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Benito Urgu, (anche) questo sono io
L’artista scopre insolite vesti della sua arte: «Chi sono oggi? Domani potrebbe già essere una bugia»
Avviso importante per i lettori: l’articolo contiene sorprese.
Chiunque si aspetti Gambale twist, Whisky, birra e Johnny Cola, Barrittas, la signora Desolina di Morgongiori, Giorgietto di Pirri o il Maresciallo Serpis, porti pure indice e pollice sull’angolo in basso a destra della pagina, la giri e vada oltre.
In questo articolo non si parlerà di 60 anni abbondanti di palcoscenico, non verranno menzionate migliaia di serate in Sardegna e nel resto dello Stivale; verranno saltati a piè pari riconoscimenti e premi e si sorvolerà su collaborazioni con Frassica, Chiambretti o Nanni Loy; si ignoreranno Bianco di Babbudoiu, L’arbitro, altri tot film girati e neppure, quand’anche di imminente uscita, si tratterà de L’uomo che comprò la luna. Tantomeno si scriverà di quando trent’anni fa i suoi personaggi ispirarono quelli di Panariello.
Punteremo invece il nostro occhio di bue su sfaccettature poco note di un artista capace di sorprendere per sensibilità; perché quando è questa ad esprimersi, i nomi che convenzionalmente diamo alle forme d’arte diventano inutili. Poco conta catalogare una performance, a nulla serve riporla nella giusta scatola e superflui diventano i nomi che abbiamo scritto su quelle scatole: musica, teatro, poesia, fotografia, pittura, diventano vasi comunicanti nei quali l’arte di comunicare fluisce liberamente.
Nella sua casa tra Marrubiu e Terralba – ma avremmo potuto incontrarlo fra l’Avana e Trinidad – ci ha accolto Benito Urgu. Abbiamo scoperto un artista che oltre alla mimica ed alla voce, per esprimersi usa anche macchina fotografica, penna e pennello, ma soprattutto abbiamo incontrato un uomo capace di guardare oltre, includere e sostenere, capire e mai giudicare. Quasi 80 anni di leggerezza costellata di percezioni ai confini dell’inverosimile e decorata da punte di genialità.
Ciao Ben, benvenuto. Stiamo per spogliarti dei panni del comico e metterti a nudo. Sei pronto?
Prontissimo!
Levato l’abito del comico, chi è Benito?
Scoprilo tu. Conosci le mie pieghe, le mie rughe… Frugale e scoprirai chi sono. Spesso la mattina quando mi sveglio sono un altro; dirti chi sono oggi, domani potrebbe essere già una bugia.
Che cosa è per te la creatività?
Sono idee che fanno i conti con il dubbio e mentre credi di dormire evolvono. Tengo tutti i miei lavori in un serbatoio di incubazione; lì pian piano si plasmano fino a prendere la forma giusta. Aiuta molto concentrarsi pensando all’alto, l’Universo, mai chiusi in se stessi.
Sta venendo fuori un Benito diverso da quello che il tuo pubblico associa a grandi risate in piazza; ridere è importante per te?
Molto; oggi però mi piace spezzare con contrasti che inducono alla riflessione.
Per esempio: ci hai mai pensato che abbiamo incontrato tutto quello che può esistere per non farci nascere? Veleni, pastiglie, reti collanti… praticamente siamo evasi da un preservativo!Oggi vai in una piazza e non ci sono bambini; la gente è distratta e non li fa più i bambini…
Quindi la leggerezza è importante e la capacità di sdrammatizzare serve…
Tanto. A volte basta minimizzare. Una volta Nanni Loy mi ringraziò pubblicamente per aver dato – diceva – una patina di umanità al cast di Prove tecniche di trasmissione; avevo sdrammatizzato in un contesto di grande tensione tra lui e Chiambretti.
Cosa vedi attraverso l’obiettivo della tua macchina fotografica?
Vedo cose che gli altri non riescono a vedere. Per esempio: fotografo pietre e ci vedo cose assurde, ci leggo messaggi che a raccontarli passerei per pazzo.
Se non avessi fatto il mestiere che fai, cosa avresti fatto?
Sarei scappato con un circo. È lì che ho iniziato ed è lì che incontri scappati di casa con dentro il genio.
Cosa è per te Cuba?
È il posto nel quale rivivo la mia infanzia. Forse in un’altra vita ero cubano… Lì trovo armonia e la stessa facilità di dialogo con le persone che trovo qui.
Una cultura che senti tua quella cubana…
Sono a mio agio nella musica cubana, scrivo canzoni in spagnolo nelle quali i cubani si riconoscono. Ho scritto una poesia su l’Avana che è stata capace di toccare l’anima di chi ha dovuto lasciarla.
Scrivi testi, sketch, canzoni, poesie: il risultato dipende dalla scelta delle parole; quanto ritieni importante la stessa scelta nella vita di tutti i giorni?
Parecchio. Le parole condizionano chi ascolta e anche chi le dice. Se vivo un momento di crisi e lo chiamo così ci precipito dentro. A Cuba lo chiamerebbero período especial; in questo modo si sottolineano le opportunità che possono scaturire da un momento difficile, non i problemi. A Cuba un disoccupato è un travajador disponible; in questo modo tutti, soprattutto l’interessato, guardano avanti.
Alla tua età e con la tua esperienza non possiamo non chiederti un consiglio per chi si affaccia alla vita.
Studiate ragazzi. Che vogliate fare il mio mestiere o gli artigiani, datevi da fare da subito e soprattutto siate onesti, perché l’onesta paga. Sempre.