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Luglio 1983, Curraggia in fiamme/11
Oggi nella collina sottostante l’abitato di Tempio diverse lapidi ricordano la tragedia che qui si è consumata il 28 luglio del 1983. Nove vittime carbonizzate mentre tentavano di spegnere le fiamme che avevano aggredito la vallata di Curraggia, altre sei gravemente ustionate. Erano da poco trascorse le 13 quando a Tempio scoppiò il finimondo
Io e l’operatore Fausto Spano avevamo appuntamento all’ingresso di Tempio. Lui saliva da Aggius dove al mattino aveva filmato i danni causati dagli incendi alla vegetazione durante una settimana infernale. Io arrivavo da Sassari perché dovevo intervistare il capo dell’Ispettorato Forestale per fare una stima dei danni subiti dalla Gallura. Fin sui tornanti della Fumosa avevo avuto la sensazione che stesse per accadere qualcosa di molto grave e pericoloso. Soffiava un vento fortissimo, il cielo era scuro, a tratti rossastro, minaccioso. La temperatura era infernale e rendeva difficoltosa anche la respirazione. All’ingresso della città fui costretto a rifugiarmi in uno spazio in cemento armato di fronte ad una casa. C’era anche una jeep dei carabinieri. In quel momento sentii la radio di bordo chiamare i militari e il successivo messaggio concitato proveniente dalla centrale operativa: “A Curraggia ci sono stati dei morti”.
Di lì a poco arrivò Fausto, salii sulla sua auto e ci dirigemmo verso la collina maledetta. Prima di scrivere queste righe ho voluto guardare un documentario che ricorda quella terribile, luttuosa giornata. Immagini del prima, quando le fiamme stavano cominciando a salire verso la città, e quelle del dopo, a tragedia avvenuta. Immagini che documentano un deserto completamente bruciato e i corpi carbonizzati delle vittime. Una era quasi riuscita a salvarsi. Il fuoco l’ha avvolta e uccisa proprio mentre scavalcava il filo spinato per raggiungere la strada. Era un maresciallo della Forestale, un sottufficiale molto esperto. E’ stato un flash che mi ha riportato alla mente il ricordo di quella giornata terribile. Ho rivisto anche il maresciallo Diego Falchi, con in mano delle frasche. Ci aveva fermato. Non voleva proseguissimo. Fausto lo conosceva bene per le sue origini tempiesi. Gli strappò il permesso di andare avanti per alcune decine di metri e poi di scappare via “perché qui non si sa come va a finire”. Morì qualche minuto dopo che ci eravamo allontanati.
Su un punto tutte le valutazioni fatte dai tecnici nelle fasi di accertamento delle cause della tragedia convergono: erano stati fattori climatici straordinari a provocare la strage, ma anche la mancanza totale dei mezzi antincendio più efficaci, gli aerei. Già da diversi giorni in Gallura, nella zona di Aggius e Bortigiadas in particolare, da dove il 28 maggio le fiamme hanno cominciato a salire verso Curraggia. Le temperature di giorno toccavano i 40° con punte di 47°. La notte la temperatura scendeva massimo a 36° con umidità zero. Significava che il fuoco correva di giorno come di notte senza dare tregua alle squadre antincendio.
Forestali, vigili del fuoco e volontari si erano precipitati a Curraggia perché rappresentava l’ultimo argine per impedire al fuoco di arrivare in città. La vegetazione era bassa, priva di alberi, ricca però di rifiuti solidi, come frigo e lavatrici, che hanno contribuito ad alimentare la furia dell’incendio. “Le fiamme volavano” ci raccontarono alcuni dei superstiti. “Le combattevamo di fronte e ce le trovavamo alle spalle. Abbiamo capito di essere in trappola: tre possibili vie di fuga erano ormai chiuse. Allora ci siamo gettati in una parte scoscesa della collina, priva di vegetazione, dove erano stati lasciati alcuni cumuli di sabbia. Ma le fiamme erano già vicine. Ci buttammo a terra, a ridosso della sabbia, uno sopra l’altro, facendo una sorta di piramide. Le fiamme ci passarono sopra senza toccarci ma il calore, valutato dai tecnici in circa 700 gradi, provocò gravi ustioni su alcuni di noi, soprattutto alle mani e alle braccia, con cui avevamo cercato di proteggerci la testa. Eravamo in quattro, uno non ce l’ha fatta”.
Dovevo a tutti i costi chiamare la redazione del Tg di Videolina per una diretta telefonica. Soltanto dopo un’infinità di tentativi andati a vuoto perché le linee erano danneggiate trovai rifugio nella sede della polizia stradale: “La prego – dissi ad un agente – mi faccia fare una telefonata. Devo raccontare al Tg cosa sta accadendo a Tempio”. L’agente fu comprensivo. Mi raccomandò però la brevità: “E’ l’unico telefono ancora in funzione” aggiunse desolato. A condurre il Tg c’era Sandro Angioni che mi mandò immediatamente in diretta. Raccontai con voce tremante per l’emozione, la morte nel cuore e le immagini dei cadaveri davanti agli occhi, il dramma che si era appena consumato a Tempio. Facemmo in diretta una prima considerazione sulla tragedia che si era appena consumata e sulle cause che abbiamo in parte anticipato: era vero che le condizioni meteo eccezionali avevano reso inarrestabile l’avanzata dei roghi ma era altrettanto vero che a Curraggia non c’erano mezzi adeguati per fronteggiare l’incendio se non le frasche e qualche autobotte. Il tragico rogo di Curraggia è stato quindi anche un fallimento del sistema antincendio. Il primo Canadair ha sorvolato Tempio tra le 18.30 e le 19, cinque ore dopo la richiesta di aiuto.
A quel tempo la presenza negli aeroporti sardi di aerei antincendio era molto limitata. Si preferiva tenere la gran parte della flotta a Roma dove si trova il centro di coordinamento degli interventi. Dopo la tragedia di Curraggia i mezzi antincendio sono aumentati di numero e con una maggiore capacità di liquido antincendio disponibile per ogni lancio. Quella che è rimasta immutata è la follia dei piromani, insensibili di fronte a tutto, al danno ambientale e al rischio di uccidere ancora degli innocenti.
Sei anni dopo Curraggia, il 1° agosto del 1989, un devastante incendio ha colpito l’area compresa tra Porto San Paolo, Costa Corallina e San Teodoro, ai confini della Costa Smeralda. Per la prima volta il fuoco ha investito anche alcune strutture turistiche. Furono sei le vittime. Pochi giorni dopo, il 28 agosto, le fiamme appiccate dai piromani in una giornata di forte vento, erano divampate inarrestabili tra San Pantaleo e Portisco. Quando il fuoco verrà spento si conteranno 13 vittime, il bilancio di vite umane più pesante causato dalla follia criminale nel nord est dell’isola.