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CON LE MANI IN PASTA
Tradizione o innovazione? Da Retrò a Sassari, la pizza oggi è anche ricerca e non passa mai di moda
L’arte dei “pizzaiuoli napoletani” è dal 2017 Patrimonio dell’Umanità, fra polemiche e certezze nell’utilizzo delle farine raffinate.
Gli chef che hanno monopolizzato l’attenzione nei programmi televisivi in questo periodo si sono dibattuti a profusione sull’argomento.
Ne abbiamo per tutti i gusti: scontrosi, robusti, irriverenti ed amichevoli. Al di là del fatto che questo interesse nei confronti dei nuovi eroi dei palinsesti sia eccessivo, sicura è l’attenzione più consapevole che i consumatori nutrono nei confronti di ciò che mangiano.
Questo interesse è stato sdoganato anche in uno dei capisaldi culinari della tradizione italiana: la pizza.
Considerata una pietanza apparentemente semplice, puoi immaginarla come più ti piace: con solo pomodoro e mozzarella, farcita, o perché no, anche con il sassaresissimo zimino.
Non si dice no neanche ai gusti più eclettici e neppure si batte ciglio di fronte all’ennesima comanda strampalata.
La cura maniacale riservata al prodotto è sempre la stessa per non svilirne la sacralità.
Ma anche i pizzaioli sono andati alla ricerca di nuove metodologie di preparazione, riscoprendo ingredienti di alta qualità, partendo ovviamente dal più importante: la farina!
Il disciplinare sulla pizza napoletana, divenuta patrimonio dell’umanità, prevede l’utilizzo esclusivo della farina 00.
Si tratta di una tipologia molto raffinata e facile da lavorare, ma allo stesso tempo priva delle più importanti componenti nutrizionali, come la crusca e il germe del grano.
Ma i pizzaioli cosa ne pensano del disciplinare e della farina 00?
Lo abbiamo chiesto a Manuel Pilo, istruttore NIP (Nazionale Italiana Pizzaioli) e titolare della pizzeria Retrò in via Canopolo, nel pieno centro di Sassari.
Manuel, Napoli e il disciplinare: per fare una pizza ad arte bisogna utilizzare solo la farina 00?
Lungi da me l’idea di mettere in discussione la pizza napoletana e la sua storia. Trovo decisamente giusta l’esistenza di un disciplinare che sancisca con forza le regole utili a preservare la tradizione.
È grazie anche a queste che si possono fare miglioramenti sul prodotto. Faccio un esempio: quando a casa mia faccio la carbonara, di solito utilizzo la pancetta perché alla mia famiglia piace così. So che non sto preparando la vera carbonara, ma una rivisitazione, forse più o meno buona, ma certamente non quella che mangerei a Trastevere da Sora Lella, col guanciale.
Per la pizza vale lo stesso metro di giudizio. La conoscenza della tradizione è fondamentale, ma senza trascurare soluzioni alternative, chiaramente portate avanti con criterio.
Personalmente utilizzo sempre più farine nobili, anche con crusca e germe di grano, a discapito delle farine raffinate come la 00, cosa che fanno anche molti dei pizzaioli napoletani più “radicali”.
Come hai iniziato?
Sfornando pizzette al taglio nella mia prima pizzeria: “Little” in via Università a Sassari. In seguito è arrivata la pizza tonda ed ho avuto subito l’esigenza di un posto dove poterla servire a tavolino, fumante, dal forno rigorosamente a legna. Così con mia moglie Rita, senza allontanarci dal centro storico, abbiamo aperto Retrò. Qui è maturata la voglia di approfondire la conoscenza sui grani antichi e i segreti della lievitazione. Grazie anche alle tante chiacchierate con clienti esigenti e curiosi, ma che principalmente lamentavano forme di intolleranza alimentare, la mia attenzione, dopo un confronto con professionisti del settore come nutrizionisti, erboristi e biologi, si è focalizzata sulla farina Senatore Cappelli. Credo di non far torto a nessuno se affermo di essere stato il primo a Sassari ad utilizzarla nella pizza. Ricordo ancora quanto fosse difficile trovarla. Tempo fa riuscivo ad averla con una certa costanza solo grazie all’intercessione del pastificio Tanda&Spada di Thiesi.
Prima di proporre il nuovo impasto ho fatto numerose prove. Oggi è il più richiesto nella mia pizzeria, e ho notato, con gran piacere, che anche molti miei colleghi si sono convertiti.
Ma perché la Senatore Cappelli? E soprattutto… c’è Cappelli e Cappelli?
Io utilizzo solo semola integrale, coltivata e lavorata in Sardegna. Ho un mulino di fiducia (la pietra e il grano di Angelo Anedda) che mi garantisce il prodotto. Una cartolina all’interno del menù informa dettagliatamente i clienti descrivendone le proprietà. Abbiamo utilizzato simpaticamente come testimonial il Discobolo di Mirone, sostituendo il disco con una pizza.
Questo per voler sottolineare l’importanza delle proprietà energetiche di questo grano. La Cappelli ha un basso contenuto di glutine e grazie alla presenza notevole di amminoacidi, proteine, vitamine e minerali, ha elevate proprietà di digeribilità. Ci tengo anche a sottolineare che utilizziamo lievito madre e non di birra.
Tu sei istruttore FIP (Federazione Italiana Pizzaioli), hai in programma dei corsi per divulgare al meglio queste informazioni?
In autunno partiranno i miei corsi divisi per gruppi che seguirò dal punto di vista teorico e pratico. Il tutto, ovviamente, ufficializzato dalla federazione.
Grazie a questa lunga chiacchierata con Manuel Pilo, si evince che, Unesco o no, la pizza viaggia a vele spiegate verso innovazioni e rivisitazioni. La necessità di migliorare le abitudini alimentari implica anche provare nuove strade e affidarsi ai professionisti del settore che portano avanti il loro lavoro con sempre più passione.