Serie D – Latte Dolce tra gruppo e difesa: coperta corta, ma le soluzioni non mancano
Liberalizzazione del commercio: la sfida complessa della re-regulation
Oggi è stato presentato uno studio realizzato da Uniss e Confesercenti
Liberalizzazione del commercio non significa de-regulation ma re-regulation: una sfida complessa da affrontare per le Regioni e gli Enti Locali che hanno importanti prerogative di intervento. Con una programmazione adeguata e coordinata, un approccio di sistema e multi livello (politico-istituzionale e tecnico-scientifico), è possibile restituire vigore e significato al comparto commerciale della Sardegna.
Gli aspetti giuridici della materia sono stati analizzati in uno studio dell’Università di Sassari, promosso da Confesercenti Sardegna e presentato venerdì 25 marzo nell’aula magna dell’Ateneo dal Rettore Gavino Mariotti, dal Presidente di Confesercenti regionale della Sardegna Roberto Bolognese e da Domenico D’Orsogna, Professore ordinario di Diritto amministrativo Uniss.
Il documento d’inquadramento giuridico scaturito da questa collaborazione chiarisce in primo luogo che “liberalizzazione”, in senso giuridico – come precisa lo stesso legislatore – non significa rimozione di qualsiasi vincolo e di ogni limite, ma soltanto dei vincoli e limiti “non ragionevoli ovvero non adeguati ovvero non proporzionati rispetto alle finalità pubbliche” e non fondati su “motivi imperativi di interesse generale” come l’ordine pubblico, la sicurezza, la tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente (incluso l’ambiente urbano) e del patrimonio culturale.
Dal “Decreto Bersani” a oggi
Si tratta di una serie di precisazioni importanti per il comparto commerciale sardo che si trova in una situazione di grave difficoltà, ampiamente conosciuta già prima dell’erompere dell’emergenza sanitaria da covid-19. Ad oltre venti anni dal decreto legislativo n.114/1998 (il cosiddetto decreto Bersani), quindici anni dalla direttiva Bolkestein (2006/123/CE) e dopo più di due anni di pandemia, è forte l’esigenza di una riflessione aggiornata sul tema.
Il decreto Bersani, infatti, insieme all’introduzione del principio della liberalizzazione delle attività commerciali, aveva previsto anche una notevole attività attuativa delle Regioni e degli Enti Locali, che è rimasta invece per lo più sulla carta, perché ha prevalso nei fatti la logica del laissez faire e l’errata convinzione che “libertà d’impresa” significhi assenza di regole e che “liberalizzazione” sia sinonimo di “deregulation”.
Gli effetti di tale impostazione sono evidenti: fenomeni di degrado (edilizio, ambientale, economico, sociale); di desertificazione del tessuto commerciale delle città (aumento del commercio ambulante e della grande distribuzione), di folklorizzazione, volgarizzazione, necrotizzazione e musealizzazione dei centri storici, di diminuzione dell’attrattività turistica, di inefficienza dei servizi pubblici locali, di inadeguatezza dei “carichi” urbanistici.
Fenomeni accentuati dalle dinamiche indotte dalla globalizzazione: incremento dei flussi migratori e della circolazione (anche illecita) di merci, servizi e capitali, incremento del mercato delle locazioni a breve termine e dell’ospitalità diffusa.
La pandemia ha inoltre già rimescolato molte certezze che apparivano consolidate, con il cambiamento indotto nelle abitudini e negli stili di vita e di consumo, che per un verso vanno rafforzando le multinazionali della distribuzione online (una minaccia maggiore del centro commerciale, la forma di concentrazione su cui si era concentrata fino a ieri la maggiore attenzione), e per altro consolidano nuove modalità di turismo: culturale, cosiddetto “esperienziale”, lento.
Liberalizzazione del commercio non è quindi sinonimo di deregulation, ma di re-regulation. Ciò impegna in primo luogo i pubblici poteri chiamati a intervenire in modo corretto e adeguato.