Serie D – Latte Dolce tra gruppo e difesa: coperta corta, ma le soluzioni non mancano
Addio a Franco Cerri, musicista e gentleman nel ricordo della sua memorabile performance sassarese a Villa Mimosa il 12 maggio 1992
È morto a 95 anni a Milano il chitarrista, contrabbassista e compositore Franco Cerri. A darne la notizia è stato il figlio Nicholas, condividendo un post su Facebook. Segno dei tempi
di Riccardo Frau
Ma, ben prima dei social, la storia di Franco Cerri ci racconta di un musicista nato nel 1926, presente sulla scena del jazz (e non solo) fin dal 1945 e attivo fino a pochi anni fa, con al suo attivo un’impressionante carriera artistica, che può qui essere ricordata solo per sommi capi. Scoperto dal Quartetto Cetra, venne poi ingaggiato dalla big band di Gorni Kramer e da lì iniziò la sua ascesa, tanto che nel 1950 aveva già fondato una formazione che portava il suo nome, il Franco Cerri Quintet. Da quel momento, non si contano le sue collaborazioni, sia con artisti italiani (Renato Carosone, Mina, Roberto Vecchioni, solo per citarne alcuni), sia con le star internazionali del jazz americano (Chet Baker, Dizzy Gillespie, Django Reinhardt, Lee Konitz, Billie Holiday, fra gli altri, ma l’elenco sarebbe lungo e prestigioso).
Tuttavia, il suo volto a molti risultava familiare anche per via di uno sketch pubblicitario di un noto detersivo, che ritraeva Cerri a bagno in una vasca trasparente, con una camicia da smacchiare, immagine che lo rese noto come “l’uomo in ammollo”: qualcuno storce il naso, in queste ore, per la citazione, ma a ben vedere, questo episodio altro non era che una delle sfaccettature del personaggio, talentuoso, ma anche ironico e disposto quindi a proporsi in ruoli non convenzionali, che nulla tolgono peraltro alla sua cifra artistica. Bastava ascoltarlo suonare la sua Gibson semiacustica L5, con il suo timbro sonoro inconfondibile e le sua capacità di improvvisazione, per spazzare ogni dubbio.
Sarebbe tuttavia errato credere che questo profilo, a volte goliardico, derivasse da una vita comoda e agiata. Innanzitutto, non va dimenticato che Cerri iniziò a suonare la chitarra da autodidatta, a 17 anni, mentre lavorava come muratore e ascensorista per guadagnarsi da vivere. Stranamente, è poi rimasta in ombra, nelle cronache di questi giorni, una vicenda segnante, che riguardava il figlio di Franco, Stefano Cerri: quest’ultimo era un ottimo bassista, specializzato nel genere progressive, che nel 1976 fondò il gruppo dei Crisalide, con cui accompagnava Eugenio Finardi (tanto per dire). Morì a soli 48 anni, per una malattia che non gli diede scampo. Non tutti si sarebbero risollevati, come invece seppe fare il maestro.
Qualcuno degli episodi che completano il ritratto di questo grande artista è poi passato (fortunatamente) anche da Sassari, lasciando tracce importanti.
Innanzitutto, è stato bello leggere, sulle pagine del quotidiano locale, le testimonianze di alcuni musicisti sassaresi che hanno collaborato con lui e che si sono distinti nel jazz, come Paolo Carrus, Antonio Pitzoi e Roberto Tola: da tutti traspare l’ammirazione per il talento e l’affetto per le doti umane di Cerri, che sapeva porgersi con l’umiltà dei grandi, quelli veri, che non hanno bisogno di abiti scintillanti, patine colorate o cortine fumogene. Non sorprende, quindi, leggere di come il maestro sottolineasse ai suoi allievi: “Ricordate: prima l’uomo, poi il chitarrista”.
Il capoluogo turritano ebbe poi la fortuna di ospitare diverse sue esibizioni, spesso al music club Birdland, ma resta memorabile l’elegantissima performance resa a Villa Mimosa il 12 maggio 1992, quando, in trio con Enrico Intra al piano e Salvatore Majore al contrabbasso (altro jazzman locale, allora giovanissimo, su cui Cerri non esitò a puntare), tenne un concerto nel salotto della prestigiosa palazzina liberty: per tutto il resto c’è Mastercard – direbbe una nota pubblicità – ma essere lì, in quel momento, davvero non aveva prezzo, seduti su un divano con questi musicisti a un metro di distanza, che suonavano senza nemmeno avere bisogno di amplificazione. La numerazione dei biglietti allora acquistati (nn.1 e 2 della mazzetta) non lascia dubbi sull’attesa con cui venne vissuto quell’evento di chi oggi sta scrivendo questo pezzo.
L’ironia di Cerri, si diceva. E l’autoironia.
A questo proposito, basti citare due episodi a cui fu personalmente presente chi scrive, in occasione del concerto tenuto nel 2015 al Birdland di Sassari.
Dopo i primissimi brani, il maestro richiama il pensiero di Aristotele. La cosa sembra seria, ma la citazione si conclude inaspettatamente così: “Aristotele, gran brava persona, Ci facevamo tante chiacchierate, ma poi si è trasferito di casa e ci siamo persi di vista”. Ilarità generale fra il pubblico, per il velato – ma non troppo – accenno alle tante primavere sulle spalle.
Nell’intervallo dello spettacolo, convinco un amico ad avvicinarci all’artista, che avevo già precedentemente incontrato in altre occasioni e quest’ultimo, cordiale e signorile come sempre (dava sempre il “lei” all’interlocutore), ci accoglie. L’amico lo approccia, forse con troppa concitazione, dicendo: “Lo sa che negli anni ’70 ho comprato un suo metodo per chitarra jazz?”. E Cerri, con un mezzo sorriso e senza scomporsi, gli risponde: “E adesso vuole indietro i soldi?”
Impossibile non averlo a cuore, quindi, perché Cerri riuniva doti umane e musicali di raro spessore e soprattutto faceva della comunicazione – musicale, didattica, empatica – il suo punto di forza.
Immagino che ora abbia finalmente raggiunto Aristotele, che tanto aveva scritto sulla musica: ai due vecchi saggi non mancheranno certo argomenti di conversazione.
Grazie di tutto, maestro.