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Ai microfoni di City&City Magazine il campione sassarese, in passato cestista della Dinamo Lab e fresco campione della Coppa Italia di basket in carrozzina con l’Asinara Waves
Eccezionalmente questa settimana la rubrica viene pubblicata di venerdì. Dalla prossima puntata andrà regolarmente al giovedì
Prima puntata della nostra nuova rubrica dedicata alla disabilità nello sport, intitolata Diversi ma (ugualmente) campioni, in cui è intervenuto ai nostri microfoni Gian Pietro Simula, storico cestista in carrozzina attualmente in forza all’Asinara Waves Porto Torres, e che in passato vestì la maglia della Dinamo Lab.
Gianpietro, che cosa ti ha spinto a scegliere proprio il basket come sport, e se puoi raccontarci un po’ come hai iniziato, considerando anche la tua esperienza personale?
È cominciato tutto per caso: mi trovavo ad Alghero, e nella via in cui giravo trovai un cartello dove era inscritto che si cercavano persone con disabilità per un progetto di basket in carrozzina. Sono entrato a chiedere informazioni, all’epoca camminavo con una protesi, non mi serviva la carrozzina. Dopo essere andato a vedere un torneo internazionale di basket in carrozzina, conobbi il presidente del Sassari e iniziai la mia avventura, accompagnato da un amico anch’esso nella mia stessa situazione.
Cosa ti ha portato a indossare la maglia della Dinamo Lab e, soprattutto, qual’è stata l’annata migliore, qual’è stato il tuo più grande ricordo di quegli anni e l’allenatore a cui sei più affezionato?
Premetto che in maglia Dinamo Lab siamo partiti da zero, ovvero dal campionato di Serie B, quindi nell’arco degli anni siamo progrediti in meglio, con la promozione in Serie A in annate gloriose della squadra, condite anche da soddisfazioni trionfali. Il mio più grande ricordo resta quello dei miei compagni di squadra, venuti anche da altri paesi, come Spagna e Francia, senza dubbio invece il miglior ct che abbia mai avuto è lo storico Marco Bernia, che ci ha portato a vivere annate storiche in maglia biancoblù.
Oltre a questo, cos’altro porti dell’esperienza alla Dinamo Lab?
Mi porto appresso gli ingredienti chiave della società, ovvero l’ottimismo e la stessa professionalità che regna nel basket normo. Io, pur essendo un atleta con la carrozzina, ho sempre dimostrato la mia passione, sia agli allenamenti che alle partite: ecco, è questo che porto con me di questi anni.
Una domanda un po’ scottante: cosa ti ha spinto a lasciare la Dinamo Lab per passare all’attuale Asinara Waves di Porto Torres?
Diciamo che con l’Asinara Waves ho sempre avuto un rapporto di amicizia, dato che ricordo che con loro ho iniziato (quando si chiamava G.S.D. Porto Torres, ndr), in cui il presidente è stato anche mio compagno di squadra. Dato che lì ho iniziato, non abbiamo mai interrotto il rapporto, siamo sempre stati una famiglia, quindi le porte lì erano sempre aperte. Sono tornato in quella che ho sempre considerato la mia casa, lasciandola soltanto per l’esperienza sintetica che ho avuto all’estero e coi biancoblù.
Quest’anno avete vinto la Coppa Italia del basket di carrozzina: qual’è stato il vostro segreto? L’avete sognata, e soprattutto come l’avete preparata?
La Coppa Italia è giunta dopo 3 anni che l’Asinara Waves organizzava le final four a Porto Torres. Dopo due edizioni in cui non ci siamo qualificati in finale, per noi organizzatori uscirne vincitori è stato emozionante. Il segreto sta tutto nel retroscena, ovvero nello studio effettuato tramite gli allenamenti e nelle video-analisi, in quanto non siamo mai stati fermi, anche perché Santo Stefano e Cantù le conoscevamo, dato che le abbiamo battute anche in campionato. Ciò rispettando anche i regolamenti vari, come quello di schierare almeno un giocatore italiano (cosa in cui Santo Stefano è inciampata). E’ stato tutto combattuto: con Santo Stefano abbiamo vinto di 3 punti e con Cantù di 6.
Vinta la Coppa Italia, che cosa bolle in pentola nell’imminente futuro della vostra squadra
Come dice il nostro presidente, dobbiamo vedere e programmare in base a cosa viene giorno per giorno. Chiaro che abbiamo in agenda di allenarci e concludere al meglio il campionato, poi avremo da disputare i playoff e la finale di Eurocup 2, a fine aprile in casa del Murçia. Abbiamo un sacco di missioni da compiere, speriamo di portare il successo sia in campionato che in Europa.
E’ arrivato il momento della domanda più importante di quest’intervista: data la tua esperienza a livello personale e sportivo, vorresti lanciare un messaggio alle persone che vivono la tua stessa esperienza, ma anche al mondo della disabilità in generale e alle società sportive nell’inclusione della disabilità nello sport?
Il messaggio che io posso dare, per quanto riguarda la mia esperienza personale (avevo 16 anni quanto mi è stata diagnosticata la mia disabilità), è simile a quello di Alex Zanardi: non guardare quel che mi manca, ma quel che mi resta. La mia disabilità, nata dall’amputazione di un arto, non l’ho mai vista come un problema, tuttavia la società all’inizio mi ha guardato in un certo modo proprio per questo. Chiedo alle società sportive, dal punto di vista dell’inclusione, di non vedere una persona con disabilità come una persona diversa, ma contribuire a far sì che essa stessa faccia le stesse cose di un normodotato come fosse esso stesso.