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L’affaire Torres: quando un commerciante di bare tentò l’acquisto della squadra/13
Siamo nell’estate del 1995, nove anni dopo la promozione della Torres in C1 e le successive vicissitudini che l’avevano fatta precipitare nelle serie inferiori. Da tre anni è gestita dall’imprenditore sassarese Gianni Marrosu che sta cercando di liberarsene. Qualcuno lo mette in contatto con un imprenditore di Latina titolare di un’agenzia funebre che cercava una squadra sarda da rilevare.
La trattativa era andata in porto. Felice come una pasqua, Gianni Marrosu aveva convocato una conferenza stampa per dare la notizia urbi et orbi.
Qualche giorno prima però da Latina mi era arrivata una dritta molto attendibile: “Gibi, attento, state consegnando la società ad un lestofante” mi disse un collega di una Tv locale. “Cosa intendi per lestofante” chiesi. “Ti basti sapere che è stato in carcere due volte per truffa ed emissione di assegni a vuoto e ha messo insieme una catasta di denunce?”. Ringraziai il gentile amico e ne cercai subito un altro perché controllasse sul terminale del Ministero dell’Interno la fedina penale del soggetto. Il giorno dopo avevo tutte le conferme. Nulla di scritto ma tutti i riferimenti temporali per ogni vicenda giudiziaria in cui il commerciante era rimasto coinvolto.
La conferenza stampa per annunciare il cambio ai vertici della società rossoblu era fissata per le 15 dello stesso giorno allo stadio. Erano presenti il presidente Marrosu, suo fratello Davide, il direttore tecnico Silvestrini e l’acquirente della Torres, Giovanni Gasparoni, un omone corpulento con occhiali scuri e l’atteggiamento da boss. E’ vero che la faccia non costituisce reato ma qualche volta aiuta a capire chi hai davanti. Prende la parola Marrosu, spiega le difficoltà che lo hanno indotto a lasciare l’amata Torres e si dice convinto di aver trovato la persona giusta in grado di garantire un futuro alla squadra rossoblu. “Non vi dico altro, ve ne parlerà lui” chiuse Marrosu. A questo punto mi rivolsi al neo presidente: “Prima di cominciare, mi consente una domanda? Lei è il signor Giovanni Gasparoni, nato a Latina il XXXXX, titolare di un’agenzia funebre?”. “Si, sono io” sussurrò.
Visibilmente agitato, anzi furibondo, mi chiese a cosa mirasse la mia domanda avvertendomi di stare bene attento a quello che avrei dichiarato. “Stia tranquillo, ho solo il dovere di giornalista di riferire alle persone che sono presenti in questa sala che lei non è persona degna di assumere la presidenza della Torres” dissi. Qualcuno, interdetto, sussurrò: perché?. “Perché l’acquirente della Torres è un pregiudicato” risposi in modo spericolato. Successe il finimondo. Marrosu era sbiancato, mister Gasparoni era agitatissimo, paonazzo, sembrava dovesse avere un infarto da un momento all’altro. Ma trovò il tempo per minacciarmi. Risposi con calma leggendo ai presenti la sua fedina penale: “Il signor Gasparoni è stato in carcere in data XXX per emissione di assegni a vuoto e c’è tornato qualche tempo dopo per truffa. Poi se vuole posso continuare con l’elenco delle denunce subite per reati minori”.
La conferenza stampa era diventata una bolgia. In sala erano presenti alcuni ultras della Torres. Vollero conoscere tutti i particolari della storia e subito dopo bloccarono Marrosu: “Devi stracciare l’accordo di vendita che hai firmato “cun chissu cabbu di mortu” (con quella testa di morto) gli dissero. Intanto l’aspirante presidente si era allontanato quatto quatto. Gli ultras lo rintracciano ad Alghero. Si preparava a prendere il volo per Roma. Bloccato in zona Cesarini. I tifosi chiamano Marrosu e favoriscono un incontro tra i due che si conclude con la loro piena soddisfazione. L’accordo di vendita della Torres viene strappato. Qualche giorno dopo una banca chiama d’urgenza Gianni Marrosu. L’uomo delle bare aveva pagato gli stipendi ai giocatori con assegni cabrio. Un grande…. aggiungete voi l’aggettivo che più vi aggrada.
Di recente, dopo anni, ho incontrato in un centro commerciale di Sassari in cui ha interessi, Gianni Marrosu. Ora vive in Svizzera dopo essere stato per anni a Milano. Saluti cordiali, scambio di informazioni sulle attività di entrambi e, in chiusura, una domanda per me doverosa: “Hai più visto mister Gasparoni?”. “Che storia Gibi, grazie per avermi salvato”. Già, ho chiuso la bara in tempo.