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Dante Alighieri è mai stato in Sardegna?
Il 2021 è il 700esimo anniversario della morte del Sommo Poeta.
Che attinenza ha con la Sardegna? I legami tra Dante e l’isola esistono e sono ben conosciuti, studiati e documentati nelle sue stesse opere
di Giada Carta
Pur non essendoci prove storiche di un suo soggiorno in Sardegna, sembrerebbe che il sommo poeta fiorentino conoscesse pregi e difetti dei sardi.
Nel canto XXVI dell’Inferno, il poeta fa parlare Ulisse: “L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, fin nel Morrocco e l’isola de’ sardi e l’altre che quel mare intorno bagna”.
Riferimenti della Sardegna nelle opere di Dante
Secondo alcuni studiosi, nella descrizione della montagna del Purgatorio, Dante si sarebbe ispirato all’isola di Tavolara. Com’è noto situata appena fuori dalla rada di Olbia, allora chiamata Civita.
L’Isoletta di Tavolara, con la sua struttura conica dalle bianche falde calcaree emergenti dal mare pare abbia dato, così lo spunto alla forma del Purgatorio.
La rappresentazione della Sardegna nelle opere di Dante
Che il sommo poeta abbia attinto direttamente dalle sue esperienze, o dai racconti di amici, o altri frequentatori della Sardegna, si rileva dal fatto che l’isola è ben rappresentata nelle sue opere.
Sia ai riferimenti delle usanze dei sardi, probabilmente, apprese da viaggiatori e mercanti che si recavano sull’isola, sia con precise notizie su eventi di cronaca del tempo, che caratterizzarono le torbide fasi finali dei Giudicati di Gallura e Logudoro.
Le ipotesi
Purtroppo in mancanza di fonti documentarie si possono soltanto formulare delle ipotesi che scaturiscono da una serie di fattori e considerazioni:
Chi ritiene del tutto plausibile la presenza di Dante in Sardegna, sostiene che il Poeta potesse essere stato ospite nei castelli di Bosa e Osilo dei Malaspina, che vantavano possedimenti e cariche nei Giudicati di Torres e Gallura.
O dei Visconti, vista la sua amicizia in giovane età con Ugolino Visconti (detto Nino), ultimo giudice di Gallura nipote di Ugolino della Gherardesca, conte dei Donoratico, che menziona nell’VIII canto del Purgatorio.
I sardi citati nella Divina Commedia
Sono soltanto due i sardi citati nella divina opera dantesca. Si tratta di Michele Zanche e Frate Gomita che governò il Giudicato di Gallura, ma fu impiccato per ordine del Nino Visconti per aver liberato alcuni nemici del Giudicato.
Il poeta li colloca nel XXII canto dell’Inferno, tra i cosiddetti “barattieri”, colpevoli di aver usato le loro cariche pubbliche per arricchirsi attraverso la compravendita di provvedimenti, permessi e privilegi.
Si tratta, in pratica, del moderno reato di concussione, la stessa accusa, falsa, rivolta a Dante dai Guelfi Neri di Firenze al momento dell’esilio.
I “barattieri” giacciono immersi nella pece bollente che li ricopre totalmente, sorvegliati dai Malebranche. Essi sono demoni alati, armati di bastoni uncinati coi quali afferrano e straziano ogni dannato che tenti di emergere in superficie.
Fonti d’ispirazione
Pare che il Vate si sia ispirato all’architettura difensiva pisana presente nel quartiere Castello a Cagliari quando, nell’Inferno, parla di un luogo chiamato Malebolge. Si tratta dell’VIII cerchio, i cui dieci fossati sono cerchiati da mura simili a fortificazioni di un castello.
Come vede Dante i Sardi
Di estremo interesse, la visione che Dante dà della Sardegna e della sua popolazione, quando di essa ne coglie i particolari che in qualche modo la unisce.
Dante colse e mise in evidenza una caratteristica dei Sardi, certamente rilevata fra i familiari isolani delle famiglie Visconti e Malaspina, e viva anche ai giorni nostri: quella che i Sardi per loro natura sono poco loquaci, ma, quando alcuni di essi si incontrano fuori dell’Isola, la loro nostalgia è tale che s’intrattengono, anche senza conoscersi, sulle cose della loro terra.
Argomento inesauribile, per il quale il loro parlare diventa sciolto e le lingue lor non si sentono stanche.
Dante non considera i Sardi propriamente italiani
Parrebbe che il vecchio Dante non fosse proprio convinto sul fatto che la Sardegna fosse una terra propriamente italiana.
Non lo era geograficamente, di sicuro, e non lo era linguisticamente (nonostante i legami con Pisa di quel periodo storico).
Famoso il passo del De vulgari eloquentia il trattato in latino con cui Dante voleva dimostrare la dignità della lingua volgare.
In questo caso, il poeta fiorentino prese un abbaglio: scambiò la tradizionale lingua sarda per una greve imitazione della nobile lingua latina.
Una considerazione abbondantemente sconfessata da generazioni di linguisti. In quanto il sardo, nelle varianti barbaricina e logudorese, è considerato a pieno titolo una lingua romanza, per giunta quella con il minor grado di evoluzione dal latino.
Certo, da quanto emerge dai molteplici riferimenti, Dante non ha avuto gentili parole nei confronti della Sardegna. Come quando afferma che i Sardi appaiono gli unici a non disporre di un proprio volgare, limitandosi ad imitare la grammatica italiana (allora in latino) come le scimmie imitano gli umani.
Ma da uno che inveiva persino contro la sua Firenze, o contro Pisa augurandosi che venisse inondata, o contro i genovesi, che venissero cancellati dalla faccia della terra, e così via, non ci si sarebbe potuto aspettare la benevolenza.
In ogni caso, le considerazioni dantesche rappresentano un’ulteriore testimonianza di come le vicende della Sardegna tardomedievale non fossero per nulla scollegate dal contemporaneo contesto italiano. E l’interesse per l’isola fosse, forse, motivo di una sua conoscenza diretta per averla vissuta in prima persona.
Non ci resta pertanto d’immaginarlo allora ad osservare il mare dalle nostre coste, respirare il nostro maestrale assaporare la nostra cucina, sperando che questo sia stato fonte d’ispirazione per le sue opere.