riguarda i concerti invece ho suonato tra Italia, Francia, Svizzera e Repubblica Ceca.
In questi giorni sta circolando il tuo nuovo video “Me and the Devil”.
Sì, appunto il singolo di “Crossing”, in cui ho voluto miscelare il Blues coi suoni mediorientali, i campanacci dei Mamuthones e l’elettronica, un po’ il sunto del percorso fatto in questo lavoro discografico. Il video è stato realizzato da Bruno D’Elia alias “Mezzacapa” e devo dire che ha fatto un lavoro stupendo.
È in rampa di lancio anche CROSSING il tuo nuovo album con tanti ospiti.
Sì, “Crossing”, un viaggio musicale in cui ho voluto idealmente portare Robert Johnson dall’altra parte dell’ oceano. Due anni fa gli amici milanesi di “The Blues Place” mi proposero di produrre un disco tributo a Robert Johnson, io ci pensai un attimo e accettai la proposta, ma a patto che si andasse verso la contaminazione. Un anno di ascolti tra musica africana, sarda e mediorientale e poi giusto un anno fa iniziai le pre-produzioni, poi registrate definitivamente al Geppo Studio di Giuseppe Loriga.
Immagino che per te Robert Johnson sia una divinità.
Beh, diciamo che è un punto di riferimento enorme, lo è per tutta la musica moderna, senza di lui forse non avremmo avuto gli Stones e i Led Zeppelin. Sicuramente lavorare sui suoi brani non è stato una passeggiata. Io li ho resi personali, poi, come tutte le cose, questo può piacere o non piacere, fa parte del gioco.
Nel marzo 2019 hai aperto tutti i concerti italiani del’85th Anniversary Tour di un mito come John Mayall.
Vuoi raccontarci questa esperienza?
John Mayall è una figura ricorrente nel mio percorso. Avevo 8 o 9 anni quando mio padre mise sul vinile “Jazz & Blues Fusion” , da là iniziai i primi passi sulla chitarra e sull’armonica blues.
Poi nel 2004 incontrai John per la prima volta, suonai prima di lui al Narcao Blues Festival.
Ed infine in tour con lui come opener delle otto tappe italiane: un’esperienza umana e musicale particolarmente ricca, circondato da staff e musicisti navigati e gentili, sui palchi dei migliori teatri italiani, cosa chiedere di meglio?
Nell’ultimo anno hai suonato davvero ovunque. Come è andata?
Grazie a Dio è andata e sta andando bene, sono un uomo molto fortunato a poter fare il lavoro che amo. Ho lavorato bene, in giro per lo stivale ed anche all’estero, poi i miei musicisti oltre che ottimi sul palco sono belle persone perciò quando si va in giro con la gente giusta si gode appieno di tutto ciò che riesce a regalarci questo fantastico mestiere.
E ti sei tolto la soddisfazione di aprire a Sassari per Robben Ford l’anno scorso.
Sì, a novembre dell’anno scorso col mio batterista Paolo Succu. È stata la terza volta che aprivo per Ford, sicuramente un onore per me.
Vuoi raccontarci qualche aneddoto curioso che ti è capitato durante il tuo tour?
Questa è una domanda difficile perché di aneddoti ce ne sarebbero a centinaia…
Si dice sempre “Il Rock è morto”. Il Blues invece come sta?
Il Blues gode di ottima salute, è una musica che non ha età, sopravvive alle mode perché ha in sé la forza della semplicità e della sincerità.
Domanda scontata ma dovuta: i tuoi progetti per quest’ultimo scorcio del 2019 e per il prossimo anno?
Sicuramente andrò in giro col mio nuovo progetto e con la nuova band che è come una famiglia, poi vediamo dove ci porterà Crossing, noi siamo partiti!