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Antonio Marras, quando lo stile è “riconoscibile”
Se c’è un aggettivo che si adatta ad Antonio Marras è riconoscibile: e questo in una società liquida, che va in fretta, che digerisce tutto in poche ore è un pregio, una cifra difficilmente ottenibile soltanto disegnando abiti. Deve esserci un insieme di fattori, di idee, di milieu culturale in cui muoversi ed occupare lo spazio
Intervista di Lalla Careddu – foto di Daniela Zedda
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Lo si avverte anche solo guardando una manica, uno stivaletto che non ti aspetti sotto una gonna di tulle. In questo mondo Patrizia Sardo Marras, sua moglie, è anche lei riconoscibile, anche lei occupa lo spazio in un certo modo.
Quando la vedi lo capisci: lei non è la moglie di, lei è Patrizia, una donna curiosa, dallo sguardo vigile, una che arrivando da Parigi è capace, lo intuisci, di preparare spaghetti per venti persone. Patrizia è iconica, bella, colta. E disponibile a rispondere alle nostre domande.
Sei sposata con un uomo noto in tutto il mondo, ma sei riuscita a mantenere la tua individualità. Quando parlano di te non si dice mai la moglie di Marras, ma Patrizia o I Marras. Qual è la ricetta?
Mi ricordo ancora, con orrore, una delle prime interviste fatte ad Antonio dove mi chiedevano perché avevo scelto di lavorare con lui e io candidamente risposi che era casuale. Antonio sarebbe potuto diventare regista e io avrei fatto l’aiuto regista, oppure coreografo, attore, scrittore, scenografo, cuoco io avrei sempre scelto un lavoro intorno. E la giornalista aveva riassunto che se Antonio fosse stato cuoco io avrei fatto la sguattera.
Odio la frase dietro un grande uomo c’è una grande donna, io non sto dietro ad Anto, sto a fianco. Facciamo un lavoro che appassiona entrambi, non ha tempi morti, non concede svaghi e che va portato avanti con il massimo impegno, nostro e di tutta una équipe dedicata.
A noi si è aggiunto ora anche Efisio, nostro figlio: non mi sembra senta particolarmente l’ingombro della figura paterna, anche se è impegnativa, non c’è dubbio.
Avete uno spazio milanese che ormai è centro culturale e di incontro, Nonostante Marras. Come è nato?
Dopo la nostra esperienza lavorativa a Parigi durata otto anni, abbiamo ricominciato a pensare a Milano come la nostra seconda casa dopo Alghero.
Nel nostroheadquarter in via Cola di Rienzo, dove abbiamo showroom e ufficio stampa, c’era uno spazio inutilizzato che prima era un’officina. Ho subito pensato a una grande camera, un soggiorno, un tinello come si diceva una volta, un loft dove ricevere e dove concentrare tutte le cose e le attività che ci piacevano.
Antonio era contrarissimo. Adduceva scuse come il fatto che non ci trovassimo in una zona commerciale, che fosse all’interno di un cortile, che nessuno mai sarebbe stato interessato a noi e altre nefaste previsioni. Meglio! Sostenevo io.
Cosi con la complicità di Paolo Bazzani, nostro art director di sempre, e di Francesca Alfano Miglietti, critica d’arte, abbiamo organizzato NONOSTANTEMARRAS. Ovviamente Antonio è poi stato coinvolto in tutto per tutto nel progetto, ma almeno se non siamo d’accordo su qualcosa io posso dire: Eh no! Tu non volevi, tu non sei nonostantemarras, tu sei Marras e nonostante te decido io! Così ho pensato ad una casa, dove si suona il campanello, si chiede permesso e si entra. Un po’ come succede a casa mia vera – dove anzi si entra direttamente senza chiedere permesso, per inciso–. Non si tratta di un concept store, ma luogo in cui si sta bene, riservato e aperto, accogliente, ospitante nel senso che questa parola aveva nell’antica Grecia, in Sardegna, nel Mediterraneo, dove lo straniero, era sacro ed era considerato un delitto violare le leggi dell’ospitalità. Nonostante è un luogo in cui ci si muove liberamente, come in un abito. L’abito è il primo spazio che ha l’uomo: difesa, protezione, sicurezza. Lo spazio si amplia, poi, nella stanza, nella casa, nel quartiere, nella città, nell’isola, nel mondo. Nonostante ha le 3 C che un uomo deve avere per poter star bene: carezze, caldo, comodo.
