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L’ex latitante Annino Mele: “Il carcere non deve essere un loculo”
Nel corso della presentazione, presso l’aula consiliare dell’ex Municipio di Gonnosnò (Or), del suo ultimo romanzo – Probómines, per una giustizia riparativa – l’ex ergastolano ha spiegato perché lo Stato deve cambiare le sue leggi
Di Paolo Salvatore Orrù
L’ergastolo ostativo è la pena massima che può essere erogata nel nostro Paese. La condanna, questo il drammatico significato di “ostativo”, esclude che il carcerato possa un giorno tornare in libertà. La galera a vita, che in questo caso equivale anche a una condanna a morte, è uno degli argomenti più gettonati in questi giorni dal Parlamento. Il dibattito tra chi vorrebbe un carcere più duro o una detenzione più vicina al dettato della Costituzione è infatti in corso nelle aule parlamentari ed è diventato ancor più pressante dopo la cattura di Matteo Messina Denaro. Tuttavia, l’argomento merita di essere valutato non solo da chi ha il diritto produrre leggi o di condannare in nome dello Stato, ma anche da chi in prigione c’è stato davvero e ne conosce la più tragica essenza.
Ecco perché la testimonianza di Annino Mele, che Wikipedia ha definito criminale e scrittore italiano, deve essere considerata di inestimabile valore. L’ex ergastolano – 31 anni di carcere, moltissimi in isolamento, mai un giorno di permesso, ora in libertà vigilata – nel corso della presentazione, presso l’aula consiliare dell’ex Municipio di Gonnosnò (Or), del suo ultimo romanzo – Probómines, per una giustizia riparativa – ha ribadito che “L’ergastolo ostativo, per come è congegnato, non solo non rispetta il dettato dell’articolo 27 della Costituzione ma non è neppure in grado, nonostante i costi incredibili, di rieducare e dare speranze a chi lo sopporta”. Certo, qualche passo avanti, secondo Mele, è stato fatto, grazie ad un magistrato di sorveglianza di origine sarda, Giuseppe Bandino, uno dei promotori di un Codice penale europeo. “Credo nel suo lavoro, perché lui ha conosciuto il mondo dei pastori, quindi il malessere e le idee che serpeggiano in quell’ambiente”. Bandino ora si occupa di carceri minorili. “Lui – ha ribadito l’ex latitante (era stato arrestato nel 1987 nell’altopiano di San Cosimo vicino Mamoiada) – sa riflettere sui problemi delle nostre comunità pastorali, per questo può essere l’uomo giusto per traslare su carta il concetto di giustizia elaborato dai nostri antenati”.
Per Mele, dunque, la ‘giustizia storica’ dei sardi non dovrebbe essere cancellata, anzi dovrebbe essere valorizzata. “In carcere”, ha aggiunto, “ci sono molte persone che potrebbero essere recuperate, perché tanti hanno dentro la forza per tornare a produrre, studiare, essere utili. La nostra società però sembra preferire l’abluzione delle mani”. In altre parole, per Mele non si dovrebbe mai buttare la chiave della cella: “dentro ci sono uomini“. Senza contare, ha rilevato l’ex latitante, che il carcere, così com’è congegnato, non può che inasprire l’individuo. Molti dei fatti che portano al delitto, ha detto Mele, potrebbero essere risolti subito, senza un inutile spreco di vita (in primis) e di tempo: “I nostri avi, se c’erano problemi superabili gli risolvevano guardandosi negli occhi e con una stretta di mano”.
E gli istituti di pena? In questo senso, il ragionamento di Mele ricorda quello delle battaglie sostenute su questi temi dalle forze politiche più libertarie e oneste del nostro Paese. “Non si tratta”, ha sostenuto, “di migliorare o costruire altre prigioni, che peraltro per l’economia dello Stato rappresentano un capitolo di spesa piuttosto consistente, si dovrebbero invece fabbricare più vie d’uscita dalle carceri: legando la pena all’impegno che ciascun individuo mostra nello studio, nel lavoro, nella voglia di costruirsi un futuro diverso. Invece, da sempre, il carcere aiuta ad un salto di qualità in peggio”. L’ex primula rossa non si ferma alla critica, propone: “Sarebbe necessario ridurre al minimo il ricorso al carcere, introducendo sanzioni alternative e percorsi di giustizia riparativa, nella convinzione che possano funzionare meglio per “riabilitare” chi sbaglia”.
Qualche tentativo in questo senso c’è stato, ma per i tantissimi politici la proposta è troppo avanzata per un Paese in cui tutti sono preoccupati per l’emergenza criminalità e troppi hanno l’abitudine a non rispettare le leggi. Una riforma che non è stata per nulla spiegata agli italiani, ai quali, all’opposto, arriva costantemente il messaggio contrario: ovvero che bisogna arrestare tutti e buttare via la chiave. Invece, ha scritto Gianraimondo Farina, docente dell’Università Cattolica, nella prefazione di Probómines, all’interno del possibile istituto giuridico di una giustizia riparativa si potrebbero individuare “le sue caratteristiche principali di riparazione del danno, riconciliazione tra le parti e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo”.
L’affermazione di Farina dà spazio alla riflessione, fornisce nuove piste di studio, prendendo spunto, ancora una volta, dalla specificità sarda. Ed in questo contesto, concludiamo con le parole di Farina, “assumono un ruolo centrale le figure de sos òmines, ossia gli uomini saggi che nel diritto comune e consuetudinario sardo, venivano interpellati, in via preventiva e prima dell’intervento della forza pubblica, dalle comunità locali per dirimere le più spinose questioni e controversie che, spesso, potevano sfociare in sanguinose e famigerate faide “. A Gonnosnò, chi c’era ha imparato che nessun uomo può essere rinchiuso per sempre dentro un loculo e che sarebbe necessario affidarsi a uomini che sanno agire “con mediazione, riparando ed andando oltre il codice penale”. Il risultato: meno uomini in carcere e meno spese per lo Stato.
Annino Mele ha pubblicato Il passo del disprezzo (1996); Sos camminos della differenza (2001); Mai (2005); La sorgente dalle pietre rosse (2007), Sa grutta de sos mortos (2009) Strabismi (2009), Quando si vuole (2016), Il male dell’ergastolano (2018). Per Alfa Editrice: Il marchio del bandito–Voglio riprendere il mio posto nella vita e Probòmines (2019).