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Elvira Serra: e le stelle non stanno a guardare
di Lalla Careddu
Foto: Daniela Zedda
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Ho conosciuto Elvira Serra attraverso un suo romanzo regalatomi cinque anni fa. Si intitolava L’Altra, storia di un’amante. Aveva tutti i numeri per non piacermi quel libro, proprio no: la fascetta e l’immagine di copertina con toni pastello facevano presagire un romanzo troppo romantico e forse troppo zuccheroso per me, abituata come sono ad appassionarmi a romanzi in cui ci sia almeno un morto ammazzato già dalle prime pagine. Fui invece conquistata da una scrittura ironica, elegante.
A distanza di cinque anni quel libro resiste ancora nella mia memoria proprio per l’ironia in storie che ironiche non sono mai, storie viste sempre con pregiudizio e senza mai un briciolo di empatia. Ci ha messo poco, in effetti, la Serra a conquistarmi. E senza ammazzare nessuno a pagina tre.
Mi appassionai alla sua rubrica La Forza delle donne che pubblicava sul settimanale F. e ai suoi articoli ed interviste per il Corriere.
E sempre ritornava quella sensazione di ironia elegante, di scrittura fresca, di curiosità. Elvira Serra è nata a Nuoro, ha iniziato la sua carriera all’Unione Sarda sino ad arrivare al Corriere.
Entra fra i ritratti femminili che ho tracciato per City & City a buon diritto, tra quelle donne cioè indipendenti ed intelligenti che hanno una voce autorevole nel loro campo ma rimangono saldamente ancorate al loro essere sarde. Sarde moderne, poco inclini al vezzo dell’identitarismo da salotto, aperte al mondo, donne ispiratrici di modi diversi di esprimere la propria creatività, di profondere il loro impegno.
All’inizio di aprile per Solferino è uscito il suo ultimo romanzo, Le stelle di Capo Gelsomino. Cosa troveremo in questo romanzo?
È la storia di tre donne, una nonna, sua figlia e la nipote, unite e divise da nodi di amore e disamore. Ho voluto raccontare quanto sia difficile e inevitabile amare, anche per una madre, che mettendo al mondo un figlio compie l’atto più generoso del mondo, perché sa da subito che quel figlio crescerà indipendente, con una sua personalità, e che, come tutti noi abbiamo fatto, lascerà il nido.
Da Nuoro al Corriere, ma il suo romanzo è ambientato in Sardegna. Stessa ambientazione del precedente, Il vento non lo puoi fermare, uscito nel 2016 per Rizzoli. Questo filo per lei quanto è forte?
Le mie radici sono piantate in Sardegna. Significa che la linfa la prendo da lì, non posso che tornare lì, anche con le storie che racconto. Sono molto grata a Milano per le opportunità che mi ha offerto, naturalmente, e al Corriere della Serain particolare, dove lavoro da vent’anni, perché mi ha permesso un percorso di merito che non era scontato. Però, quando mi dicono che sono di origine sarda, io rettifico sempre: sono sarda”. Questo fa parte della mia identità, come il colore degli occhi o dei capelli.
Lei ha nel suo carnet interviste prestigiose: quale è il personaggio che l’ha colpita?
Ho la fortuna di scegliere chi intervistare, e salvo rare occasioni non sono mai stata delusa: cerco di incontrare chi vorrei conoscere perché penso che abbia qualcosa da insegnarmi. Tra gli incontri più emozionanti ci sono quello a Renzo Piano, un uomo illuminato che è capace di lasciare dentro di te germogli di bellezza che continuano a fiorire anche giorni dopo averlo incontrato; o Amalia Ercoli Finzi, la prima donna italiana laureata in Ingegneria, detta la Signora delle Comete perché era sua la responsabilità del trapano che ha perforato la cometa Churiumov-Gerasimenko nel 2014 a 580 milioni di chilometri di distanza dalla Terra. Ha cresciuto cinque figli e ha lavorato occupando un ruolo di rilievo al Politecnico di Milano: un esempio straordinario di forza e indipendenza. E poi considero un privilegio tutte le interviste che ho fatto a Gigi Riva, ormai per me un amico, e spero anche io per lui.
La cronaca ci restituisce storie di donne umiliate, offese, discriminate, troppo spesso uccise. Parafrasando il titolo della sua rubrica, secondo lei la forza delle donne è un mito o esiste davvero?
Esiste. La donna è generatrice: di figli, di idee, di progetti. Questo le dà una forza supplementare che è incisa nel suo Dna, perché deve pensare alla sua sopravvivenza, ma anche a quella di qualcun altro o qualcos’altro. Amo raccontare donne che non si arrendono, che anche se ferite vanno avanti, cercano dentro di sé le risorse per continuare, per conquistarsi il futuro un passo dopo l’altro.
L’ultima domanda è comune a tutte: Elvira, lei è felice?
Felicità è una parola da usare con pudore. Sono felice quando mi emoziono, e mi emozionano molte cose: il mio lavoro, i miei libri, i miei amici, la mia famiglia. Le cose non sono mai facili per nessuno, ma sento molto la responsabilità di impegnarmi per ottenere quello a cui tengo. Non si ottiene niente senza fatica: ma quando il risultato arriva, quello sì, è un momento felice.