Ai Bertas il Candeliere d’Oro speciale dell’anno della rinascita
Durante la serata sono stati consegnati anche il Candeliere d’Oro, al sassarese che da più lungo tempo vive all’estero e ritorna per la Faradda, che quest’anno è andato al giovane Francesco Bellinzis – classe 1983 – emigrato dal 12 ottobre 2012 a Barcellona e d’Argento per chi vive nel continente a Filippo Usai nato a Sassari il 31 gennaio 1948 emigrato dal 3 giugno 1960 e residente a Torino
«Ci formammo che si era d’estate, nel 1965, ma per il battesimo del palco passò qualche mese: fino al 19 dicembre di quello stesso anno. Da allora la nostra storia non è stata tanto diversa dalle storie di tutti gli uomini, musicisti compresi, ed ha alternato momenti spensierati, talvolta esaltanti, ad altri difficili, anche molto, ed incerti quando non faticosi. Ma siamo andati avanti!»
Con queste parole si raccontano i Bertas – Mario Chessa, Enzo Paba e Marco Piras – , il gruppo sardo che a Sassari ha mosso i primi passi oltre mezzo secolo fa e a cui è stato conferito il Candeliere d’Oro Speciale 2022.
La scelta non è legata esclusivamente all’importanza che il gruppo riveste per Sassari e per tutta la Sardegna, dal punto di vista culturale e identitario. L’Amministrazione Comunale desidera infatti che il premio conferito ai Bertas, la band più longeva tra quelle che sono nate e hanno operato a Sassari e che ovviamente scelsero proprio Sassari per festeggiare i 50 anni di carriera, sia per il loro tramite un riconoscimento pubblico e un forte incoraggiamento per tutti quei gruppi musicali e quelle realtà culturali che fanno bella e ricca la vita della Città e della Sardegna e che a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia hanno sofferto molto per l’impossibilità di lavorare e di incontrare il proprio pubblico.
Un modo con cui l’Amministrazione Comunale, a nome di tutta Sassari, esprime l’auspicio che la loro arte continui a sostenere la voglia di rinascita e ripresa dei cittadini e il desiderio di fare comunità in maniera solidale e inclusiva.
Il gruppo nasce per volontà dei fratelli Antonio e Carlo Costa e proprio grazie alla loro iniziativa la band partecipò al concorso musicale Sardegna Canta, nel 1966, che la segnalò alla RCA e le valse il primo contratto discografico.
Difficile riuscire a inserire in uno schema predefinito lo stile di un gruppo che negli anni è riuscito a spaziare dalla musica lirico-sinfonica alla tradizione melodica, passando per l’hip-hop, la canzone d’autore, la sperimentazione elettronica; da Simone Weil a Dostoevskij, per quanto attiene le ispirazioni letterarie.
Era il 1973 quando i Bertas decisero di usare la lingua sarda per le proprie canzoni, cosa decisamente inusuale, all’epoca, per un gruppo pop. Il brano era Badde Lontana (stampato poi, su 45 giri, nel febbraio del 1975), ancora oggi uno dei loro più grandi successi. Certo, quando la registravano, Mario Chessa, Enzo Paba e Marco Piras – che di essere i Bertas non hanno mai smesso ed erano entrati a farne parte integrante agli albori del decennio – non immaginavano di quanta strada, quante canzoni e migliaia di concerti sarebbe stato costellato il loro cammino, un cammino che li vede ancora oggi propositivi e col pensiero al futuro, a giudicare dalla quantità di progetti che affrontano da protagonisti, specialmente in questo terzo millennio.
Antonio Costa lasciò il gruppo nel 1979 (e non solo la line up live, come già accaduto fra il 1972 e il 1976), per dirigere la Corale Luigi Canepa. Carlo Costa appese invece il basso al chiodo nel dicembre del 2016, con una permanenza all’interno del gruppo durata ben 51 anni.
Tra le personalità significative che resero i Bertas ciò che ancora oggi sono e rappresentano per l’intero panorama culturale, loro stessi tengono particolarmente a ricordare Giuseppe Fiori, che da batterista fu in organico per oltre dieci anni e al quale è stata anche dedicata l’ultima uscita discografica (Non si vive una volta sola – 2021), a memoria della sua recente scomparsa.
Andando avanti spediti, non possiamo però trascurare quello che è stato il vero anno di svolta nella storia dei Bertas: certamente il 1993, grazie alla pubblicazione di Amistade, con uno spostamento radicale di scrittura. Amistade, e Como Cheria, che risultò il brano di punta dell’album ed è divenuta un’indiscussa canzone simbolo della band, segnarono un vero e proprio rilancio.
È con Amistade, appunto, che i Bertas inaugurano un nuovo corso, mettendo da parte le cover. Fu però con Tottumpare – resoconto di alcune esibizioni live affiancati dalla Corale Antonio Vivaldi – che i Bertas divennero il primo gruppo di musica leggera a ricevere ospitalità al Teatro Comunale di Cagliari.
Dalla Corale Vivaldi si passò quindi a un gruppo vocale di sedici elementi e a una piccola orchestra da camera, con il progetto Coros in Coro.
Tra le collaborazioni si ricordano quelle con le Balentes, Beppe Dettori, la Corale Canepa, i Cordas et Cannas, Paolo Fresu, Mark Harris, Piero Marras, Franca Masu, Marisa Sannia, Gavino Murgia e i Tazenda.
Con Sa Missa (concepita insieme con la Corale Canepa – 2006), la musica dei Bertas (in sardo logudorese i testi), arrivò fino in Brasile e a Londra.
Il successo è proseguito negli anni, tra nuove sperimentazioni, generi e collaborazioni, fino agli anni della pandemia, che tutto ha rallentato, quando non frenato o stravolto.
E questi, nonostante le citate difficoltà, sono stati anni intensissimi con una serie di progetti per il teatro e nuove canzoni, fra le quali vale la pena ricordare A Mio Padre Piaceva Pantani (inserita nell’album Cambia il Mondo, del 2018) alla quale sono molto legati e che gli sta rinnovando l’affetto del pubblico, se mai ve ne fosse stato bisogno.
E se l’inizio di questa scalata verso il successo è stata l’intuizione di cantare in sardo, oggi gli stessi Bertas sottolineano la volontà di cantare e riscoprire l’italiano:
«Ieri, quando nessuno cantava in limba, l’abbiamo sostenuta a dispetto di qualche naso storto, perché credevamo nella sua bellezza e musicalità, prima ancora che per assecondare una nascente spinta identitaria; oggi, in tempi in cui il sardo, in tutte le varianti possibili, dilaga nel mondo sardista della canzone, spesso per conformismo più che per scelta, ci stiamo riappropriando di una parte di noi, una parte che reputiamo significativa e importante. Quella che ci permette di essere qui a parlare con tutti, dalla nostra terra; o meglio: dalle nostre terre».
Durante la serata sono stati consegnati anche il Candeliere d’Oro, al sassarese che da più lungo tempo vive all’estero e ritorna per la Faradda, che quest’anno è andato al giovane Francesco Bellinzis – classe 1983 – emigrato dal 12 ottobre 2012 a Barcellona e d’Argento per chi vive nel continente a Filippo Usai nato a Sassari il 31 gennaio 1948 emigrato dal 3 giugno 1960 e residente a Torino.