CAMILLA, I COLORI DELLA SPERANZA… UN ANNO DOPO
Una pagina Facebook con più di 13 mila iscritti. E la speranza si fa scrittura
Camilla non ha mai indossato una parrucca, ma un turbante. Sebbene scalfisse con prepotenza la sua timida corazza, sotto gli sguardi indagatori della gente. Appuntamenti e sedute avvolti in spire colorate di attese e desideri, quelli della giovane ventisettenne con un tumore al seno metastatico. Un giorno riconosciuta da tutti come “la ragazza con il turbante”.
La tua pagina facebook “la ragazza con il turbante”racchiude più di tredici mila iscritti. Quando nasce e perché?
Nasce nel settembre del 2015, esattamente durante la mia quinta chemioterapia. In realtà, già dall’inizio, mi avevano suggerito di scrivere.
Non credevo di saperlo fare. In seguito, mi sono resa conto che non solo mi piaceva, ma piaceva anche agli altri.
E questo mi ha spinto a continuare. Mi ha dato forza. Avevo già affrontato parte del mio percorso, quindi potevo dire qualcosa.
All’inizio ero troppo spaventata e confusa. Innumerevoli le emozioni, che non riuscivo a distinguere ed arginare; il desiderio mancato di voler fermare il tempo e la conquista, poi, di riuscire a planare sugli eventi.
Qual è stato il commento virtuale che ti ha commosso di più?
Quello di una ragazza che diceva testualmente: «Se ti avessi conosciuto prima, durante la chemioterapia, per me sarebbe stato tutto diverso».
Camilla racconta di sé e della patologia, disegnando sfumature fuse a tratteggi emozionali nella tela psicologica della sua consapevolezza. Adopera i colori dell’arcobaleno, gli stessi assegnateli da una simpatica forma araldica, da cui trae linfa vitale.
Camilla, quando ti è stato diagnosticato il tumore?
Il giorno 11 giugno del 2015 .
Qual è stato il primo pensiero dopo la diagnosi?
I miei genitori. Inizialmente non sapevo come dirglielo. Mi sentivo come se avessi fatto qualcosa di brutto, di cui giustificarmi. In seguito, sono riuscita a tranquillizzarli sul mio essere serena.
Come hai gestito la paura?
La paura non si gestisce, nel senso che permane e non si nasconde. È incessante, come è giusto che sia. Se non ci fosse, mancherebbe l’impulso ad andare avanti.
Cosa hai provato durante la prima seduta di chemioterapia?
La prima chemio è stata un po’particolare. Fino a che non conosci i sintomi, non li associ. Io non stavo bene, ma ho continuato a fare ciò che facevo prima. Testarda, non riuscivo ad accettare che il mio corpo mi chiedesse di stare ferma. All’inizio, la terapia mi aveva creato allergie a livello respiratorio, quindi la somministravano lentamente.Iniziavo la seduta alle 9 del mattino e terminavo alle 16 del pomeriggio. Mi aveva cambiato i connotati, anche se al momento non mi accorgevo.
E i capelli?
Ho fatto la prima chemioterapia quando avevo i capelli lunghi. Durante la prima settimana, nessuna caduta. Un giorno, mentre ero sul divano, mi è rimasta una ciocca in mano. Pensavo di soffrire emotivamente per questo, invece non è accaduto. Solo dopo, ne ho intuito il motivo: non erano più i miei capelli. Erano morti. Sembravano appoggiati. E la mia parrucchiera è stata molto cauta; mi ha fatto vivere il cambiamento in maniera divertente.
Dopo il primo ciclo chemioterapico arriva l’intervento di asportazione di entrambi i seni …
Sì. Ho insistito io a fare la mastectomia. Il mio tumore metastatico è presente nel fegato e potenzialmente ovunque. Quindi per i medici era inutile fare l’operazione, dal momento che la malattia si definisce a stadio avanzato. Per mia scelta ho fatto la bilaterale, anche se la percentuale che il tumore possa presentarsi anche all’altro seno è bassissima.
«La paura non si gestisce, nel senso che permane e non si nasconde»
Che immagine ha rimandato lo specchio dopo l’intervento?
Non ho più il seno. Solo due cicatrici. Ora, dopo l’intervento di ricostruzione, la mia immagine è cambiata una volta di più. E i segni sono sempre lì a ricordarmi che sono ancora qui. Che sono viva!
