Serie D – Latte Dolce tra gruppo e difesa: coperta corta, ma le soluzioni non mancano
Calata Bianca, il tesoro nascosto di Funtanazza
Il geologo Aldo Pusceddu ha raccontato a City@City quel che accadeva sui fondali di quest’angolo di mare sardo. Ecco perché geologia e storia rendono unica una spiaggia che un tempo fu la meta ambita dei figli dei minatori
di Paolo Salvatore Orrù
Un tempo era la meta ambita dei figli dei minatori, oggi è un angolo di Sardegna che meriterebbe di essere (ri)valorizzato tenendo conto della storia e di altre peculiarità che rendono Funtanazza unica. Perché in questo fantasmagorico crogiuolo di colori, la natura e gli interventi (qualche volta brutali) dell’uomo si mischiano sino a diventare bellezza, ricordo e, ormai, leggenda.
Per raggiungere la spiaggia occorre percorrere un tratto della statale 126 e attraversare “un mondo cristallizzato, fermo nel tempo, fatto di siti dismessi e villaggi abbandonati”, si legge in sardegnaturismo.it, “… la spiaggia è delimitata da scogliere ricoperte da fitta macchia mediterranea: da una parte grandi rocce basaltiche nascondono piccole grotte, dall’altra la scogliera degrada dolcemente. A sud, fino alla discesa punta sa Cabada bianca si possono osservare rocce di origine marina contenenti incastonati un’infinità di fossili”. Sono proprio i fossili il valore aggiunto di questa località. Per questo abbiamo chiamato a raccontare questo angolo di terra il geologo Aldo Pusceddu, guspinese doc, adottato da Villacidro, ma anche da tante società minerarie che hanno operato tra il Sulcis-Iglesiente e Medio-Campidano. “Calata Bianca fa parte della insenatura di Funtanazza, località marina della costa di Arbus, nota anche come ‘Costa Verde’. il sito si posiziona a circa 500 metri a sinistra della ex colonia marina, intitolata a Francesco Sartori. Prende il nome dal colore quasi bianco degli strati rocciosi che, con debole inclinazione, si immergono in mare”, ha spiegato il tecnico.
(Foto Aldo Pusceddu)
Che poi affonda il colpo con spiegazioni che rendono un po’ più chiaro quanto è accaduto molti milioni di anni fa in questa parte dell’Isola. “Le rocce che ospitano l’affioramento fossilifero (si possono notare nella galleria fotografica), appartengono ad una successione di strati sedimentari calcarei – marnoso – arenacei del Miocene inferiore, con una età intorno ai 23 milioni di anni. Quindi si parla di calcari, marne e arenarie deposte sul fondo del mare, dove in quel tempo viveva una ricca fauna marina, ora fossile”. Lo spessore della intera serie miocenica di Funtanazza è di qualche centinaio di metri, “ben visibile nell’entro terra e lungo la strada provinciale Montevecchio/ Funtanazza/ Guttur’e Flumini. Le presenze fossilifere sono segnalate in più zone nello sviluppo verticale di questa serie miocenica”, ha proseguito Pusceddu.
I resti fossili, provengono prevalentemente del genere Clamys, dell’Aquitaniano-Burdigaliano (Miocene Inferiore), si legge in “Rocce e fossili raccontano la Sardegna”, un approfondimento scientifico pubblicato dalla Cuec nel 2008 e firmato da Carlo Spano e Sebastiano Barca. In Sardegna sono già presenti dei siti fossiliferi protetti e valorizzati ai fini turistici, come per esempio la località di Diudduru in comune di Genoni o il giacimento di graptoliti in comune di Goni. “Le peculiarità geo paleontologiche dell’isola sono situazioni spesso poco valorizzate, se non abbandonate, che possono arricchire la storia locale. Le amministrazioni mancano spesso di sensibilità in tal senso, ma si scontrano anche con carenze sovracomunali verso la valorizzazione di questi siti”, osserva lo studioso.
L’affioramento di Calata Bianca, almeno nella parte raccontata nella galleria fotografica allegata all’articolo, è raggiungibile solo dal bagnasciuga e in condizioni di mare calmo. “Quello che mi sento di dire sul giacimento fossilifero di Calata Bianca è che rappresenta un sito di interesse quantomeno regionale per la conoscenza della paleontologia del Miocene sardo, assieme ad altri che nell’isola raccontano la vita marina tra i 23 e i 5 milioni di anni fa”. Nella fattispecie, visto il contesto naturale in cui è inserito, se opportunamente studiato lungo un percorso turistico e quindi predisposto alla fruizione, “potrebbe rappresentare un grosso valore aggiunto per lo sviluppo turistico della località di Funtanazza, magari all’interno dell’auspicata e non più procrastinabile valorizzazione della struttura della ex colonia marina, che un tempo poteva ospitare circa seicento bambini, più un adeguato numero di personale per gestione ed assistenza”, ha concluso Pusceddu.
City@City vi consiglia di fare una visita a questo luogo dell’anima. Altro consiglio portatevi molta acqua e un po’ di pane e companatico, perché, salvo sorprese dell’ultima ora, per rifocillarvi troverete, forse, solo un piccolo bar ricavato in una delle poche casette ancora in piedi in questo posto dimenticato dagli dei, dagli amministratori pubblici, ma non da chi ha passato le vacanze o lavorato in epoche tristi (politicamente) per dare un futuro degno a questa nostro Continente.