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Brigata Sassari, cento e uno Dimonios
«L’assalto! Dove si andava? Si abbandonavano i ripari e si usciva. Dove? Le mitragliatrici, tutte, sdraiate sul ventre imbottito di cartucce, ci aspettavano. Chi non ha conosciuto quegli istanti, non ha conosciuto la guerra.»
Queste sono le parole di Emilio Lussu, tratte dal suo capolavoro “Un anno sull’Altipiano”; che racconta gli avvenimenti relativi al periodo che trascorse nella Brigata Sassari sull’Altipiano di Asiago tra il giugno del 1916 e il luglio del 1917. Oggi, 1 marzo 2016, la Brigata Sassari supera il suo primo secolo di esistenza. Nata durante la Grande Guerra, ha da subito pagato il suo tributo di sangue: 3817 tra morti e dispersi, e 9104 tra mutilati e feriti.
Il grido “Fortza Paris”, che accompagna da sempre le gesta della Brigata, si muove attraverso i decenni, carico del suo doloroso orgoglio e portando con sé i volti e gli sguardi di chi si è sentito parte della Storia, dal Piave fino all’Afghanistan e al Kosovo. La Brigata Sassari è l’unica Grande Unità delle Forze Armate che sfila durante la parata del 2 giugno cantando il proprio inno, che è ormai l’inno di tutti i sardi: “Dimonios”. Perché i nomi, i visi, gli occhi, di tutti i “tattarini” non sono solo un pezzo della storia d’Italia ma sono soprattutto il sangue della storia del popolo sardo. Sempre Emilio Lussu scrive infatti nel 1951: «I non-sardi, per disposizione del Comando Supremo, venivano assegnati ad altre brigate: solo a pochi sottufficiali, per essere stati nella Brigata fin dal primo giorno, venne concesso, per compiacenti sotterfugi dei Comandi il “privilegio” di rimanervi. Gli ufficiali non erano tutti sardi, che non erano in numero sufficiente per sostituire quelli che cadevano. Vi furono quindi, sempre, parecchi ufficiali non sardi delle più disparate regioni. Ma tutti si sardizzavano: l’abito fa il monaco. E ballavano anch’essi la danza nazionale sarda e anch`essi cantavano il duru-duru.»
La diversità profonda dei soldati che fecero parte della Brigata Sassari è indubbia e bene espressa nelle parole che Attilio Deffenu, all’epoca giovane Ufficiale, scriveva all’Alto Comando: «Il soldato sardo non può – sotto alcun riguardo – essere assimilato al soldato di altre regioni d`Italia. Ragioni di carattere, ambiente storico e sociale diversissimo, in particolar modo l`isolamento nel quale il popolo sardo è vissuto dall’epoca dell’unificazione politica della Penisola, l’aver scarsamente partecipato al movimento di ascensione economica, commerciale, culturale, che ha caratterizzato la vita italiana nell’ultimo cinquantennio ne fanno un soldato sui generis.» Morirà a soli 27 anni, ricevendo la Medaglia d’Argento al valore militare con questa motivazione: “Alla testa dei suoi uomini, si lanciava per primo all’assalto ed alla conquista di un caposaldo nemico, dimostrando fermezza e coraggio mirabili. Mentre poi con insuperabile tenacia si esponeva per riordinare il proprio reparto e prepararlo ad un nuovo impetuoso sbalzo colpito a morte, lasciava la vita sul campo. Croce, 16 giugno 1918”
La storia di chi dà la propria vita in guerra è sempre una storia dolente. «Non è vero che l’istinto di conservazione sia una legge assoluta della vita. – dice Lussu in Un anno sull’Altipiano – Vi sono dei momenti, in cui la vita pesa più dell’attesa della morte.»
La Brigata Sassari ha superato il suo primo secolo; sempre Fortza Paris!
Francesca Arca
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