Capodanno, Di Nolfo: “Alghero al Centro della pianificazione regionale”
Elio Pulli, il creativo disordine di Tramariglio
In punta di piedi dentro l’atelier d’arte di Elio Pulli, il luogo dove la bellezza si concretizza con forme e colori
Colpisce e cattura con quella figura dinoccolata e massiccia. Trasuda forza e dinamismo con quel corpo intriso di vita. Ma è lo sguardo che più di tutto affascina. Uno sguardo quieto e fiero che indaga benevolo chi gli sta di fronte e che, acutamente, immagazzina e memorizza le forme, i colori che poi trasferisce nei suoi lavori. Entrare nel mondo di Elio Pulli, significa scalfire quella patina mitica di eterno Ulisse che si è ritagliato, abitando in quel lembo di terra sospeso tra cielo e mare che è Tramariglio.
“A Tramariglio mi sono trasferito nel 1969. Complice e galeotta fu una svagante passeggiata che feci con l’amico di una vita: Francesco Cossiga. Correva l’anno 1968, decidemmo di fare un giro ed arrivammo dove la terra si riduce ad un imponente promontorio con davanti il mare. Tutto attorno il nulla, solo natura; ricordo ancora sterminati campi di cardo sfiorito, la luce rarefatta tra cielo e mare ed una pace insaziabile. I miei occhi correvano scrutando l’infinito. Quanto mi sarebbe piaciuto abitare quegli spazi… Inaspettata arrivò una convocazione: mi si chiedeva di indicare quali fossero le porzioni di terreno che mi potevano interessare. Definii e delimitai ciò che divenne poi il mio studio e la mia abitazione. Per molti anni, questo luogo fu abitato da me, dal mare e dall’imponente ed abbagliante faro. Ci portai anche la mia giovane e bella moglie, e ricordo che spesso ci riparava dalla pioggia un provvidenziale telone.”
Col tempo poi, arrivarono le costruzioni che ancora oggi sono il laboratorio e l’atelier dell’artista Pulli. Già dalla soglia si intuisce il variegato e multiforme mondo che popola la prolifica mente dell’artista. È l’insinuante profumo del ferro che cattura le narici: telai, inferriate, cancelli, scalpelli, sgorbietti, tenaglie e compassi per intagliare e levigare, riparare, restaurare o modellare statue di legno. Rapiti da un ordine, che è un creativo disordine, si entra nei meandri più intimi, dove oggetti accatastati o abbandonati costruiscono nature mature impensabili. Frutta che si macera e diventa organico colore che riempie tele tese, pronte ad animarsi. Sono antri che ribollono e innescano disagio. Un disagio che somiglia all’incapacità di gestire lo stupore. Stupore che si prova dinnanzi alla concreta materializzazione del caos, di un’intima ebbrezza che precede il concretizzarsi della forma e della bellezza.
“Sono nato a Sassari, nel 1934 in pieno centro storico. In corso Vittorio Emanuele, dove nel 1929, mio padre Giovanni, proveniente da Lecce, si stabilì. Diede vita ad un laboratorio dove artisti quali Filippo Figari, Eugenio Tavolara, Stanis Dessy, Costantino Spada, Libero Meledina, erano di casa. Crebbi in questo ambiente, dove la bottega di un provetto e sapiente scultore di statue sacre di cartapesta si trasformò in un cenacolo d’arte vero e proprio. C’eravamo: io, mio padre e mio fratello Claudio, più grande di me, e un viavai di artigiani, pittori, musicisti, scultori, ceramisti che guardavo con ammirazione e sfida.”
Nel 1952, a soli diciotto anni, vinse il Premio Michetti a Francavilla a Mare, un ambito premio di pittura.
In bottega dipingevo le statue. Quello era il mio compito, ma di nascosto facevo i miei primi quadri, soggiogato dalla forma e dalla bellezza dei colori che mi circondavano. Mi ricordo benissimo quando babbo dette il compito di confezionare la cassa per spedire i quadri al concorso Michetti. Intervenni con piglio deciso dicendo di farla più grande perché anch’io volevo inviare un mio lavoro. Mio padre, stupito, abbozzò. Si accertò che avessi adempiuto a tutte le formalità del caso e con malcelato orgoglio mi accontentò. Insieme al quadro di mio fratello, a quello di Spada e Meledina, partì anche il mio Gli orti di Sassari.E fu così che vinsi il Premio Michetti. Era un paesaggio degli orti di Sassari all’alba, con una vividissima rugiada che mi fruttò conoscenza e fama. Grazie a questo quadro fui contattato dalla Galleria Romana Il Vantaggio. Andai a Roma, stupì la mia giovane età, conobbi e convissi con i grandi nomi dell’arte Romana, Giorgio De Chirico, Renato Guttuso, Fausto Pirandello e Mario Mafai. Dopo un anno e mezzo il mal d’isola si fece sentire e rientrai nella luce e nell’aria della mia Sardegna.
Un autodidatta, formato e forgiato dalla bottega paterna, mi sembra di capire…
Feci la scuola d’arte, ma non la finii. Farsi imbrigliare dalla tecnica e dall’Accademia, non è arte. Mi ricordo quando giovincello vagavo al mattino presto, all’indomani delle festività natalizie per le vie della Sassari bene. Cercavo le scatole dei cioccolatini dove c’erano le riproduzioni a colori dei grandi dipinti e spiavo e copiavo come stendere il colore e i giochi prospettici. La mia caparbietà e la mia testardaggine, coniugata alla capacità d’individuare ed apprendere il fermento che mi sta attorno, mi hanno portato ad essere quello che sono. Ho sperimentato con entusiasmo tante forme d’arte: dalla pittura figurativa, ai ritratti, all’astratto, all’informale. Mi piace mettere le mani in pasta e forgiare la terracotta, patinarla con lo spregiudicato uso di vernici e colori. Fare statue, ceramiche, lavorare il ferro ed il legno, un gioco che mi affascina e mi stupisce.
Tanti sono i premi che arrivarono, come molteplici sono i lavori di Elio Pulli disseminati tra collezioni private e pubbliche, come innumerevoli sono state le mostre in ogni parte di Sardegna e del continente che hanno celebrato l’arte inconfondibile del Maestro. Ma lo sguardo è sempre sornione e malandrino di un ragazzo di bottega del centro storico sassarese.