La discesa dei carruzzi e la rinascita della goliardia sassarese negli anni 80
Il 22 dicembre si terrà in Viale Trento la “Discesa dei Carruzzi”, organizzata dall’Associazione Goliardica Turritana (A.G.T.), un classico appuntamento cittadino nell’ambito della Festa delle Matricole, nel solco della tradizione universitaria della comunità sassarese: parliamo di carri allegorici ispirati a temi satirici o di attualità (meglio se “scollacciati”), che si lanciano a tutta velocità in ripida discesa. Divertimento assicurato, anche perché solitamente non tutti arrivano interi al traguardo.
Ma da dove arriva tutto questo? Proviamo a riavvolgere il nastro.
In primo luogo, è noto che il carruzzo è un veicolo, su cuscinetti a sfera come ruote, di antica tradizione locale, che risale a tempi in cui la gioventù cittadina, non avendo grandi disponibilità, doveva organizzarsi il divertimento come poteva (fra sfide a “ballocci” o tappi di bottiglie e gare a “soffio” con le figurine dei calciatori). Successivamente, gli universitari adottarono questa costruzione, arricchendola però con addobbi allegorici e satirici, che riscuotevano un grande seguito di pubblico già con la precedente Associazione Turritana Universitaria (A.T.U.). Tuttavia, negli anni settanta, forse anche per via di alcune connotazioni politiche, la città perse interesse a questa manifestazione e alla goliardia in generale.
Fu invece nel 1984 che la tradizione venne recuperata, con la fondazione della citata Associazione Goliardica Turritana e l’elezione del primo “pontefice” del nuovo corso. Gli anni 80 erano un momento di grande fermento giovanile in città, fra edonismo reaganiano, paninari e yuppies, che avevano raggiunto anche le sponde turritane e Sassari, fra le altre cose, si trovò a rivestire un ruolo da protagonista in ambito regionale, vivendo una stagione di intensa fioritura di eventi di intrattenimento. A questo contribuiva una fortunata congiuntura di più fattori, primo fra i quali un buon tenore di vita, dal momento che il reddito medio cittadino pro-capite era allora il più alto registrato nell’Isola (come attestato da uno studio pubblicato su Repubblica nel 1991). Questo benessere, giunto dopo la cappa greve degli anni di piombo, favoriva il formarsi di una vivacissima movida giovanile intorno ad una affollata Piazza d’Italia (uno spaccato di questo periodo si trova documentato nel libro “Vintage. Rock e dintorni nella Sassari negli anni 80”, Alfa Editrice).
In questo fertile humus, un primo gruppo di universitari iniziava a riunirsi in modo quasi “carbonaro”, dapprima nelle salette dei bar che (bontà loro) li ospitavano, salvo metterli alla porta quando la frequentazione diventava troppo rumorosa, poi in sedi sociali più adeguate, mettendo in campo una serie di progetti, fra cui, appunto, la ripresa della discesa dei carruzzi. Si arrivò quindi (non senza dover superare la diffidenza dell’amministrazione locale, visti i precedenti), alla prima edizione organizzata dal “nuovo” movimento nel 1984, che però ebbe luogo in Viale Trieste, in quanto non si era riusciti ad ottenere la sede tradizionale di Viale Trento. Le macchine costruite dai giovani universitari erano state precedute dalla sfilata di improbabili majorettes e di un gruppo di “scozzesi” in kilt (di scozzese in effetti c’era solo il whisky esibito in bella mostra).
Ma già dal 1985 si ritornò nella sede storica della discesa e da allora, lungo l’impegnativa pendenza di Viale Trento, sfrecciano sia veri capolavori di ingegneria, sia carruzzi più caserecci, alcuni dei quali distrutti lungo il percorso (micidiale si rivelò per anni il cassonetto davanti al cinema Ariston). Epico fu il carruzzo dedicato ai problemi dell’edilizia popolare (“La baracca degli sfrattati”), che nel 1985 perse pezzi e passeggeri fino a frantumarsi su un albero, fra le risate degli spettatori assiepati lungo i marciapiedi.
