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“Di che colore era il cielo oggi?”, Roberto Orlandini racconta l’epopea dei minatori di Monteponi
Il medico-scrittore di Portoscuso nel suo ultimo libro, “Un mondo di ricordi”, descrive la fatica di essere uomini e donne di miniera negli anni del boom economico
di Paolo Salvatore Orrù
(Roberto Orlandini stringe la mano a Carla Argiolas, foto di Pino Angelucci)
Se vi capiterà di percorrere – magari da turisti – la curva che da Iglesias conduce alla frazione di Bindua, cogliete l’attimo e osservate con il cuore in mano quel che resta della miniera di Monteponi. Fra quelle rovine, soprattutto in primavera, quando qualche fiore spunta qua e là fra le terre acide mai bonificate dalla Regione Sardegna, potreste imbattervi nell’albero delle memorie. Fra i suoi frutti potrebbero esserci i personaggi citati da Orlandini in “un Mondo di ricordi”, la sua ultima fatica letteraria.
Una storia materiale e spirituale costruita mattone su mattone, picconata dopo picconata, dai minatori e dalle famiglie che hanno amato, gioito e sofferto in quel labirinto di paure, passioni ed emozioni suscitate dal duro lavoro minerario. Queste storie il medico-scrittore le ha volute raccontare senza nostalgie, anzi, con la stessa innocenza del bambino che sa cosa vuol dire vivere in una famiglia di minatori. “Questo libro è nato in un momento di sofferenza, quando mi sono reso conto che sono passati tanti anni da quando calcavo, un po’ ribelle, le strade di Monteponi, una realtà irripetibile”.
(Foto Pino Angelucci)
Per lo scrittore quegli anni sono stati un po’ particolari, perché la miniera era anche il posto di lavoro di suo padre (un dirigente), perché l’entrata della miniera era a poco più di 300 metri da casa. Così capì con quanta attenzione e apprensione il suo genitore viveva quel lavoro: “Vicino agli operai e in un rapporto di reciproca stima”. In particolare, nei suoi “ricordi” riflette su quella che è stata la vita sociale di quei luoghi. Dove la vita era scandita dall’impegno quotidiano, ma anche da una certa agiatezza, “perché lì c’erano un emporio, la scuola, la chiesa, l’ospedale e persino una sala cinematografica”.
Tutti a Monteponi avevano un ruolo e la vita sociale era condivisa da ognuno, indipendentemente dal ruolo che ciascuno occupava nei cunicoli, negli uffici o nelle officine della miniera. Una cosa era la vita nei pozzi, con i suoi operai, con i suoi tecnici e i suoi dirigenti, un’altra era la vita di tutti i giorni. “Non sono stato un minatore, ero solo un bambino, un adolescente e, infine, un adulto che ha vissuto Monteponi, una realtà unica”, sostiene adesso il medico. Qualche anno prima dell’avvento del fascismo, il 20 febbraio 1919, la Fiom aveva firmato con la Confederazione degli industriali un accordo per la riduzione di orario a 8 ore giornaliere e 48 settimanali. Successivamente, con un Regio Decreto del 1923, convertito nella legge 473 del 17 aprile 1925 dal primo governo Mussolini (quando ancora il Duce chiedeva di rientrare nel PSI), quell’orario di lavoro fu esteso a tutte le categorie lasciando, così, più di tempo libero ai lavoratori.
(Orlandini con il geologo Lorenzo Ottelli, foto Pino Angelucci)
“Tutto questo tempo libero che si era aggiunto alla vita di queste persone aveva suggerito al fascismo di creare i Dopolavoro, prima di tutto nacquero quelli di Marzotto, Pirelli, Ferrovie, poi anche la società di Iglesias fu chiamata a creare una realtà simile”. Caso unico, la Monteponi non si limitò semplicemente a copiare ma: “Costituì una organizzazione formata in maggioranza da operai, un certo numero di impiegati e da un amministratore delegato della società, che gestiva la cassa”. In sostanza, ci ha spiegato ancora Orlandini, “questo istituto aveva la caratteristica di essere gestito da operai per gli operai. E non esisteva, come per esempio a Montevecchio (frazione di Guspini)j o a Buggerru, un sistema che si riappropriava degli stipendi dei minatori”.
Altri ricordi affollano la mente. “Mi rammento anche dei famosi libretti neri con cui lo spaccio aziendale vendeva a credito, e senza interessi, le derrate alimentari. Si poteva pagare il saldo una volta al mese. Gli abiti potevano essere acquistati con 10 mesi di dilazione. C’è una tabella che ho pubblicato nel libro – l’ho fotografata nell’archivio storico di Iglesias – dove si nota la differenza dei costi tra le derrate alimentari vendute nel mercato di Cagliari e quelle cedute a Monteponi. In alcuni casi ci sono abbattimenti di prezzo che vanno dal 35 al 45%”. Quando Orlandini si è ricordato di queste cose ha pensato che fosse arrivato il momento di tramandarle. “Non nego che durante la scrittura sono stato assillato dai dubbi: sono io che vedo il passato in questo modo o le cose sono andate come le ricordo oggi a distanza di più di 60 anni? Per questo, nella seconda parte del libro ho voluto sentire la versione dei ceti più bassi”.
La verità, si sa, come diceva Pirandello, è “una, nessuna, centomila”. I ricordi nascono dai punti vista, Orlandini ne è cosciente. “Sono due le persone che ricordo con affetto, uno era mio padre – mi ebbe quando aveva 23 anni – fra me e lui c’era una differenza minima di età. L’altra è una ragazza di 14 anni, la quarta o la quinta figlia di una vedova che a quell’età veniva a fare i lavori in casa. Era una bambina come me, con lei abbiamo giocato, ci siamo divertiti, e a distanza di tanti anni mi è capitato di rincontrarla e di scambiare con lei quei sentimenti di affettività e di stima che sono durati nel tempo”. ‘Robertino’ non ha ricordi negativi, anche perché “tutti rispettavano babbo: da bambino frequentavo l’officina ed ero figlio di 280 operai”.
Tutto andava bene? Certo che no: durante la presentazione del libro avvenuta nelle pertinenze di San Reale, nell’ingresso della miniera di Monteponi, ci sono stati anche racconti dolorosi. Racconti di miniera e di vite infrante: “…Mio padre morì. Morì in galleria, aveva solo 36 anni ed era il gennaio del 1960. I colleghi lo riportarono che era già morto. Lo aveva tradito il cuore, quel cuore generoso che aveva battuto ogni giorno per la sua famiglia. Aveva cominciato a lavorare a 12 anni”, ha raccontato tra le lacrime e la commozione di tutti i presenti Carla Argiolas, “papà mi chiedeva alla fine di ogni turno di lavoro: di che colore è oggi il cielo? Lui non riusciva mai a vederlo”. Leggiamo il libro di Orlandini e meditiamo, perché nel mondo della sicurezza dei lavoratatori poco sembra essere cambiato.
Per la presentazione del libro, il medico si è avvalso della collaborazione di Luigi Biggio, consigliere comunale di Iglesias. Nel corso dell’evento, al quale hanno partecipato non meno di 130 persone, sono intervenuti anche Giovanni Cosseddu, Grazia Cocco, l’esperto di storia mineraria Renato Tocco e il geologo Lorenzo Ottelli. Presente alla manifestazione anche il fotografo Pino Angelucci. Oltre a “Un mondo di ricordi”, Orlandini ha pubblicato “Ricordate chi eravate”, “Un giorno con Guido” e il giallo “Due fogli di giornale”.