Si possono consultare libri, acquistare oggetti vari, gioielli, cappelli, accessori, comprare abiti o solo guardarli, godersi la mostra del momento o prendere un caffè e chiacchierare.Facciamo eventi, presentazioni di libri, performance, musica dal vivo e siamo pronti a valutare qualsiasi cosa sia nello spirito di Nonostante.
Una famiglia con tutti creativi in giro per casa, un lavoro complicato, aerei da prendere. La gestione del tuo tempo ha spazi tuoi? Come ozia Patrizia?
Difficile organizzare qualcosa che ogni attimo si rincorre affannosamente. Mi piacerebbe avere del tempo da organizzare. È il mio sogno. La lentezza, la pausa, la fermata, l’ozio creativo, rigeneratore. Sembra un paradosso, ma vorrei per un po’ organizzare il mio tempo in uno spazio senza tempo. Invece sono costretta a vivere alla giornata, pronta ad affrontare qualsiasi contrattempo o stravolgimenti improvvisi di date. Ma da un po’ mi impongo di concedermi il lusso di fare cose che non siano connesse con il lavoro, con le caleidoscopiche attività di antoniomarras, con l’entusiasmo energico coinvolgente di Efisio, Rocco o con i progetti di Leonardo Marras. Come ozio? Adoro veleggiare. Niente come il mare, le onde, il vento mi restituisce un sentimento di libertà, di sazietà, di completezza che dà l’andare per mare: la continua alternanza di sentirsi impotente di fronte alla vastità della natura e poi invece sentirsi artefice del proprio destino. Ulisse è il mio mito. E poi adoro stare immobile sotto il sole, leggere leggere leggere sino al mal di testa, scrivere, vedere film, cucinare, camminare, ballare, viaggiare, nuotare, ascoltare storie, musica, avere Pierivo accanto a me, chiacchierare con le mie amiche, mettermi il rossetto e pettinarmi i capelli.
Cosa è un abito per Patrizia Sardo Marras?
È uno state of mind. Un modo di essere. Un modo di intendere la vita. Io sono una grande appassionata di moda. La moda è il mio passatempo e il mio lavoro. Cosa potrei volere di più? Gli abiti mi hanno salvata dal grigiore, dalla depressione, dalla banalità.
In apparenza la moda è trionfo, simbolo dell’effimero e del volubile, fatuo e transitorio, artificiale e fittizio. Se si guarda meglio, però, i veli della frivolezza e dell’inutilità cadono a uno a uno per svelare un mondo sconfinato e pieno di non poche sorprese. Un mondo in cui abito e ornamento, in tutti i tempi e in tutte le società, antiche e moderne, giocano ruoli simbolici, comunicativi, estetici. La moda diventa un viaggio tra le verità scomode del mondo, uno strumento privilegiato per leggere la realtà, esplorare le inquietudini dell’io contemporaneo e scoprire che dietro un’apparenza frivola e vuota si nasconde il senso intimo e profondo dell’essere. La moda coglie le disarmonie e le dissonanze, le compone e armonizza in un nuovo equilibrio che esprime l’ansia, il desiderio di rinnovamento, la perenne tensione dell’uomo verso il bello. La moda è innanzitutto comunicazione e in tal senso può comunicare valori e contribuire al miglioramento, alla crescita della società. E a casa mia, circondata da oggetti che amano raccontare le loro storie per chi sa ascoltare, vivono i miei capi. Ho una vasta collezione di abiti vintage e pezzi di costume sardo in cui si legge la voglia di osare, naturalmente e liberamente; di avere il coraggio di provare, sperimentare, trasgredire le regole, violare i codici, preferire alla regola lo scarto dalla norma, la devianza con un particolare anche piccolo, un punto, una virgola. Non temere che l’eccesso e l’eccentricità trionfino sulla piattezza e sulla banalità del vestire comune. Non adeguarsi ai dettami imperanti e cercare lo scarto, il contrasto, l’errore, il varco. Trovare quel je-ne-sais–quoi o quel presque-rien che è, in fondo, l’essenza di tutto.
La domanda che facciamo a tutti: Patrizia, sei felice?
Non ho bisogno della felicità per essere felice.
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