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Patata di Sardegna: gialla, rossa e viola. Storia di un alimento che faticò ad imporsi
Patata di Sardegna: gialla, rossa e viola.
È il colore viola a decorare e a intrigare i cuochi sardi, ultimamente.
Èuna patata di questo caratteristico colore, chiamata “vitelotte” che contamina piatti e preparazioni
La si può impiegare come tutte le altre varietà di patate: fritta, lessa, in purea o arrosto. Alexander Dumas nel “Il grande dizionario di cucina” del 1873, sulla patata scrive:
“Questa eccellente verdura…un nutrimento sano, facile e poco costoso…adatte a tutte le costituzioni. La scelta non è problematica né indifferente; …le migliori sono senza dubbio le violette, preferibili addirittura a quelle rosse, note a Parigi con il nome Vitelottes”.
Se la conosceva il grande scrittore, si presume sia un tubero usato da diverso tempo e non solo in Francia. In realtà gli europei scoprirono la patata, per la prima volta, intorno al 1530, quando gli Spagnoli intrapresero la conquista dell’impero Inca. I conquistatori individuato il tubero, non ne colsero immediatamente l’enorme valore e lo chiamarono “tartufo”, in quanto maturava sotto terra.
Le varietà di patate si rivelarono poi centinaia, ognuna adatta a una diversa combinazione di terreno, sole e umidità. Juan de Castellanos, in un suo resoconto del 1537, così descrive le patate:
“radici sferiche che sono seminate e producono un gambo con i suoi rametti e i suoi fiori, seppur pochi. Di un pallido colore viola; e alla radice di questa stessa pianta (…) sono attaccate sotto la terra, e sono della dimensione di un uovo più o meno, alcune rotonde e altre oblunghe; sono bianche o viola e gialle, radici farinose di buon sapore, una prelibatezza per gli indiani e un piatto squisito anche per gli spagnoli”.
Tuttavia, questo tubero faticherà parecchio ad imporsi come alimento in Europa, in particolar modo in Italia. La diffidenza sulla patata, a differenza del mais, ritenuto un parente del grano, si ha per la sua associazione alla stregoneria e al culto del demonio. Il consumo venne incentivato con la carestia diffusa in Francia nel 1709, e le virtù dei tuberi vennero rivalutati dalla fame che costrinse la gente a mettere da parte i pregiudizi. Lo scienziato francese Antoine-Auguste Parmentier, divenne il più grande paladino delle patate. Ancora nel 1751, nella prima edizione dell’Encyclopedie di Diderot e D’Alembert, la voce dedicata alla patata, non è molto lusinghiera: “è insipiada e farinosa”.
In Italia passano 300 anni prima che entri nell’alimentazione. Occorreranno diversi tentativi: il primo nel Cinquecento per merito dei Carmelitani; il secondo nella seconda metà del Settecento, dove è ancora chiamata “tartufo o tartuffolo” e fino al XIX secolo inoltrato. A partire dalla metà dell’Ottocento, la patata conosce una vera commercializzazione e diventa una coltura redditizia per le campagne.
Il consumo delle patate è diffuso e diverse sono le ricette che si sono affermate nell’isola: culurgionis dell’Ogliastra; pane con le patate; cocoi prena; pecora bollita; patatas a ischiscionera; casciola/cassola; panadas; tzippulas.
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