Come ti vedevi negli altri quando i tuoi tratti somatici erano snaturati dalla chemioterapia?
Non volevo mi guardassero con compassione. Mi presentavo come desideravo mi percepissero: sorridente e caparbia.
In perfetta armonia con il suo essere femminile, dalle fulgide movenze, attraversa con tenacia le spirali della malattia, certa che il suo percorso sia più duro per chi le vuole bene, che per lei. «Essere spettatori della vita altrui è più difficile che viverla da protagonisti». E, mentre Camilla parla a se stessa, facendo incetta di informazioni, le sembra di vivere un sogno. In attesa dei referti, si lascia guidare dall’empatica professionalità dei medici e tollera i pareri imposti di quelle persone che cercano, attraverso lei, di esorcizzare le loro paure. Volti incerti che non vogliono andare oltre il suo «sto bene»per difendersi dal timore, altrettanto indefinito, che turberebbe i loro equilibri e li indurrebbe a pensare. Lei è un’infermiera. Lo è sempre stata, nell’animo, anche quando non sapeva che quel mestiere sarebbe diventato la sua missione. Da sempre prodiga di attenzioni verso il prossimo, ora capisce che questa nuova esperienza di malata oncologica è un modo per ritornare a sé, dopo aver pensato a lungo agli altri.
Hai mai detto: perché proprio a me?
Bella domanda. Nessuno me lo ha chiesto. La risposta è mai! Non serve a niente. E ci credo davvero. Grazie al mio lavoro capisco che non ha senso dirlo. Quando vedo il bambino con problemi seri, mi verrebbe da ribadire: «perché a lui?»
Camilla, hai fede?
Credo in qualcosa, poiché qualcosa di sicuro esiste. Sono fatalista e sono convinta che tutto sia scritto e che avvenga per una ragione. Anche se mi rendo conto che vivere senza certezze spirituali sia più difficile. La fede aiuta, sicuramente, a vivere meglio.
In questo nuovo progetto di vita, che valenza assume la morte?
Ci ho sempre pensato. Ora non penso alla morte “morte”. Il pensiero più brutto è star male. Non è la morte in sé che mi spaventa, ma tutto ciò che è legato a lei: la sofferenza, il non essere più se stessi e lasciare le persone care. È come la paura: devi saperla gestire. Devi farla tua. Se hai paura della morte, hai paura della vita.
La scala dei tuoi valori è cambiata?
Sì. E’ diventato tutto relativo. Questa nuova vita mi ha portato via un po’di leggerezza. Anche se ho ripreso a lamentarmi dei miei chili di troppo. L’ importante è trovare un equilibrio e riuscire a mantenerlo.
Ora che terapia stai seguendo?
A parte le sedute giornaliere di radioterapia, seguo la “terapia a vita”. Una chemio biologica, ogni 21 giorni, che permette di vivere. Una novità! Anticorpi monoclonali i quali impediscono la progressione tumorale. Prima eravamo legate all’aut aut: o guarisci o muori. Invece ci sono pazienti che seguono questo metodo di cura da più di dieci anni. Con il mio tipo di tumore, sono una paziente cronica e, come tale, debbo essere curata a vita.
Puoi definire questa esperienza con un aggettivo?
Movimentatoso: movimento turbinoso. Per nulla negativo, in quanto mi ha arricchito e insegnato che è giusto vivere anche i momenti di sconforto.
Un percorso in cui oltre agli affetti familiari trova spazio l’amore definito nel volto di Pier Paolo. L’unica persona che Camilla non ha mai dovuto consolare. E l’amicizia. Quella incomparabile di Clelia, sempre presente e il cui sguardo attento, a tratti nostalgico, riesce a cogliere anche la più lieve discrepanza. Un’esperienza che ha cambiato anche lei laddove è impossibile rivelare mutamenti. E poi gli amici di sempre, quelli consapevoli, che fanno di questa esperienza un’opportunità. Quelli con cui “i pranzi diventano cene”, i dubbi si sciolgono in lacrime e i sospiri si allungano in risate.
Camilla, c’è una domanda che avresti voluto ti porgessi?
No. Abbiamo parlato di tutto. Cose di cui mi è piaciuto parlare.
Fotografo: Mariano Marcetti
Make up : Laurence Angioi
Hair stylist: Salvatore Onida
Outfit e location : Anna Maria Baldinu
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