Erano però anche gli anni d’oro della Torres, che costruiva una delle sue migliori squadre di sempre, e allora i goliardi (che erano anche tifosi) intrapresero un progetto attento anche alla solidarietà, organizzando allo Stadio Acquedotto una partita di calcio benefica in costume, con giovanissimi ed entusiasti spettatori provenienti dalle scuole medie e superiori che riempivano gli spalti (cosa non si fa per saltare la scuola…). Il ricavato fu interamente devoluto all’Associazione Talassemici, con cui si instaurò una partnership durata anni. Per la cronaca, la lettera di concessione dello stadio venne rilasciata su carta intestata della Torres, che credette subito nell’iniziativa, ed è tuttora conservata negli archivi degli organizzatori.
Il solco era ormai aperto. Da quel punto in poi la comunità e anche l’amministrazione locale ripresero a vedere con più indulgenza le matricole e la discesa, sebbene non siano mancati nel tempo gli incidenti di percorso, come quando un carruzzo, deragliato in viale Trento all’altezza della pescheria, aveva investito una cantante lirica, fratturandole alcune costole. Non mancarono anche le leggende metropolitane, come quella relativa al primo carruzzo realizzato dalle ragazze, che, sbandando, imboccò Viale Caprera e si perse nel nulla, tipo Triangolo delle Bermude. Fra i carri più esilaranti, memorabile quello allestito come una tavola imbandita con vari commensali, con un chitarrista che cantava il repertorio folk sassarese e perfino una griglia dove si arrostiva la carne: durante la discesa, il fuoco tuttavia si propagò alla tovaglia, ma le matricole scesero incuranti a tutta velocità, fra le fiamme sempre più alte e il divertimento del pubblico presente.
L’INTERVISTA
Abbiamo allora intervistato Alessandro Mocci, che fu il primo “pontefice” dell’Associazione Goliardica Turritana, in quel 1984 di orwelliana memoria.
Alessandro, cosa ti ha ispirato per rifondare la goliardia e da quanto era ferma in città questa tradizione?
Come organizzazione vera e propria la goliardia non esisteva più dalla fine dell’A.T.U. Si portava avanti solo per consuetudine e, negli ultimi anni, senza vero entusiasmo. Da lì, con un gruppo di amici e colleghi di studi (soprattutto di giurisprudenza), la voglia di ridare vita alla goliardia in città, che è sempre stata sentita quasi come una “istituzione”, fin dal dopoguerra.
Il tuo nome goliardico era Teopompo II. Presumo quindi che ci sia stato un Teopompo I…
Credo che la persona che aveva questo nome goliardico fosse un Pontefice dell’ATU negli anni ’50. Lo avevamo già pronto, come nome, già il giorno del primo “conclave” goliardico… e fu scelto per una sorta di continuità tra il vecchio ordine e il nuovo.
Che posto ha nella festa delle matricole la discesa dei carruzzi?
I carruzzi sono stati sempre un gioco caratteristico nella tradizione dei ragazzi della nostra città, per cui quale migliore occasione per celebrare questi strani veicoli su cuscinetti a sfera? Alcuni, poi, erano davvero curatissimi, specie quelli ispirati a mezzi di locomozione. Oggi forse questa cura si è un po’ persa e si predilige la velocità al lato artistico. Ancora adesso, comunque, la tradizione goliardica è ben viva in città, coltivata a tutte le età. Non dimentichiamo il detto secondo cui “I goliardi hanno sempre vent’anni!”
L’intervista ad Alessandro ci ha riportato alle radici della manifestazione: ora spetta ai giovani universitari, con il nuovo pontefice Pantaleone (al secolo Andrea Lubrano), raccogliere il testimone della discesa e dimostrare che la tradizione goliardica è ancora alive and kicking.
E soprattutto irriverente come allora.
Riccardo Frau
Autore del libro Vintage. Rock e dintorni nella Sassari degli anni ottanta, Alfa Editrice, 2020
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