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Che cosa faranno i Piras e i Buesca? Amore e vendetta al tempo delle bardane
L’ultimo romanzo di Sergio Pibiri racconta la vita dei contadini di Villacidro vassalli nel feudo dei Castelvì del castello di Villasor, e del marchesato dei Brondo, condizionata dall’assolutismo del feudalismo e dal clero famelico
Serbidoras e meris durante il Regno di Sardegna è l’ottavo romanzo storico di Sergio Pibiri. L’ultima fatica dell’ex sindacalista è un’opera narrativa ambientata nel passato, un’accurata ricostruzione dell’epoca attraverso atmosfere, costumi, usanze, condizioni sociali e mentalità dell’epoca. “È il tipo di narrativa che più mi si addice: amo ridare vita ai personaggi nel contesto storico in cui si muovono”. Pibiri ha ambientato il romanzo a Perdalonga (Villacidro) subito dopo la fine della guerra di successione spagnola e l’ascesa al trono di Vittorio Amedeo II di Savoia al Regno di Sardegna”. Per meglio capire in che epoca è stato ambientato il romanzo abbiamo preso spunto dagli studi dello storico Francesco Casula: Sa Divina Magestad se ha dignado conceder el dominio de este Reyno de Sardena al Rey Don Victor Amedeo, così disse il viceré annunziando il regalo fatto dalla Quadruplice Alleanza ai Savoia. “In tal modo, per un baratto di guerra, la Sardegna passava dalla Spagna ai Savoia, quindi a Vittorio Amedeo II, il primo duca che divenne re, prima per pochi anni di Sicilia e poi di Sardegna, grazie al Trattato di Londra (1718) firmato nel 1720 a Londra”. Un periodo davvero opaco per la storia sarda.
Anche perché quell’Amedeo in Sardegna non ci verrà mai, vennero invece i suoi successori, ma solo nel 1799. E anche “a mala gana”, quando, ha spiegato Casula, “i Savoia sono costretti a lasciare Torino e il Piemonte e venire esuli a Cagliari, cacciati da Napoleone”. La Sardegna era stata sempre stata sino ad allora un vicereame, pure il primo Parlamento era stato convocato e presieduto da Pietro IV d’Aragona, il secondo da Alfonso il Magnanimo. Eppure per i piemontesi i sardi non meritavano neppure una visita. I Savoia dunque per gentile concessione delle potenze vincitrici nella Guerra di successione spagnola, diventavano, per la prima volta nella loro storia, re e la Sardegna entra nell’orbita italica dopo essere stata dominata per più di 300 anni dalla Spagna. In realtà i Savoia avrebbero preferito la Sicilia, che in un primo momento, dopo i Trattati di Utrecht e di Rastadt, era stata loro assegnata.
E le poche novità imposte da Amedeo II erano state tutte di segno negativo, tese come erano a svuotare ulteriormente il potere e il ruolo degli Stamenti, ovvero del Parlamento sardo. Ed è in questo contesto, per così dire, piuttosto provvisorio che muovono le vicende dei personaggi di Pibiri. “È la famiglia Piras della media borghesia, che ha radici spagnole e ha rapporti politici con i deputati sardi repubblicani membri del Parlamento Subalpino, in conflitto con un ramo dei Melis di Perdalonga, ricchi possidenti, malvagi ed usurai”. Il romanzo racconta la vita dei contadini di Perdalonga “vassalli nel feudo dei Castelvì del castello di Villasor, e del marchesato dei Brondo, condizionata dall’assolutismo del feudalismo e dal clero famelico, che tuttavia non riesce a impedire i rapporti d’amore che si snodano fra le nuove generazioni successive all’edito delle chiudende”, ha spiegato a City@City lo scrittore, “l’ambientazione nel periodo risorgimentale in cui il mazziniano di Forru (Collinas) Giovanni Battista Tuveri, interlocutore privilegiato del protagonista avvocato Felice Piras e dei suoi colleghi di Cagliari, l’ho scelto perché nella narrativa riguardante Villacidro, è un periodo inedito, nonostante al tempo ci fossero illustri personaggi del Diritto, del giornalismo e della politica”.
