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Creare video fake news sul Covid-19? Può costarvi caro: 5mila euro di multa per diffamazione
di Stefania De Michele
Internet è uno spazio di libertà al riparo da norme e controlli. Così deve aver pensato l’autore del video-bufala sul Covid-19, divenuto virale come l’argomento di cui trattava la clip
Ma anche nel mare libero della rete la diffamazione resta un reato: l’utente è stato stato condannato dal tribunale penale di Senlis a una multa di 5.000 euro con la condizionale per aver affermato che all’origine dell’attuale pandemia c’è l’Istituto Pasteur, fondazione francese non profit dedicata allo studio della biologia, dei microorganismi, delle malattie e dei vaccini.
Il video diventato virale
In questo video, lungo più di 20 minuti, postato su Facebook il 17 marzo, l’uomo sostiene che il Covid-19 è un attacco biochimico, un virus “inventato e brevettato dall’Istituto Pasteur” nel 2004.
Il video-tarocco cita anche ricercatori del CNRS e dell’Inserm.
In meno di 24 ore, la clip è stata condivisa almeno 96.000 volte e ha contato più di 15.000 like. È stato scambiato tramite Messenger e WhatsApp, visualizzato almeno 100.000 volte su YouTube e ripubblivato decine di volte su Twitter.
Durante tutta la sequenza, il video maker si rivolge agli utenti di Internet, promettendo loro nuove rivelazioni e giurando che il suo video non è “una str…”.
“I commenti al video hanno suscitato reazioni massicce e l’Istituto Pasteur, il suo staff e, in alcuni casi, le famiglie dei ricercatori hanno ricevuto messaggi odiosi, telefonate e/o e-mail, insulti e minacce”, si legge in una dichiarazione dell’Istituto Pasteur, che si è detto “costretto, per la prima volta dalla sua creazione nel 1887, a presentare una denuncia per diffamazione”.
I brevetti sui virus
Il brevetto, invocato dall’utente di Internet, è autentico ma riguarda un virus diverso rispetto al ceppo che sta all’origine dell’attuale pandemia – ha spiegato Olivier Schwartz, direttore scientifico dell’Istituto all’epoca della pubblicazione del video – il codice genetico, oggetto del brevetto del 2004, riguarda un ceppo di SARS, un altro coronavirus che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ha colpito 8.000 persone in 30 paesi nel 2002-2003 e ha causato più di 700 morti”.
Nel comunicato dell’Istituto di ricerca si legge: “L’Istituto Pasteur non ha inventato il Covid-19 o il virus che lo ha causato, la SARS-CoV-2. L’Institut Pasteur ha inventato un candidato vaccino nel 2004 contro un precedente coronavirus, chiamato SARS-CoV- 1”.
“Inoltre, se esistono brevetti sui codici genetici dei virus, ciò non significa che siano stati creati. I depositi di brevetti relativi ai virus sono comuni – ha specificato Vincent Enouf, vice direttore del Centro Nazionale di Riferimento dei virus delle infezioni respiratorie dell’istituto Pasteur – ci può essere un brevetto su una tecnologia, su una diagnosi, su molte cose”, ha detto, ed è prima di tutto una questione di “protezione della sua scoperta”.
Il ruolo dell’Istituto Pasteur è proprio quello di lavorare sui virus emergenti per sviluppare trattamenti e vaccini.
La libertà di Internet
Già nel 1996 John Perry Barlow, poeta, saggista e attivista statunitense, noto per essere stato un difensore delle libertà digitali e uno dei membri fondatori della Electronic Frontier Foundation, apriva in questo modo la sua Dichiarazione d’indipendenza del Cyberspazio: “Governi del mondo industriale, stanchi giganti di carne e d’acciaio, io vengo dal Cyberspazio, la nuova dimora della mente. In nome del futuro, invito voi, che venite dal passato, a lasciarci in pace. Non siete benvenuti tra noi. Non avete sovranità sui luoghi dove ci incontriamo”.
La letteratura in materia è ampia. La via italiana è quella che si rifà al pensiero di Stefano Rodotà, giurista e politico, garante della privacy dal 1997 al 2005, scomparso nel giugno del 2017: Rodotà riconosce che l’universalità di Internet deve trovare una sua traduzione istituzionale, una sua costituzione, per una governance condivisa.
“Non è allora un caso che la grande metafora dello stare in rete sia quella del navigare – aveva dichiarato Rodotà – e che proprio al diritto del mare si siano rifatti in molti quando hanno dovuto affrontare le sfide istituzionali di Internet, per poter avere un mare libero e sicuro”.