Serie D – Latte Dolce tra gruppo e difesa: coperta corta, ma le soluzioni non mancano
Alfredo Pala, il brasiliano di Sassari
Dopo tanti anni è doveroso dirlo: Alfredo Pala ha subito una grande torto. È stato esiliato da ragazzo dalla sua amata Torres, protagonista indiretto del più clamoroso scambio del calcio sardo del 1976: Alfredo Pala (allora 18enne), Paolo Ortu e Alberto Peru al Porto Torres in cambio del solo attaccante Antonello Ragas, punta emergente turritana.“Venni ceduto non solo per motivi calcistici”, afferma oggi secco Alfredo, classe 1958, e altrettanta classe da vendere nella sua attività di grande calciatore. Pala giocava da centravanti, ma era un “falso nueve”, che infatti avrebbe potuto fare il trequartista, il regista e l’ala tornante. Brevilineo e compatto, aveva capacità tecniche e stilistiche straordinarie.
Ed era forte anche in acrobazia. A questo aggiungeva uno scatto fulmineo. In pratica una sciagura per i difensori che lo marcavano ed un rimpianto per i sassaresi che non hanno avuto la gioia di poter vedere uno dei suoi più straordinari talenti indossare nel pieno della maturità la casacca rossoblù. Onorata per anni a Porto Torres, sotto gli ordini di Renato Francesconi e Paolo Morosi, che stravedevano per lui. D’altronde Alfredo all’Occone e al nuovo Comunale di viale delle Vigne ha strabiliato i tifosi con grandi giocate. Nel 1977 quella casalinga incredibile contro il Carbonia. Alfredo, 19enne, entrò nel secondo tempo sullo 0-2.
Quindi sue 3 reti, una di sforbiciata, e 3-2 per il Porto. Nel 1981 venne al viale delle Vigne il Cagliari di Tiddia, quello di Selvaggi, Bellini e Quagliozzi. Primo tempo 2-0 per il Porto Torres, 2 reti di Alfredo, difensori cagliaritani al manicomio. Nel secondo tempo, dopo tante sostituzioni, il Cagliari ebbe la meglio 3-2 con rete al 90′ di Pietro Paolo Virdis. Tiddia a fine partita fu laconico “Ma che ci fa Pala a questi livelli?”. Più o meno stesso concetto espresso da Amarildo, allenatore del Sorso, in cui Alfredo passo nel 1982 e dove forse espresse i suoi momenti migliori. Anche in serie C.
Un giorno a pranzo Amarildo si rivolse a Pala.“Tu dovresti giocare in serie A – gli disse -. In Brasile non avrebbero avuto dubbi”. Parole di un campione del mondo carioca, che in Cile nel 1962 non fece rimpiangere Pelé. Con Amarildo Alfredo ebbe però un rapporto controverso. E lo dice al solito senza peli sulla lingua.“Il brasiliano aveva un carattere fumantino e questo lo sanno tutti – spiega -. Era sicuramente un grande intenditore di calcio e il suo calcio era d’attacco. Sapeva anche essere molto franco, ma tendeva a prendersela contro i più deboli. Allora al Madau le partitelle del giovedì erano seguite da 1000 persone. Lui davanti a tutti umiliò un ragazzino. La cosa non mi piacque affatto e gli chiesi spiegazioni a muso duro, dicendogli inoltre “perché non te la prendi con me?”. Rimase sbalordito ma non ebbe mai il coraggio di togliermi dai titolari.
Poi andò in Tunisia ad allenare la nazionale”. Alfredo giocò sino al 1987, sempre nel Sorso. Si ritirò a soli 29 anni. Allora davvero inspiegabile. Ce lo dice oggi, dopo tanti anni.“Troppi accordi nascosti – la sua rivelazione-. C’erano partite non vere e ho preferito togliere il disturbo“. Qualche mese prima dell’addio la vendetta dell’ex: la rete del pareggio in serie C nel derby contro la Torres, beffando il grande mastino Cariola che fino a quel momento lo aveva angariato.
In seguito il suo lavoro come professionista nel settore medico, vendita di presidi medici specialistici, un lavoro di alta specializzazione. “Un’esperienza straordinaria“. Poi la sua più grande prova, che affronta con coraggio straordinario: una brutta malattia, un cancro.
Reso pubblico sui social con parole degne della sua grande cultura e intelligenza, impregnate di dirompente sensibilità. Che dovrebbero essere prese d’esempio da chiunque voglia raccontare una storia o una vicenda di vita. Alfredo la combatte con la forza di un legionario e la saggezza di un filosofo. “Mai trovato un avversario così forte. Chapeau”, afferma lui. Una durissima battaglia quindi. Da vincere. Perché l’ultimo minuto non è ancora arrivato.
E il risultato si può ribaltare.