Pochi anni dopo l’edito delle chiudende del 1820, emanato del Re di Sardegna Vittorio Emanuele I. A Perdalonga, paese di montagna ricca di foreste e buone terre a valle, la lotta per accaparrarsene il più possibile si esprimeva anche con la brutalità. “Vittima di questa violenza è la famiglia benestante dei Piras, che subisce dapprima la bardana, successivamente viene trovato morto, in un suo campo di grano, il capo della famiglia. Le indagini sui delitti le porta avanti con grande riserbo l’amico di famiglia, l’avvocato Fernando Buesca. La lentezza della giustizia induce Buesca ad avvalersi delle informazioni dei serbidoris e serbidoras, per venire a capo della singolare indagine”.
Mentre in Lombardia si combatte la prima guerra d’indipendenza, la Sardegna è oggetto di scambio nella scacchiera delle dinastie. Le famiglie di Felice Piras e di Fernando Buesca si schierano dalla parte di Mazzini. “Sono le uniche famiglie della media borghesia del paese che si impegnano per la crescita delle coscienze dei paesani, nella maggioranza analfabeti, anche attraverso i rapporti che instaurano con i parlamentari sardi del Regno. Nei paesaggi naturali che cangiano di colore in ogni stagione e i profumi che queste emanano, maturano gli amori tra giovani benestanti che frequentano l’Università di Cagliari, ma anche tra serbidoras e serbidoris, negli incontri che combinano alla fonte: ad abbeverare i cavalli i serbidoris, a riempire le brocche le serbidoras”. È il tempo della malaria, della fame e della gentaglia che mortifica gli umili, “maturano vendette e amori che sconvolgono persino le parentele delle famiglie Piras e Buesca”.
Famiglie amiche-nemiche, che però riescono a stare unite dal punto di vista politico. “Vogliono una Italia unita, in cui la Sardegna, da sempre dominata dallo straniero, ritrovi l’autonomia che seppe esprimere orgogliosamente Eleonora d’Arborea, quattro secoli prima”, ha commentato l’autore. Come andrà a finire il romanzo non ve lo diremo qui. Dov’è arrivata la storia della Sardegna? Emilio Lussu: “Ci sentiamo una nazione mancata, senza ancora avere la piena coscienza o senza voler riconoscere che così doveva essere ne poteva essere diversamente, ché un’isola così piccola, rispetto alle grandi isole degli altri mari, con questa sua posizione nel Mediterraneo, non poteva in nessun secolo vivere indipendenti e sovrano. Questa nostra ostinazione a non voler ammettere la fatale sconfitta collettiva come popolo ci ha offerto solo la rivincita di un ripiegamento sulla personalità del singolo”.
Sergio Pibiri nasce a Villacidro (CA) nel 1943. Lavora dapprima nell’azienda agricola di famiglia, ma la campagna, spesso ingenerosa, l’abbandona per lavorare nelle fabbriche tessili di Villacidro. Prende coscienza delle disparità sociali ed economiche tra Nord e Sud, sceglie la Cgil e vi milita per trentacinque anni rappresentandola nei diversi livelli. Di problemi sociali e ambientali ha scritto sui periodici (L’altra Sardegna, Controcampo, Confronto, L’Altro, Il Provinciale Oggi, LiberEtà, Rassegna Sindacale, La Gazzetta del Medio Campidano). Ha raccolto le memorie storiche di alcuni personaggi sardi, tra cui quella di Francesco Ibba di Ardauli (OR), “Storia d’emigrazione e d’antifascismo” primo premio al concorso letterario LiberEtà, (Ferrara 2001); “Mi chiamo Luigi Lasio”, pubblicata a puntate sulla Gazzetta del Medio Campidano, ora nell’Archivio della memoria di Pieve di Santo Stefano, Toscana. Ha pubblicato “Ostinati”, Media Tre 2005, “Pane e fichidindie” Youcanprint 2015, “Ostinati “seconda edizione Youcanprint 2016, “Narrando sotto la pergola del glicine” Youcanprint 2018, “Un paradigma per essere al mondo in armonia con gli altri” Youcanprint 2019, “Prima di tutto la giustizia sociale” Youcanprint 2020, “Prosperosi con amore e parsimonia” Youcanprint 2021.