Serie D – Latte Dolce tra gruppo e difesa: coperta corta, ma le soluzioni non mancano
“Sono cielo nella mia terra, sono aria che respiro”
La poetessa Elisa Fonnesu torna a convincere con la raccolta “Cammino in terra sarda”
“Scorgi un pezzetto di cielo e vai oltre, dove il falco ha il suo nido… dove il sole pian piano se ne va lanciando il suo ultimo raggio luminoso“, ha scritto Elisa Fonnesu in una poesia pubblicata nella sua ultima fatica letteraria Cammino in terra sarda (NemaPress, prefazione di Neria De Giovanni). Una immagine vista e rivista più volte nel cielo sardo ma che con le parole della scrittrice diventano premonizione, storia, epopea. Consiglio di leggere le poesie della Fonnesu con la tensione che questi versi meritano, per scoprire la fragranza delle cose, i sapori di un tempo, i profumi di una terra che ha meritato e merita rispetto. Perché non è soltanto la nostalgia del passato e della mia arruffata giovinezza a farmi dire che i versi di Elisa devono essere utilizzati per cavalcare, ancora una volta, e sin quando ce lo permettono, liberi nelle terre dei nostri avi. Per poter continuare ad ascoltare le voci di Gariazzu, per offrire anche i nostri figli l’opportunità di ascoltare “belati di greggi ed echi di campanacci che salgono e scendono dalla valle o viceversa”.
(Elisa Fonnesu)
Lo dico senza remore: è la prima volta che leggo un libro di poesie senza fermarmi, in genere amo respirare lentamente, per cogliere gli umori che certi versi a volte (solo volte) riescono ad emanare. Come mi è capitato in Vento di Sardegna: “Tutto sa di te, la roccia erosa, il ginepro piegato…i cespugli mai diventati alti e rasi quasi al suolo dal tuo alito fresco o freddo“. In queste righe si sente il selvatico profumo del maestrale e allo stesso tempo si percepisce la devastante forza de su bentu Maistu. Un vento che a volte ci avvolge e ci proietta come per magia in un passato che ancora si ripete nel presente: “m’avvolge il tempo lontano in cui il carro lento e traballante saliva e saliva fin dove mano d’uomo ha potuto prendere di terra e di roccia fin dove ha potuto seminare e raccogliere”.
Versi che vengono dal mondo del vissuto, e raccontati da un particolare punto di vista (ognuno ha il suo), per questo suadenti. In questa sua raccolta di poesie la Fonnesu, come per Wang Shu, sembra voler convincere i lettori di una verità che lei sembra considerare inconfutabile: “perdere il passato significa perdere il futuro”. Forse è per questo che nei versi finali di La Spendula bagnando il suo viso con l’acqua della cascata cara ai villacidresi dice “l’acqua trascina nel suo letto il ricordo del tempo andato e ritrovato”. L’acqua così diventa un unguento magico che aiuta Elisa a guardare indietro, uno stratagemma che può aiutare a guardare poi il suo futuro con più chiarezza. Perché a volte la storia si ripete.
Ogni tanto, ad ognuno di noi piacerebbe poter viaggiare a ritroso nel tempo, per incontrarci quando eravamo giovani, per poter fermare quel ragazzo che eravamo e suggerirgli di non preoccuparsi se molti dei sogni che avevamo avuto allora non si sarebbero mai realizzati: perché il futuro è sempre denso di altri sogni. Perché gli errori possono diventare opportunità, perché la paura a volte produce uomini più forti, perché “sei albero di quercia, sei arbusto e corbezzolo e asfodelo che nasce sotto l’ombra di nuvole danzanti”. Grazie Elisa.